Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza 16 gennaio – 19 marzo 2014, n. 6389.

“In tema di accertamento induttivo dei redditi, l'Amministrazione finanziaria può - ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 fondare il proprio accertamento sia sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell'attività svolta, sia sugli studi di settore nel quale ultimo caso l'Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente" (Cass.17038/2002; Cass.16430/2011).
L'art. 62 sexies del D.L. n. 331 del 1993, in particolare, dispone, al comma 3, che gli accertamenti condotti ai sensi del menzionato art. 39 (comma l, lett. d) DPR 600/1973 "possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore", cui si riferisce il precedente articolo 62 bis”.

Non solo, “in caso di contabilità regolarmente tenuta, l'accertamento dei maggiori ricavi d'impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente, rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, quando essa raggiunga livelli di abnormità, tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità (Cass.20201/2010; cfr.5870/2003: "In tema di accertamento delle imposte dirette ed in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, l'accertamento dei maggiori ricavi d'impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza soltanto se essa raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità. Diversamente, siffatta difformità rimane sul piano del mero indizio, ove si consideri che gli indici elaborati per un determinato settore merceologico, pur basati su criteri statistici, non integrano un fatto noto e certo e non sono idonei, da soli, ad integrare una prova per presunzioni")”.

È quanto affermato e ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione, a conclusione di una controversia che vedeva coinvolta l’Agenzia delle Entrate, la stessa che con ricorso per cassazione avviava il presente giudizio e una società a responsabilità limitata esercente l'attività di vendita al dettaglio di generi alimentari e di largo consumo.
Ebbene, con un primo motivo di gravame, l’ufficio erariale di cui sopra contestava la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio con la quale, all’esito di un giudizio concernente l'impugnazione di un avviso di accertamento, emesso, a carico della predetta società, in relazione alle maggiori imposte IRPEG- ed ILOR, dovute per l'anno 1997, a seguito di una rettifica del reddito sociale e del volume d'affari ai fini IVA, effettuata ai sensi degli artt. 62 sexies d.l. 331/1993, conv. in l. 427/1993, e 39 DPR 600/1973 –veniva confermata la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che, a sua volta, aveva accolto il ricorso della società contribuente.

I giudici dell’appello, in particolare, avevano sostenuto che l'Agenzia delle Entrate, seppure gravata dall'onere di provare, ex art.2697 c.c., l'effettiva capacità contributiva della contribuente, non potendosi limitare ad "astratti accertamenti indiziari", non aveva, al contempo, offerto alcuna prova effettiva della maggiore capacità di produzione di reddito della società. E, per tali motivi, “nessuna censura poteva essere mossa alla sentenza di primo grado.
Orbene, a quanto già affermato e ribadito dai giudici di merito, si aggiungeva la pronuncia della Cassazione, che a sua volta rilevava come “nella specie, il divario tra la percentuale di ricarico praticata dalla società (…) e quella stimata ed applicata dall'Ufficio (,..) non poteva definirsi abnorme, così da giustificare un accertamento di tipo induttivo, con gli effetti in tema di inversione dell'onere della prova a carico del contribuente.
Deve pertanto concludersi che in tema di accertamento di maggiori ricavi d’impresa, l’accertamento induttivo è valido solo se il divario tra i ricavi dichiarati e ricavi stimati dall’ufficio sia abnorme.

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