In tema di accertamento giudiziale di paternità è legittima la domanda di rimborso pro quota delle spese sostenute per il mantenimento del figlio, la cui determinazione è lasciata al libero apprezzamento del giudice che può ben utilizzare un criterio di congruità. E' quanto stabilito dalla Corte d'appello di Brescia, prima sezione civile con la sentenza n. 1536 del 2017.

LA QUESTIONE GIURIDICA
Nel caso di specie, veniva impugnata la sentenza del Tribunale di Brescia che, a seguito di Ctu, accertava la paternità in capo al padre e lo condannava al rimborso pro quota delle spese sostenute dalla madre dalla nascita fino alla proposizione della domanda.
Non solo. Nonostante l'appellante avesse avuto conferma della propria paternità dopo aver eseguito il test del DNA in via stragiudiziale, e pur potendo fare eseguire un nuovo controllo presso un laboratorio di sua fiducia, l'appellante non procedeva al riconoscimento del bambino, costringendo l'appellata ad incardinare un giudizio e procedere ad un nuovo test del DNA.

LA DECISIONE DELLA CORTE
La Corte d'appello nel rigettare l'appello e confermare la sentenza del Tribunale di Brescia ha affermato il principio secondo cui "in materia di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, il giudice ben può utilizzare il criterio equitativo nel determinare le somme dovute a titolo di rimborso delle spese spettanti ai genitori. E non vi è dubbio che la somma spesa dall'appellata, pari, in media, a circa euro 500 ,00 mensili per i primi 10 mesi di vita del bambino, non appare affatto eccessiva ma, al contrario più che congrua e proporzionata alle esigenze di un neonato, tenuto conto del costo, non certo irrisorio, degli accessori (si pensi a culla, al passeggino per autovettura, al fasciatoio, al lettino) del latte artificiale e dei pannolini, nonchè della crescita veloce dei primi mesi, che rende necessario l'acquisto frequente di abbigliamento".

avv. Debora Gandolfo
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