Ritorniamo a distanza di quasi due anni dal precedente contributo , Risarcibilità del danno tanatologico: rivoluzione o voce isolata? , sul tema del danno tanatologico.

È risarcibile iure hereditatis in favore del prossimo congiunto il danno non patrimoniale subito dalla vittima di incidente stradale, con decesso avvenuto immediatamente o comunque senza un apprezzabile arco di tempo tra l’evento dannoso e la morte?

Con recentissima ordinanza - Cass. 20767/2015 relatore dott. Marco Rossetti -, la Suprema Corte, con iter logico di rara lucidità e rigore argomentativo, afferma:
“alla luce del principio già ripetutamente affermato da questa corte, secondo cui la paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente, sicché, in difetto di tale consapevolezza, non è nemmeno concepibile l'esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni (così, da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 13537 del 13/06/2014, Rv. 631439). Nel caso di specie la corte d'appello, con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che la vittima nel breve periodo compreso fra le lesioni e la morte giacque in stato di incoscienza, con la conseguenza che essa non può avere acquistato, né trasmesso agli eredi, alcun diritto al risarcimento del danno biologico.
(…) La regula iuris da applicare al caso concreto è che il risarcimento del danno jure haereditario spetta soltanto se la vittima sia rimasta cosciente nell'intervallo tra vulnus ed exitus: e questa regola è stata applicata correttamente dalla Corte d'appello. Stabilire, poi, se davvero la vittima sia stata cosciente od incosciente è una questione di merito, non sindacabile in sede di legittimità.”


Sul punto, la giurisprudenza ha articolato, un indirizzo che si presenta coerente e ben definito e che può esser ben riassunto dalla pronuncia a sezioni unite della Suprema Corte:
Cass. civ. Sez. Unite, 22-07-2015, n. 15350
In materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità "iure hereditatis" di tale pregiudizio, in ragione - nel primo caso - dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero - nel secondo - della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo.

Il prossimo congiunto non avrà diritto ad un risarcimento del danno tanatologico iure hereditatis, non esistendo un centro di imputazione del diritto al risarcimento del danno per la perdita istantanea del “bene vita”; la morte della vittima travolge il soggetto e la sua sfera giuridica.

In altri termini la perdita della vita non è danno di per sé risarcibile in favore di colui che è deceduto, né tantomeno può esser trasmesso agli eredi un bene/diritto che non è mai entrato nella sfera giuridica del de cuius secondo il principio nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet.

Diverso il caso il caso in cui la morte sopravvenga a seguito di un apprezzabile lasso temporale dall’evento dannoso; in tal caso tuttavia ad esser trasmesso agli eredi non è il danno tanatologico (ossia da perdita del “bene vita”) bensì il danno biologico patito dalla vittima in tutte le sue voci (danno da i.p., danno morale o personalizzazione del danno non patrimoniale, invalidità temporanea, etc.).

Le Sezioni Unite sono intervenute su un contrasto di indirizzo giurisprudenziale venutosi a creare su tale questione a seguito della pronuncia isolata in detto panorama, sentenza 1361 del 23.01.2014, che, scardinando i capisaldi giurisprudenziali ormai consolidati, aveva affermato i seguenti principi di diritto, ad oggi, destinati a non trovare ingresso nel nostro ordinamento:

- costituisce danno non patrimoniale altresì il danno da perdita della vita, quale bene supremo dell'individuo, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile garantito in via primaria da parte dell'ordinamento, anche sul piano della tutela civilistica;

- il danno da perdita della vita è altro e diverso, in ragione del diverso bene tutelato, dal danno alla salute, e si differenzia dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale (o catastrofale o catastrofico) della vittima, rilevando ex se nella sua oggettività di perdita del principale bene dell'uomo costituito dalla vita, a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia, e dovendo essere ristorato anche in caso di morte cd.immediata o istantanea, senza che assumano pertanto al riguardo rilievo la persistenza in vita all'esito del danno evento da cui la morte derivi nè l'intensità della sofferenza interiore patita dalla vittima in ragione della cosciente e lucida percezione dell'ineluttabile sopraggiungere della propria fine;

- il diritto al ristoro del danno da perdita della vita si acquisisce dalla vittima istantaneamente al momento della lesione mortale, e quindi anteriormente all'exitus, costituendo ontologica, imprescindibile eccezione al principio dell'irrisarcibilità del danno-evento e della risarcibilità dei soli danni-conseguenza, giacchè la morte ha per conseguenza la perdita non già solo di qualcosa bensì di tutto; non solamente di uno dei molteplici beni, ma del bene supremo della vita; non già di qualche effetto o conseguenza, bensì di tutti gli effetti e conseguenze, di tutto ciò di cui consta (va) la vita della (di quella determinata) vittima e che avrebbe continuato a dispiegarsi in tutti i molteplici effetti suoi propri se l'illecito non ne avesse causato la soppressione;

- il ristoro del danno da perdita della vita ha funzione compensativa, e il relativo diritto (o ragione di credito) è trasmissibile iure hereditatis;

- il danno da perdita della vita è imprescindibilmente rimesso alla valutazione equitativa del giudice;

- non essendo il danno da perdita della vita della vittima contemplato dalle Tabelle di Milano, è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice di merito l'individuazione dei criteri di relativa valutazione che consentano di pervenire alla liquidazione di un ristoro equo, nel significato delineato dalla giurisprudenza di legittimità, non apparendo pertanto idonea una soluzione di carattere meramente soggettivo, nè la determinazione di un ammontare uguale per tutti, a prescindere cioè dalla relativa personalizzazione, in considerazione in particolare dell'età delle condizioni di salute e delle speranze di vita futura, dell'attività svolta, delle condizioni personali e familiari della vittima.

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