Per evitare di agire a Caso e creare Caos, bisogna prima che la legge ci faccia capire Cosa dice.

Nel Commento all’art. 83 del D.L. n. 18/2020, si era detto, tra le 9 cose più importanti e immediate da sapere, che la sospensione dei termini ivi prevista era per i suoi effetti assimilabile a quella feriale d’agosto.
Ma alcuni colleghi sono risultati più sollecitati dalla seconda parte dell’articolo, dove in modo volutamente provocatorio offrivo, a poche ore dalla pubblicazione del nuovo decreto, una rilettura restrittiva della medesima norma.
Ne è sortito un proficuo scambio epistolare, a seguito del quale offro quest’ultimo umile contributo, rimettendo, come m’è d’uso, in capo al lettore l’ultima parola.
Il presente lavoro è limitato a quel che interessa civilisti e tributaristi, e come il precedente anche quest’ultimo è espressamente declinato in senso provocatorio, ma in senso costruttivo, per suscitare una lettura critica delle nuove norme processuali sull’emergenza.

Ci si chiede se la sospensione dei termini (comma 2 dell’art. 83 del d.l. n. 18/2020) comporti anche una dilazione di diritto di tutti quelli correnti nei 38 giorni (9 marzo - 15 aprile) come accade per i 30 giorni della più nota sospensione feriale. Oppure se si è voluto più semplicemente rimandare il compimento degli atti a dopo l’emergenza, così come accade per le udienze in calendario da giorno 16 aprile in poi (comma 1).

E’ vero, non è il tempo di far filosofie.
Ma mi chiedo, escludendo gli ottimati, quanti di noi restanti artigiani od operai del diritto, aperta l’agenda legale, hanno rimandato e prolungato il compimento degli atti processuali come se la sospensione in corso sia esattamente sovrapponibile a quella d’agosto?
O piuttosto han compiuto gli atti scadenti, facendo finta che i decreti di marzo non fossero nemmeno esistiti?
Forse i più temerari avranno tutt’al più spostato l’appunto dal giorno di scadenza primitivo a quello nuovo del 16 aprile (altri al 23 marzo, in virtù del primo decreto).
Quanti hanno lasciato le scadenze successive al 15 aprile nel foglio d’agenda in cui esse già stavano prima dell’emergenza?
Molti, a quanto pare.
Tutto ciò è l’effetto di un incontro: tra lo scrupolo tipico della nostra professione forense e la grammatica del legislatore moderno che mostra tutti i suoi limiti difronte all’emergenza e si spera che in futuro verrà seppellita una volta per tutte in favore di quel lessico normativo meno ansioso, più pacato, e al contempo efficacissimo, che un tempo usavano i nostri padri legislatori. Più il mondo si complica, meno ha bisogno di regole complicate, come già si diceva in un’altra occasione.
Ma è anche l’effetto del fatto che chi, seppur tardivamente, si è svegliato ed espresso in proposito si è limitato ad allegare che i termini sono eguali a quelli estivi, senza motivarlo, come una sorta di diktat: ma i diktat spettano al legislatore, non certo ai suoli interpreti.

Le settimane enigmistiche
Ma una cosa è certa per la settimana enigmistica passata, per quella in corso ed almeno per le due prossime a venire sino al 15 aprile.
Salvo che per le eccezioni di cui al comma 3 dell’art. 83 in commento, per il resto sino al 15 aprile è certamente sospeso il termine per il compimento di qualsiasi atto: quindi si ha tutto il tempo di rimuginare sulle norme in commento, e il legislatore di semplificarle ulteriormente, se occorre.
Infatti, si ricorderà che nella vecchia formulazione dell’8 marzo tra i primi due articoli (ora tradotti nei primi due commi dell’art. 83 del d.l. del 17 marzo) v’era un legame dato dall’infelice rinvio del secondo ai procedimenti di cui al primo.
Rinvio da cui sortì l’ipotesi che la sospensione dei termini riguardasse solo i processi per cui erano previste a ruolo le udienze nel periodo di vacanza, o comunque i procedimenti “pendenti”, escludendo tutto il resto.
In un precedente lavoro si è già avuto modo di criticare una tale ipotesi restrittiva, dicendola contraria alla ratio dell’emergenza, ed anche la Relazione ministeriale antistante l’ultimo decreto del 17 marzo stigmatizzò quelle interpretazioni elusive.
Ne è venuta la nuova formulazione che, eliminando nell’art. 83 il rinvio della disposizione del secondo comma alla disposizione del primo, scioglie il legame tra le due e ogni dubbio in proposito.

Ma andiamo alle fonti

La lettera dei primi due commi dell’art. 83 ora è la seguente:

“1. Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari sono rinviate d’ufficio a data successiva al 15 aprile 2020.
2. Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo. Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto. Si intendono altresì sospesi, per la stessa durata indicata nel primo periodo, i termini per la notifica del ricorso in primo grado innanzi alle Commissioni tributarie e il termine di cui all’articolo 17-bis, comma 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546.”


Mentre la legge sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale (legge n. 742/1969), prevede all’art. 1:
“Il decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed a quelle amministrative e' sospeso di diritto dal 1º al 31 agosto di ciascun anno, e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso e' differito alla fine di detto periodo.”

Il legislatore dell’emergenza, non aiutato dalla topografia del testo, in seno al medesimo comma 2 ha previsto cinque periodi intervallati da punti fermi.

Nel primo periodo ha scelto di non ricopiare la formula della legge del 1969.
Mentre la legge del 1969 parla di una sospensione “di diritto” del “decorso dei termini processuali”, il legislatore dell’emergenza dice meramente sospeso dal 9 marzo al 15 aprile “il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto”.
Se si vuole valorizzare una tale scelta, non apparirà stravagante avanzare il sospetto che il legislatore abbia voluto semplicemente far scivolare a dopo l’emergenza, ossia al 16 aprile, il compimento degli atti ma non il decorso di diritto dei termini sic e simpliciter, così come al comma 1 si è lasciato in calendario le udienze previste dal 16 aprile in poi.
Non depone in senso contrario la conclusione del secondo periodo che dice sospesi “in genere, tutti i termini procedurali”: perché essa non è identica a quella prevista per le ferie d’agosto; perché essa è preceduta invero da un elenco di atti e quindi può risultare anch’essa riferibile al compimento degli atti e non al decorso di diritto dei termini sic et simpliciter; infine perché in tutti i casi è locuzione neutra ed insufficiente per vincere da sola l’ipotesi del mero scivolamento del compimento degli atti alla fine del periodo di emergenza (16 aprile). Tale formula (“sospesi ...in genere, tutti i termini procedurali”) è infatti ben diversa e meno efficace di quella prevista dall’ultimo periodo del comma 20 dello stesso art. 83 ora in commento: “Sono conseguentemente sospesi i termini di durata massima dei medesimi procedimenti.”, perché quest’ultima è innegabilmente riferita al decorso dei termini di una procedura sic et simpliciter, e non necessariamente legata al compimento di un atto.

Se così fosse, se si è voluto cioè rimandare più semplicemente il compimento degli atti a dopo l’emergenza, non risulterebbe affatto eccessivo lo scrupolo di chi ha spostato l’appunto dal giorno di scadenza primitivo a quello del 16 aprile; né il tuziorismo di quanti hanno lasciato le scadenze successive al 15 aprile nel foglio d’agenda in cui esse già stavano prima dell’emergenza.

Il dato teleologico dichiarato nella Relazione illustrativa e tecnica

Non ci aiuta la Relazione illustrativa e tecnica del Ministero, la quale anticipava il decreto del 17 marzo e che della norma sulla sospensione spiega così il dato teleologico:
“costituito dalla duplice esigenza di sospendere tutte le attività processuali allo scopo di ridurre al minimo quelle forme di contatto personale che favoriscono il propagarsi dell’epidemia, da un alto, e di neutralizzare ogni effetto negativo che il massivo differimento delle attività processuali disposto al comma 1 avrebbe potuto dispiegare sulla tutela dei diritti per effetto del potenziale decorso dei termini processuali, dall’altro.”

Di primo acchito, è doveroso dirlo, tale spiegazione, più che giovare ad un’ipotesi estensiva, appare addirittura in sintonia con la soluzione restrittiva ossia quella del mero scivolamento al 16 aprile del compimento degli atti previsti nel periodo sospeso.
Infatti, la prima esigenza o ratio esplicitata nella Relazione lega la sospensione delle “attività processuali” (“il compimento di qualsiasi atto” dice la lettera del comma 2) al fine di evitare incontri ravvicinati tra le persone nel periodo dell’emergenza: coerente con tutto ciò è la soluzione del rinvio delle udienze calendarizzate tra il 9 marzo e il 15 aprile (comma 1), ma lo sarebbe anche il mero scivolamento al 16 aprile degli atti che si dovevano compiere nel periodo sospeso (comma 2).
Infatti, quest’ultima soluzione restrittiva, non contraddice, anzi si sposa con l’esigenza espressa dal relatore: insomma, nessun motivo ci sarebbe di evitare a quel tempo i contatti ravvicinati tra le persone; parimenti nessuna motivo ci sarebbe di rimandare di diritto ulteriormente il compimento degli atti che si dovevano svolgere in precedenza, così come non si rimandano di diritto le udienze previste dal 16 aprile in poi.

La seconda esigenza citata dalla Relazione sarebbe quella di neutralizzare ogni effetto negativo che il massivo differimento delle attività processuali disposto al comma 1 avrebbe potuto dispiegare sulla tutela dei diritti per effetto del potenziale decorso dei termini processuali.
Tale esigenza, o ratio, funzionale all’interpretazione del comma 2, appare a sua volta di difficile interpretazione, ed è forse figlia di una sorta di attrazione fatale del legislatore verso quel primitivo e deleterio legame che esisteva tra le due disposizioni (del primo e secondo comma) già al tempo del decreto dell’8 marzo (tra il primo e secondo articolo nel testo di quel decreto).
La Relazione in sostanza dice che con la sospensione, oltre a evitare i contatti, si è voluto rimediare all’effetto negativo del differimento delle attività di cui al comma 1.

Il comma uno dispone il differimento di diritto delle udienze in calendario tra il 9 marzo e il 15 aprile. Le attività processuali di cui parla il relatore non possono essere che di due tipi: quelle che si dovevano svolgere in udienza oppure quelle comunque collegate alla data d’udienza.
In quanto alle prime, ossia agli atti che si dovevano compiere nel corso di quelle udienze, dal differimento delle stesse non sortisce alcun effetto negativo, poiché rinviando le udienze si rinviano anche le attività che vi si dovevano svolgere.
Quindi la Relazione non può che riferirsi agli atti i cui termini erano legati alle udienze ora differite di diritto: si pensi ai termini a ritroso antistanti l’udienza, come per es. quelli di comparsa, oppure quelli in avanti, come per es. quelli ex art. 183 c. 6 o 190 cpc.
Ma, se così fosse davvero, tale considerazione del relatore presterebbe il fianco a chi asseriva che la sospensione del compimento degli atti riguardasse solo i processi in calendario. Ipotesi esclusa espressamente dalla Relazione medesima e dal nuovo articolo 83 che ha sciolto in tal senso ogni dubbio. Per cui si confida in un mero refuso, dovuto alla frenesia del momento. Così come pieno di refusi, ahimè, è il mio precedente articolo scritto nella frenesia del momento.
Insomma, la duplice esigenza espressa dalla Relazione ministeriale non aiuta chi, come me, desidera e spera nella portata dilatoria della sospensione tuttora in corso, e ritiene invece eccessivo lo scrupolo di chi ha spostato l’appunto dal giorno di scadenza primitivo a quello nuovo del 16 aprile (o al 23 marzo in virtù del primo decreto), odi chi ha lasciato le scadenze successive al 15 aprile nel foglio d’agenda in cui esse già stavano prima dell’emergenza.

In favore della portata dilatoria della sospensione dei termini
Più di un argomento testuale e sistematico si rinvengono sia nello stesso comma 2, che nell’intero corpo dell’art. 83 in commento, in favore invece della portata dilatoria della sospensione dei termini.
Innanzitutto, si osservino i periodi terzo e quarto, intervallati da punti fermi, che nel comma 2 si occupano del computo dei termini iniziali e a ritroso:
(3° periodo) “Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo.”
(4° periodo) “Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto.”

Irrilevante per la presente indagine è il quinto ed ultimo periodo di chiusura del comma, in merito al ricorso e alla mediazione tributaria, dalla cui disposizione niente è specificato circa la portata dilatoria di diritto o di mero rinvio, poiché anch’essi, di primo acchito, sembrano valorizzare il compimento degli atti piuttosto che la sospensione dei termini sic e sempliciter:
(5° periodo) “Si intendono altresì sospesi, per la stessa durata indicata nel primo periodo, i termini per la notifica del ricorso in primo grado innanzi alle Commissioni tributarie e il termine di cui all’articolo 17-bis, comma 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546.”
Le disposizioni del terzo e quarto periodo sui termini iniziali e a ritroso hanno invece certamente una portata dilatoria di diritto.
I termini iniziali che cadono nella vacanza sono differiti al 16 aprile, e di fatto subiscono una dilazione. La norma è identica e ricopiata da quella prevista in agosto, che chiude l’art. 1 della legge n. 742/1969.
I termini a ritroso che cadono nella vacanza sono anch’essi differiti al 16 aprile, seppur implicitamente: lo si desume dalla necessità di differire a sua volta l’udienza che in ipotesi non ne consente il decorso.
Ma tali singolari disposizioni, anche a cagione della loro infelice collocazione topografica solo nel terzo e quarto periodo del corpo del testo del comma 2, possono apparire come eccezioni, oppure la disciplina di situazioni diverse rispetto ai periodi che le precedono.

Riassumendo

Ci si chiede retoricamente: l’atto che scadeva per es. il 18 marzo andrà compiuto il 16 aprile cioè alla prima data utile dopo la fine dell’emergenza, oppure bisogna conteggiare una dilazione di diritto di 9 giorni (tra il 9 e il 18 marzo) e quindi dovrà compiersi il 24 aprile?
La stessa domanda è sovrapponibile per i termini che non scadono nella vacanza ma vi corrono attraversandola: per l’atto il cui termine partiva prima del 9 marzo e che doveva compiersi per es. il 4 maggio, la data rimane ferma al 4 maggio, oppure bisogna conteggiare una ulteriore dilazione di diritto di 38 giorni (tra il 9 marzo e il 15 aprile) che lo porta a scadere l’11 giugno?
La risposta forse è da cercare proprio nella disciplina degli atti i cui termini iniziali e a ritroso cadono nella vacanza, che certamente subiscono una dilazione, un rinvio ulteriore di diritto.
Non prevedere la medesima dilazione per il compimento degli altri atti in ipotesi esclusi, risulterebbe come soluzione irragionevole e sperequativa tra la posizione di chi si ritrova a dover compiere i primi e chi invece si ritrova a dover compiere gli altri.
E non giova replicare che la dilazione di diritto dei primi è giustificata dallo scopo “di ridurre al minimo quelle forme di contatto personale che favoriscono il propagarsi dell’epidemia”.
Questo perché anche per i termini iniziali si poteva mantenere la loro naturale scadenza se essa cadeva in ipotesi fuori dal periodo di vacanza: se il termine iniziale decorreva dal 9 aprile e scadeva per es. il 19 aprile, non v’era ragione di dilatarlo di diritto al 24 aprile, se l’unica ratio dell’emergenza è quella di evitare i contatti, come accade per le udienze che in ipotesi si celebreranno dal 16 aprile in poi.
Allo stesso modo non c’era bisogno di rinviare le udienze cui sono legati i termini a ritroso se esse erano previste in calendario dopo il periodo d’emergenza: non sfuggirà che il legislatore parla delle udienze previste fuori dal periodo dell’emergenza, poiché quelle ad esso intranee sono già rinviate di diritto al comma 1 dell’art. 83 in commento.
Infine, come abbiamo già detto, non aiuta l’altra esigenza espressa dalla Relazione illustrativa, ossia quella di neutralizzare l’effetto negativo del rinvio delle udienze di cui al comma 1.
Insomma, la ratio di una ipotetica dilazione di diritto anche degli atti che scadono nella vacanza e di quelli che non scadono nella vacanza ma i cui termini vi corrono attraversandola, per le ragioni già viste non è da collocare nella duplice esigenza indicata dalla Relazione illustrativa citata.

Ma andiamo avanti nell’indagine
Altre disposizioni previste nel resto del corpo dell’art. 83 sembrano soccorrere in favore di una dilazione di diritto onnicomprensiva dei termini processuali tout court assimilabile a quella d’agosto.
Il comma 20 sospende nello stesso periodo (9 marzo - 15 aprile) i termini per lo svolgimento di qualunque attività nei procedimenti stragiudiziali deflattivi del contenzioso, quando i predetti procedimenti siano stati promossi entro il 9 marzo 2020 e sempreché costituiscano condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
L’ultimo periodo del comma 21, conclude dicendo “sospesi i termini di durata massima dei medesimi procedimenti.”
Tale ultima disposizione comporta innegabilmente una dilazione di diritto dei termini, assimilabile a quella d’agosto.
Tale dilazione non esaurisce il suo effetto sui procedimenti stragiudiziali, ma di rimbalzo dilaziona nel tempo l’introduzione di quei processi che hanno a tema le materie oggetto di tentativo obbligatorio di composizione delle liti, che rappresentano statisticamente le materie di litigio più comuni e la maggioranza dei processi.
Dalla dilazione di rimbalzo sono quindi esclusi tutto il resto dei processi con a tema materie diverse da quelle per cui è previsto l’obbligo del tentativo di comporre la lite in via stragiudiziale.
Ebbene, immaginare una soluzione restrittiva, che neghi la dilazione di diritto di tutti i termini processuali tout court, anche questa volta determinerebbe una grave sperequazione tra chi se ne può giovare e chi no, come abbiamo visto accadere in favore di chi ha un termine iniziale o a ritroso che cade nel periodo di emergenza e chi no.
L’effetto di tutto ciò sarebbe quello di introdurre nel sistema processuale una differenziazione tra atti e istituti, oggetto o meno di quella dilazione di diritto, che in ipotesi diverrebbe foriera di conflitti interpretativi, quindi, del fiorire di impugnazioni, gravami, richieste di rimessione in termini, ecc.

Un argomento più convincente: la sospensione emergenziale

Ma gli argomenti della irragionevolezza, della sperequazione, o del rischio dell’aggravamento dei conflitti, non sono di per sé convincenti nel sostenere l’idea che la sospensione dei termini (comma 2 dell’art. 83 del d.l. n. 18/2020) comporti anche una dilazione di diritto di tutti quelli correnti nei 38 giorni (9 marzo - 15 aprile) come accade per i 30 giorni della più nota sospensione feriale.
Come abbiamo visto, in tal senso non giova nemmeno la “doppia esigenza” citata nella Relazione illustrativa più volte citata.
L’argomento più vigoroso in favore della dilazione lo si trova, forse, nell’idea o ratio complessiva del testo dell’art. 83, anticipata dalla sua rubrica.
Rubrica poi tradita dal testo della norma, che pare soffrire, oltre alla condizione topografica in cui si ritrova, anche un desiderio di completezza, o quello di dare magari una risposta alle ansie e sollecitazioni provenienti dalle diverse categorie professionali coinvolte, col rischio di sortirne l’effetto opposto: quello di rimanere ermetici proprio per l’aver troppo specificato.
La rubrica dell’art. 38 esprime la ratio, lo scopo nella formula: “Nuove misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare”.

La prima esigenza espressa in rubrica, ossia quella di contrastare l’emergenza epidemiologica, è infatti perseguita, non tanto dal comma 2, ma dal comma 1 con il differimento di diritto delle udienze, nonché da altre disposizioni sparse nel testo degli altri commi, atte a scongiurare i possibili contatti ravvicinati (vedi la ratio espressa e ripetuta nel comma 6).
In quanto al comma 2 sulla sospensione dei termini, per coadiuvare quell’esigenza d’evitar contatti personali, sarebbe bastato farli scivolare al 16 aprile, quando l’emergenza sarebbe finita. Ma questo non aiuta l’idea di una dilazione di diritto dei termini processuali tout court, anzi sembra deporre in senso contrario.

La seconda esigenza, quella di contenerne gli effetti in materia di giustizia, non dev’essere letta come riferita alle “nuove misure” processuali introdotte dallo stesso articolo, risulterebbe altrimenti tautologica: vorrebbe dire in ipotesi che si adottano delle misure di cui a sua volta si vogliono contenerne gli effetti...
Ma l’esigenza di contenerne gli effetti in materia di giustizia, va certamente letta come riferita all’emergenza epidemiologica in sé.

Quindi la sospensione dei termini di cui al comma 2 non è tanto destinata a contenere gli effetti del comma 1 (come erroneamente dice la Relazione illustrativa), ma a consentire agli operatori del diritto un giusto periodo di vacanza o di respiro o per recuperare l’arretrato, o come meglio si vorrà significarlo, per rimediare agli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica che anch’essi privatamente subiscono, come accade per la sospensione feriale d’agosto per rimediare agli effetti negativi dell’anno giudiziario trascorso: vacanze entrambe funzionali sia agli operatori del diritto e, di conseguenza, alla tutela dei diritti delle parti processuali.

Insomma, la ratio della sospensione dei termini di cui al comma 2 è la stessa prevista dalla sospensione d’agosto, ma declinata all’emergenza: se quella di agosto è una sospensione feriale, questa che stiamo vivendo è una sospensione emergenziale.
Di conseguenza anche quella emergenziale comporterà la sospensione del decorso dei termini processuali tout court come previsto per la sospensione feriale, e tale ratio vincerà ogni altra ipotesi restrittiva cui invero prestano il fianco le ambiguità del costrutto della norma in commento.
Ecco perché, vista in una così più ampia prospettiva, si può ben ripetere quanto da me già detto nel precedente articolo in prima battuta e nell’immediatezza della pubblicazione del comma in questione: “la norma non è identica, ma i principi sul computo dei termini e sulla disciplina di quanto non detto, sono certamente assimilabili a quelli che governano la sospensione feriale d'agosto” (p.to II de Le 9 cose più importanti e immediate da sapere).

Una possibile formula o lettura

Una miglior chiarezza della norma è ciononostante auspicabile e possibile con apposito intervento legislativo, visto che sino al 15 aprile è certo che i termini sono sospesi, rimane incerto se sono dilatati, tutti.
Come già detto, l’auspicio non è tanto legato a questioni meramente teoretiche, poiché questo è il momento d’essere pratici.
Ma la permanenza dell’ambiguità delle norme rischia di andare contro la loro stessa ratio: è possibile che all'alba del 16 aprile (o dell'ulteriore rinvio che si darà) molti avvocati correranno per scrupolo ad adempiere ciascuno l'atto scadente, ivi comprese le corse all'ufficio postale o all'ufficiale giudiziario, e alle relative occasioni di contatto, se si tratta di dover notificare un atto a persona, fisica o giuridica, priva di p.e.c. nei registri tassativamente indicati.
Anche in ragione del fatto, già denunciato nel precedente articolo, per il quale il legislatore nell’emergenza non ha per es. provveduto a sostituire, in tema di notifiche telematiche, il “Registro delle PP.AA” (ai sensi del DL 179/2012 art 16, comma 12), famoso perché per la stragrande maggioranza delle pubbliche amministrazioni manca il recapito p.e.c. cui indirizzare efficacemente gli atti giudiziari, con quello dell’ iPA - Indice delle Pubbliche Amministrazioni, completo degli indirizzi p.e.c. di tutte le sedi centrali e diramazioni territoriali di tutta l’amministrazione pubblica.
Insomma, più in generale, pare auspicabile che il legislatore offra nell’emergenza soluzioni più semplici e chiare, senza dare ascolto, magari, alle spinte che provengono da professionisti magari ormai lontani dalla pratica del diritto, come si desume dalle norme arzigogolate che ne derivano.

A tal fine sarebbe bastato, per es., parafrasare la stessa norma prevista per il periodo feriale limitando il comma 2 nel dire, per esempio:
“Il decorso dei termini processuali relativi ai procedimenti civili e penali è sospeso di diritto dal 9 marzo al 15 aprile 2020, e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine di detto periodo. Ove il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto.”
Limitandosi poi a specificare solo le eccezioni rispetto a determinati istituti e materie come si è fatto al comma 3.
Tutto il resto l’avremmo capito e dedotto da noi, anche noi artigiani del diritto, in quanto già svezzati in tal senso dalla numerosissima giurisprudenza esistente in tema di sospensione feriale.
Non c’era bisogno di altre specificazioni, quantomeno per quanto riguarda il compimento degli atti di parte in ambito civile e tributario.
Sempreché l’intenzione del legislatore non fosse quella di rimandare il compimento degli atti a dopo l’emergenza...

La legge che non si legge

Come si ripete, il lessico normativo moderno, se pareva inadeguato già in tempo di pace, è certamente deleterio in tempo d’emergenza o di guerra.
Certo, sarebbe sleale criticare chi in questi giorni sta lavorando, magari duramente, per dare espressione normativa alle esigenze quotidiane dell’emergenza.
Né si discute il merito delle scelte fatte dal Governo.
Ma affinché quelle scelte abbiano effetto, sarebbe prima necessario capire Cosa dice la legge che le esprime, per evitare di agire a Caso e creare Caos.
Si discute e contesta quindi la traduzione di quelle scelte in lessico normativo.
Di chi si occupa di stilare le norme, non si critica certo il lavoro materiale, che certamente sarà problematico, pesante, difficoltoso.
Ciò che si discute è l’incapacità di avere quella lucidità e quel polso che, nell’emergenza come in guerra, è necessario non solo nel momento in cui si prendono le scelte, ma anche nel momento in cui si devono tradurle in lessico normativo per renderle efficaci, efficaci non tanto e non solo in un piano teoretico, ma innanzitutto e principalmente nella pratica del mondo reale: nei momenti di emergenza a nessuno serve una legge che non si legge.
Ciò che si discute è il metodo, la difficoltà di emanciparsi dalla grammatica in uso, assolutamente inadatta all’emergenza: magari figlia dei suggerimenti e delle ansie di chi pare non operare da tempo nel mondo reale, cioè nel mondo di chi, come il sottoscritto, deve poi passare da quelle parole alla loro realizzazione pratica.
Ancora oggi, a distanza di quasi un mese, la gente comune non ha capito bene le regole sulla mobilità dalla propria abitazione, e confesso che anch’io, che nonostante i poveri mezzi sono un avvocato, ho avuto non poche difficoltà a riassumerle per i miei amici e clienti.
Molte delle disposizioni che noi tutti stiamo leggendo, il più delle volte si muovono come un cecchino che cerca di colpire, tra le mille disposizioni che concorrono a disciplinare una fattispecie, quella che deve spegnersi o declinarsi in favore delle esigenze dell’emergenza.
Così si legge che un tale comma è sostituito a quello di un tale articolo in seno ad un’altra legge, che dopo un periodo interno ad un comma si deve aggiungere una locuzione o sostituire un avverbio o una congiunzione “e” con la “o”, che una norma richiama un'altra per poi scoprire che di quella richiamava alcune locuzioni e non altre, e via di seguito.
Un simile lessico, sia fatto in pace o in guerra, è la prova incontestabile del fatto che negli ultimi decenni, e forse più, chiunque si sia occupato del sistema normativo e del suo linguaggio, chiunque abbia avuto voce in capitolo, è scientificamente risultato inadeguato, o quantomeno miope sino quasi alla cecità.
L’emergenza come la guerra fungono in tal senso da incontestabili cartine tornasole, da “tamponi” direi in senso più appropriato al periodo corrente...
Non so con quale spirito quelle voci “autorevoli” potranno farsi risentire pubblicamente.
Non si è stati capaci di formulare un archetipo di provvedimento normativo, chiaro e semplice, quindi immediatamente efficace, di conseguenza l’unico e il solo possibile in un’emergenza.
Un provvedimento, magari, di fonte primaria, di cui sia espressa incontestabilmente la ratio, e che, per così dire, come un ventaglio chiuso entri nell’ordinamento per poi aprirsi e dispiegare il suo vigore, spolverando via in un sol colpo, e senza bisogno di interventi mirati da cecchini, le norme incompatibili con esso o comunque con la ragione espressa del provvedimento, risultando così abrogate, o rese momentaneamente inefficaci, tutto il resto delle disposizioni contrarie.

Estote parati, è la regola che imparai dagli scout.
Da lontano non si comprende se chi si occupa del linguaggio normativo è costretto ad ereditare il lavoro passato, e se tutto ciò sia il frutto di una cattiva abitudine, o di pigrizia, o se piuttosto vi sono precise ragioni, anche giuridiche, che da questa lontana periferia in cui scrivo sfuggono e fanno risultare illeggibili quelle leggi.
E’ certo, però, che se tra le pieghe della Costituzione o di altre fonti primarie non si trova il modo o il mezzo per semplificare le cose, allora tale rimedio è necessario introdurlo al più presto.
Si spera così che tra tanti anni, semmai si avrà bisogno di rimediare ad una nuova emergenza, non siano i decreti che stiamo leggendo quelli che si riutilizzeranno come archetipo per un futuro intervento. Ripeto, non parlo delle scelte, ma della loro espressione e realizzazione nel linguaggio performativo delle norme.
Per evitare questo, è assolutamente necessario rimescolare le carte.
Così come quelle sulla mobilità da casa, anche le norme sulla mobilità dei termini processuali, come abbiamo visto, risultano ambigue, sia per la loro difficoltosa collocazione topografica, che per il fatto di troppo specificare.
Con la norma in commento, si è per es. pressato un intero decreto (quello dell’8 marzo) sotto un unico articolo (l’art. 83 del decreto del 17 marzo), che a sua volta fa parte di un più ampio provvedimento che interviene su molteplici temi, un po’ come accade nelle leggi finanziare.
L’ultimo dpcm del 22 marzo ha evidenziato l’importanza della professione forense, non sospendendola.
Siamo noi umili artigiani del diritto a ritrovarci ad applicare nell’immediatezza le norme emergenziali, non possiamo aspettare che le interpretazioni si omologhino nel tempo, magari con un intervento nomofilattico, abbiamo bisogno di semplicità e chiarezza, proprio come i comuni cittadini che ancora non hanno capito come potersi muovere da casa o tra i territori, e finiscono per diffondere un’epidemia.
Nell’emergenza non si ha il tempo di aspettare, come ormai siamo abituati, che ci dica la sua la Cassazione, magari a Sezioni Unite, oppure lo facciano prima quelle voci così autorevoli in tempo di pace ma che in tempo di guerra sembrano muoversi con l’agilità di un elefante obeso, la pusillanimità di un coniglio, quando non hanno messo la testa sotto la sabbia come gli struzzi.

*Potrete rileggere l’articolo aggiornato sul mio sito.
Luigi Stissi,
avvocato del foro di Catania
luigistissi@tiscali.it
www.studiolegalestissi.it

Luigi Stissi

Luigi Stissi è avvocato del foro di Catania. E' possibile contattarlo all'indirizzo email

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