Corte di Cassazione, Sezione III Civile, sentenza 13 dicembre 2013 – 13 febbraio 2014, n. 3355.

(…) La responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell'attività dell'avvocato, l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita; tale giudizio, da compiere sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica, è riservato al giudice di merito, con decisione non sindacabile da questa Corte se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici (sentenza 9 giugno 2004, n. 10966, 27 marzo 2006, n. 6967, 26 aprile 2010, n. 9917, e 5 febbraio 2013, n. 2638). Occorre, peraltro, aggiungere, in proposito, che nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell'azione giudiziale che è stata malamente intrapresa o proseguita è una valutazione in diritto, fondata su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico. Ma nel giudizio di cassazione tale valutazione, ancorché in diritto, assume i connotati di un giudizio di merito, il che esclude che questa Corte possa essere chiamata a controllarne l'esattezza in termini giuridici».

Questo, il principio affermato dalla Suprema Corte di Cassazione lo scorso 13 febbraio con la sentenza n. 3355/2014 della III Sezione Civile.
Pronuncia che giunge all’esito di un procedimento avviato al fine di accertare la responsabilità professionale di un avvocato per negligente svolgimento della propria attività professionale in danno dei suoi clienti.
Ebbene, rigettata in primo e secondo grado di giudizio, la vicenda giungeva sino alla Corte di Cassazione, la quale anch’essa, per i motivi sopra richiamati, dichiarava l’inammissibilità del ricorso de quo, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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