Corte di Cassazione, Sezione III Penale, sentenza 5 – 25 marzo 2014, n. 13987.

"In tema di infortuni sul lavoro, l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell'infortunio sia a titolo di colpa diretta per non aver negligentemente impedito l'evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate (Cass. sez. IV, 14 marzo 2002 n. 16890; Cass. sez. IV, 7 giugno 2005 n. 36339 e Cass. sez. IV, 19 aprile 2005 n. 23279), onde la condotta imprudente dei lavoratori, a parte l'ipotesi di una sua imprevedibile eccezionalità, non discrimina l'inadempimento dell'obbligo antinfortunistico”.

Ad affermarlo è la Suprema Corte di legittimità con sentenza giunta lo scorso 25 marzo in tema di infortuni sul lavoro e relative responsabilità penali del datore di lavoro.
È quanto di recente accaduto ad un imprenditore italiano, condannato dal Tribunale di Monza alla pena di € 2500 di ammenda per il reato di cui agli articoli 71, comma 1, e 87, comma 2, lettera c), d.lgs. 81/2008 per avere, nella specie, messo a disposizione dei dipendenti della S.r.l. di cui era legale rappresentante, attrezzature di lavoro inadeguate.
Lamentava quest’ultimo, tuttavia, che le contestate carenze antinfortunistiche fossero sostanzialmente innocue. Presentava, pertanto, ricorso per Cassazione, ivi “denunciando vizio motivazionale in ordine all'elemento oggettivo del reato, essendo il macchinario, predisposto e utilizzato dai propri dipendenti, conforme alla normativa in materia di sicurezza e avendo illogicamente il giudice ritenuto che debbano essere inoffensive anche quelle parti del macchinario con cui non entrano in contatto gli operai (…)”.

Di diverso avviso i giudici della Corte i quali, ancora una volta, evidenziano e ribadiscono il principio per cui “il datore di lavoro ha comunque obbligo di mettere a disposizione dei suoi dipendenti attrezzature adeguate prevenendone financo le imprudenze e, comunque, altresì salvaguardando terzi (i c.d. operai di ditte specializzate) che debbano intervenire su queste": nel caso concreto, non doveva pertanto profilarsi una distinzione tra le zone accessibili e le zone inaccessibili”.
Il ricorso così presentato va pertanto rigettato, poiché del tutto inammissibile.

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