LA LESIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI E IL RISACIRMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE*
(a cura di Marco Rossetti)


SOMMARIO: 1. I criteri di liquidazione del danno non patrimoniale. 2. Il contenuto del danno non patrimoniale. 3. La personalizzazione del danno. 4. La legittimazione a richiedere il risarcimento del danno.

Nel 2011 la Corte ha proseguito l’intenso lavorìo, già iniziato nei due anni precedenti, di precisazione e chiarificazione degli importanti princìpi affermati dalle Sezioni Unite con la nota sentenza n. 26972 dell’11 novembre 2008, rv. da 605489 a 60596. L’individuazione, la selezione e la determinazione delle voci di danno non patrimoniale, risultano fortemente permeate della cultura dei diritti fondamentali della persona, anzi traggono la loro legittimazione, in via esclusiva, dal riconoscimento in capo al soggetto leso dalla condotta illecita, di posizioni soggettive giuridicamente tutelabili alla stregua di tale tipologia di diritti costituzionalmente garantita. Se, negli anni precedenti, la Corte ha espresso, in particolare, il proprio impegno nell’ancorare rigorosamente
il danno non patrimoniale solo a lesioni di interessi aventi il rango e la dignità di diritti costituzionalmente protetti, ponendo, dunque, un argine, alla proliferazione ingiustificata della categoria del danno risarcibile, nell’ultimo anno, è stato attraverso l’elaborazione del criterio equitativo della liquidazione del danno non patrimoniale, declinato sulla base degli attributi propri
del principio di uguaglianza, ovvero, omogeneità, parità di trattamento, adeguatezza e ragionevolezza, che la Corte ha definitivamente saldato la propria funzione nomofilattica anche in questo settore con il parametro costituito dai diritti fondamentali.


1. I criteri di liquidazione del danno non patrimoniale.

Nel 2011 la più importante novità in tema di liquidazione del danno, e segnatamente del danno non patrimoniale, è stata senz’altro rappresentata dalla decisione con la quale la S.C. ha raccomandato a tutti i giudici di merito di adottare un criterio unitario per la liquidazione del dannobiologico (indicato nella tabella a tal fine predisposta dal Tribunale di Milano), a pena di impugnabilità della decisione per violazione dell’art. 1226 cod. civ. [Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011 (rv. 618048)].
Con questa sentenza si è affermato che:

(a) il concetto di “equità”, di cui all’art. 1226 cod. civ., si compone di due elementi: da un lato la valutazione di tutte le circostanze del caso concreto; dall’altro la parità di trattamento tra i casi simili;
(b) la liquidazione equitativa del danno pertanto deve sì garantire l’adeguato apprezzamento delle conseguenze che ne sono derivate, ma deve anche assicurare che pregiudizi di natura identica, e che abbiano prodotto le medesime conseguenze, devono essere risarciti in misura identica.

Per garantire questo risultato, la S.C. ha perciò stabilito che nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge (e quindi, per quanto si dirà nel paragrafo seguente, al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 138 e 139 cod. ass.) il criterio di liquidazione cui tutti i giudici di merito devono attenersi, al fine di garantire l’uniformità di trattamento, è quello
predisposto dal Tribunale di Milano (preferibile in quanto già ampiamente diffuso sul territorio nazionale), salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono.
Per effetto di tale decisione, la sentenza di merito la quale, nella liquidazione del danno biologico non derivante da sinistri stradali, dovesse adottare criteri di liquidazione diversi da quelli elaborati dal Tribunale di Milano, senza spiegare per quale ragione nel caso di specie tali criteri sarebbero stati iniqui, sarà per ciò solo viziata da error in iudicando, per violazione dell’art. 1226 cod. civ..
Merita di essere ricordato che la sentenza 12408 del 2011, cit., si è fatto anche carico di dettare dei princìpi, per così dire, di “diritto intertemporale”. L’obbligo di adottare le tabelle milanesi infatti potrebbe far sorgere dubbi sulla sorte delle sentenze di merito depositate prima della indicata pronuncia, e nelle quali il giudice abbia liquidato il danno biologico adottando criteri diversi da
quelli imposti dalla S.C.. Di tali dubbi si è fatta carico la sentenza di cui si discorre, stabilendo che le decisioni di merito le quali hanno liquidato il danno con criteri diversi da quelli milanesi potranno essere impugnate per cassazione solo ove ricorrano due condizioni:

(a) la parte interessata abbia correttamente sollevato, nei gradi di merito, la questione relativa alla necessità dell’adozione dei criteri di liquidazione milanesi;
(b) le tabelle del tribunale di Milano siano state tempestivamente prodotte in giudizio.

Ovviamente il parametro rappresentato dalle tabelle milanesi resta un criterio equitativo; sicché, ove il pregiudizio alla salute abbia inciso in modo abnorme ed inusuale sulla vita di relazione della vittima, il giudice è tenuto a verificare se i parametri delle tabelle in concreto applicate tengano conto di questo aspetto del danno, vale a dire dell'alterazione/cambiamento della personalità del soggetto che si estrinsechi in uno sconvolgimento dell'esistenza, ovvero in radicali cambiamenti di vita, ed in caso contrario deve procedere alla c.d. "personalizzazione" del risarcimento, riconsiderando i parametri anzidetti in ragione anche di siffatto profilo, al fine di debitamente garantire l'integralità del ristoro spettante al danneggiato [Sez. 3, Sentenza n. 14402 del 30 giugno 2011 (rv. 618049)].


2. Il contenuto del danno non patrimoniale.

Altre importanti decisioni in materia di danno non patrimoniale hanno riguardato i contenuti di questo tipo di pregiudizio, la sua risarcibilità ed i criteri liquidazione.
Sul piano della risarcibilità, si è confermato l’abbandono della vieta distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza, e ribadito che per pretendere il risarcimento del danno non patrimoniale non basta allegare e provare la lesione d’un diritto inviolabile: questa infatti non determina di per sé la sussistenza di un danno risarcibile, essendo invece necessario che la vittima abbia effettivamente
patito un pregiudizio [Sez. 3, Sentenza n. 10527 del 13 maggio 2011 (rv. 618207); Sez. 3, Sentenza n. 13614 del 21 giugno 2011 (rv. 618822)]. In applicazione di questo principio, la sentenza appena ricordata ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse escluso in fatto l'esistenza di un
danno risarcibile in un caso in cui minore, a causa dell'omesso rilascio del nulla-osta dovuto, era
stato iscritto a scuola con quattro mesi di ritardo, frequentando, tuttavia, nel contempo, di fatto le
lezioni.
Sul piano della natura e dei contenuti della nozione di “danno non patrimoniale”, può dirsi ormai definitivamente abbandonata la tradizione concezione che distingueva tra danno morale ed “altri” danni non patrimoniali, come fossero pregiudizi diversi per natura. Al contrario, è divenuto ormai pacifico che nell'ampia ed omnicomprensiva categoria del danno non patrimoniale - che non è possibile ritagliare in ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva - rientrano sia il danno biologico, il quale ricomprende i danni alla vita di relazione ed estetico, sia il danno morale, il quale non può, quindi, dar luogo ad un autonomo risarcimento [Sez. 6 - III, Ordinanza n. 15414 del 13 luglio 2011 (rv. 619223; Sez. 3, Sentenza n. 6750 del 24 marzo 2011 (rv. 617597)].
La Corte, insomma, ha ormai abbandonato la “logica delle etichette”, secondo cui i pregiudizi non patrimoniali sarebbero tipici e prestabiliti (danno biologico, morale, esistenziale, vita di relazione, ecc.). Si è perciò ritenuto che determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno esistenziale da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e
quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato [Sez. L, Sentenza n. 1072 del 18 giugno 2011 (rv. 616254)].
Quel che dunque rileva ai fini del risarcimento non sono i “nomi” assegnati al pregiudizio, ma la sua effettiva sussistenza e consistenza: perciò al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato non rileva il "nome" assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall'attore ("biologico", "morale", "esistenziale"), ma unicamente il concreto pregiudizio preso in esame dal giudice. Si ha, pertanto, duplicazione di risarcimento solo quando il medesimo pregiudizio sia liquidato due volte, sebbene con l'uso di nomi diversi [Sez. 3, Sentenza n. 10527 del 13 maggio 2011 (rv. 618209)]. Questa regola vale ovviamente non solo per le decisioni di
merito depositate dopo il già ricordato arresto delle Sezioni Unite in tema di danno non patrimoniale (sentenza n. 26972 del 2008), ma anche per le sentenze precedentemente pronunciate: sicché la domanda di risarcimento del danno aquiliano proposta prima che la Corte di cassazione, pronunciandosi a Sezioni Unite, adottasse la nuova ed omnicomprensiva nozione di "danno non patrimoniale", e contenente la richiesta di risarcimento del "danno morale da liquidarsi in via equitativa", è suscettibile di essere interpretata come comprensiva anche dei pregiudizi non patrimoniali diversi dalla mera sofferenza interiore, quando dal contesto dell'atto risulti evidente the l'istante non abbia inteso riferirsi esclusivamente a quest'ultima [Sez. 3, Sentenza n. 13179 del 16 giugno 2011 (rv. 618246)].


3. La personalizzazione del danno.

Essendo ormai incontestato che la liquidazione del danno non patrimoniale esige sia l’adozione d’un parametro standard uguale per tutti, sia una accorta personalizzazione del risarcimento, in grado di tenere conto delle circostanze del caso concreto, nel 2011 la Corte ha ribadito cosa debbaintendersi per “personalizzazione”, massimamente nel caso di liquidazione del danno ala salute o del danno non patrimoniale da morte del congiunto. In particolare ha stabilito Sez. 3, Sentenza n. 10527 del 13 maggio 2011 (rv. 618210), che un pregiudizio ulteriore rispetto alla mera sofferenza morale (e, dunque, una “personalizzazione” del risarcimento) non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti la perdita delle abitudini quotidiane, ma esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, che è onere dell'attore allegare e provare.
Sempre sul piano della liquidazione del danno, varie decisioni di rilievo sono state pronunciate nel 2011 in materia di liquidazione del danno patito da chi, dopo avere patito una lesione della salute, sia venuto a mancare in conseguenza delle lesioni dopo una sopravvivenza quodam tempore.
Questo tipo di pregiudizio, ha stabilito la S.C. con la sentenza pronunciata da Sez. 3, Sentenza n. 6754 del 24 marzo 2011 (rv. 616517), è risarcibile solo a condizione che sia entrato a far parte del patrimonio della vittima al momento della morte. Pertanto, in assenza di prova della sussistenza di uno stato di coscienza della persona nel breve intervallo tra il sinistro e la morte, tale danno non èrisarcibile, nemmeno sotto il profilo del danno biologico, a favore del soggetto che è morto, essendo inconcepibile l'acquisizione in capo a lui di un diritto che deriva dal fatto stesso della morte; e, d'altra parte, in considerazione della natura non sanzionatoria, ma solo riparatoria o consolatoria del risarcimento del danno civile, ai congiunti spetta in questo caso il solo risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta.


4. La legittimazione a richiedere il risarcimento del danno.

Anche per quanto concerne la legittimazione a domandare il ristoro del danno per l’uccisione del congiunto si registra un’estensione, in funzione del rilievo della sfera della relazione parentale (art. 2, 29 Cost.) dell’ambito soggettivo del risarcimento del danno non patrimoniale: si tratta della sentenza n. 9700 del 3 maggio 2011, della terza sezione (rv. 617791), la quale ha ritenuto che anche il soggetto nato dopo la morte del padre naturale, verificatasi per fatto illecito di un terzo durante la gestazione, ha diritto nei confronti del responsabile al risarcimento del danno per la perdita del relativo rapporto e per i pregiudizi di natura non patrimoniale (e, ovviamente) patrimoniale che gli siano derivati.


*estratto da Rassegna della Giurisprudenza di legittimità (Anno 2011) pubblicato sul sito ufficiale della Suprema Corte www.cortedicassazione.it

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