«Nell'interpretazione dei contratti di compravendita immobiliare, ai fini della determinazione della comune intenzione delle parti circa l'estensione dell'immobile compravenduto, i dati catastali, emergenti dal tipo di frazionamento approvato dai contraenti ed allegato all'atto notarile trascritto, e l'indicazione dei confini risultante dal rogito assurgono al rango di risultanze di pari valore» (Cass. n. 10698 del 1994; Cass. n. 11744 del 1999; Cass. n. 15304 del 2006; Cass. n. 20131 del 2013).
È quanto di recente pronunciato dalla II Sezione Civile della Cassazione con la sentenza n. 4934 dello scorso 3 marzo 2014.

Sul punto ha peraltro ribadito, come già in precedenza affermato, (v. Cass. n. 5123 del 1999 e Cass. n. 6764 del 2003) che «le piante planimetriche allegate ai contratti aventi ad oggetto immobili fanno parte integrante della dichiarazione di volontà, quando ad esse i contraenti si siano riferiti nel descrivere il bene, e costituiscono mezzo fondamentale per l'interpretazione del negozio, salvo, poi, al giudice di merito, in caso di non coincidenza tra la descrizione dell'immobile fatta in contratto e la sua rappresentazione grafica contenuta nelle dette planimetrie, il compito di risolvere la "quaestio voluntatis" della maggiore o minore corrispondenza di tali documenti all'intento negoziale ricavato dall'esame complessivo del contratto».

Ne deriva che «il giudice del merito chiamato ad interpretare la volontà negoziale in un contratto di trasferimento di bene immobile è tenuto ad utilizzare il tipo di frazionamento e la planimetria catastale ai quali le parti abbiano posto univoco riferimento, onde, in caso di configurazione di dati contrattuali configgenti con tali documenti, egli deve risolvere la "quaestio voluntatis" in base all'esame complessivo del contratto stesso (e, quindi, valorizzando adeguatamente anche le risultanze planimetriche formanti parte integrante del rogito di provenienza)».

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