Corte di Giustizia UE, Settima Sezione, sentenza 13 febbraio 2014, causa C-18/13.

«Il beneficio del diritto a detrazione può (…) essere negato ad un soggetto passivo solamente qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che detto soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA commessa dal prestatore del servizio o da altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di tali cessioni o prestazioni (v. sentenza Bonik, cit., punto 40 e giurisprudenza ivi citata)».

«Dalla formulazione dell’articolo 168, lettera a), direttiva 2006/112 emerge [chiaramente ] che, per beneficiare del diritto a detrazione, occorre, da un lato, che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva e, dall’altro, che i beni o i servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e siano forniti a monte da un altro soggetto passivo (v. sentenza Bonik, cit., punto 29 e giurisprudenza ivi citata). Qualora tali requisiti siano soddisfatti, il beneficio della detrazione non può, in linea di principio, essere negato».

Ciò detto, - ricorda la Corte di Giustizia UE – “la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva 2006/112” sopra richiamata.
«A tale riguardo, la Corte ha, già in passato, dichiarato che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione. Pertanto, è compito delle autorità e dei giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente (v. sentenza Bonik, cit., punti da 35 a 37 e giurisprudenza ivi citata)».
«Se tale situazione ricorre nel caso di un’evasione fiscale commessa dallo stesso soggetto passivo, ricorre pure quando un soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA. Egli dev’essere allora considerato, ai fini della direttiva 2006/112, partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle (v. sentenza Bonik, cit., punti 38 e 39 ).»
Tuttavia, «poiché il diniego del diritto alla detrazione costituisce una eccezione all’applicazione del principio fondamentale cui esso da esecuzione, l’amministrazione tributaria competente deve dimostrare adeguatamente che gli elementi oggettivi [sopra richiamati] siano riuniti. E, allo stesso modo, i giudici nazionali sono tenuti a verificare se le autorità tributarie interessate abbiano dimostrato la sussistenza di tali elementi oggettivi (v., in tal senso, sentenza Bonik, cit., punti 43 e 44)».

Orbene, la vicenda sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia UE, riguardava invero, l’interpretazione della direttiva 2006/112 e, nella specie in riferimento alla possibilità che essa “osti a che un soggetto passivo effettui la detrazione dell’IVA riportata nelle fatture emesse da un prestatore di servizi, qualora risulti che il servizio sia stato sì fornito, ma non da tale prestatore o da un suo subappaltatore, e ciò segnatamente perché costoro non disponevano del personale, delle risorse materiali e degli attivi necessari, [tanto che], le spese della prestazione non erano state contabilizzate nei loro registri e l’identità dei firmatari di taluni documenti a titolo di prestatori del servizio si era rilevata inesatta”.
Era quanto accaduto ad una società belga, la quale lamentava di non potersi avvalere del diritto alla detrazione IVA, in quanto le prestazioni ricevute dai suoi fornitori, risultavano non esser state effettivamente realizzate dal prestatore menzionato nelle fatture o dal suo subappaltatore poiché, costoro non avrebbero disposto del personale, delle risorse materiali e degli attivi necessari; sicché le spese della prestazione non sarebbero state, così, contabilizzate nei propri registri e l’identità dei firmatari di taluni documenti sarebbe risultata inesatta.
Di qui la pronuncia della suprema Corte europea.

Che questi comportamenti integrino una condotta fraudolenta e (…) che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione s’iscriveva in un’evasione, è circostanza che spetta al giudice nazionale verificare !
Per fare ciò, questi « è tenuto a interpretare il diritto interno quanto più possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva in questione, così da realizzare il risultato perseguito da quest’ultima; circostanza che esige che esso faccia tutto quanto gli compete prendendo in considerazione il diritto interno nel suo complesso e applicando i suoi stessi criteri ermeneutici (v., in tal senso, sentenza del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C‑212/04, Racc. pag. I‑6057, punto 111). Spetta, pertanto, al giudice del rinvio verificare se le norme del diritto nazionale che esso invoca, e che a suo avviso potrebbero ostare alle condizioni imposte dal diritto dell’Unione, possano essere interpretate conformemente all’obiettivo di lotta contro l’evasione fiscale sui cui si basano queste medesime condizioni».

Va peraltro detto che, nell’ambito di un sistema comune dell’IVA, «gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, al riguardo, di una certa libertà in relazione, segnatamente, al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione. Fra tali obblighi, l’articolo 242 della direttiva 2006/112 prevede, in particolare, che ogni soggetto passivo tenga una contabilità che sia sufficientemente dettagliata per consentire l’applicazione dell’IVA e il relativo controllo da parte dell’amministrazione fiscale (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2010, Profaktor Kulesza, Frankowski, Jóźwiak, Orłowski, C‑188/09, Racc. pag. I‑7639, punti 22 e 23).(…) Peraltro, ai sensi dell’articolo 273, primo comma, della direttiva 2006/112, gli Stati membri possono stabilire altri obblighi che ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare l’evasione. (…) Detta facoltà non può, [tuttavia], autorizzare gli Stati membri ad adottare provvedimenti che eccedano quanto necessario per conseguire tali obiettivi (…) (sentenza Profaktor Kulesza, Frankowski, Jóźwiak, Orłowski, cit., punto 26)».
Finché, dunque, gli stati membri rispettino tali limiti, «il diritto dell’Unione non osta a norme contabili nazionali supplementari che siano stabilite con riferimento ai principi contabili internazionali applicabili nell’Unione alle condizioni previste dal regolamento (CE) n. 1606/2002 (…)».

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