Questione di rilevante interesse è quella della responsabilità civile dell’organizzatore di eventi sportivi per i danni subiti nello svolgimento degli stessi dagli atleti che vi hanno preso parte.

Trattasi di materia assai complessa, laddove i principi cardine della responsabilità civile ordinaria trovano un argine nella prassi giurisprudenziale specifica che tiene conto della natura, della funzione e dell’impatto sociale del “fatto sportivo”. Si è giunti sul punto a parlare di responsabilità civile sportiva regolata da un “diritto consuetudinario”.

L’elemento chiave di detto orientamento giurisprudenziale è quello del cosiddetto “rischio consentito”; ossia l’atleta che partecipa ad una competizione sportiva accetta le potenziali conseguenze dannose ad esso riconducibili secondo un ragionevole giudizio di consequenzialità.

Anche nel caso di evento sportivo qualificabile quale attività pericolosa ex art. 2050 c.c., in virtù del rischio accettato dall’atleta nel parteciparvi, l’organizzatore sarà esonerato da ogni profilo di responsabilità per i danni patiti dall’atleta “dimostrando di aver predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi”.

Riportiamo di seguito le massime alcune pronunce che riassumono l’orientamento della giurisprudenza di legittimità ormai consolidato.


Cass. civ. Sez. III, 27/10/2005, n. 20908
L'attività sportiva agonistica implica l'accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, per cui i danni da essi eventualmente sofferti rientranti nell'alea normale ricadono sugli stessi, onde è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi; accertamento affidato alla valutazio-ne del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato (Cass. 20 febbraio 1997, n. 1564; 10 luglio 1968, n. 2414, la quale ammette la risarcibilità dei soli danni cagionati dall'attività di terzi inseritisi con un comportamento illecito nello svolgimento dell'esercizio sportivo).
Principio questo che, una volta verificata la normalità dell'alea e la relativa accettazione da parte del partecipante alla gara, esclude l'illiceità del comportamento e, dunque, l'applicabilità alla fattispecie della disposizione di cuiall'art. 2050 c.c. , la quale pur sempre presuppone la commissione di un illecito aquiliano.

Cass. civ. Sez. III, 20/02/1997, n. 1564
Nell'attività agonistica c'è accettazione del rischio da parte dei gareggianti, per cui i danni da essi eventualmente sofferti nell'occasione rientrammo nell'alea normale e ricadono sugli stessi; di talché è sufficiente che gli organizzatori - al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità - abbiano predisposto le cose in maniera regolare e cioè in maniera di contenere il rischio nei normali limiti confacenti alla specifica attività sportiva apprestando le opportune cautele nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi (Cfr. Cass. n. 2414 del 1968).
Nella specie è stato positivamente accertato dal giudice a quo, con apprezzamento di fatto delle risultanze probatorie - insindacabile nel giudizio di legittimità siccome adeguatamente motivato - non solo che gli organizzatori non hanno posto in essere il comportamento antigiuridico loro addebitato, ma anche che l'evento è da ascrivere al fatto che due sidercross si erano agganciati rimanendo in mezzo alla pista mentre sopraggiungevano gli altri concorrenti, tra i quali l'attore.


Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2009, n. 3528
Ora, è certo che l'atleta impegnato in una manifestazione agonistica accetta di esporsi a quegli incidenti che ne rendono prevedibile la verificazione, perchè a produrli vi concorrono gli inevitabili errori del gesto sportivo proprio o degli altri atleti impegnati nella gara, come gli errori di manovra dei mezzi usati.
E questo esclude che delle conseguenze di tali incidenti debbano rispondere i soggetti cui spetta predisporre e controllare il campo di gara
.
Ma è proprio tale insita pericolosità della attività di cui si assume l'organizzazione ad imporre che questa non sia aumentata da difetto od errore nella predisposizione delle misure che debbono connotare il campo di gara, in modo da evitare che si producano anche a carico dell'atleta conseguenze più gravi di quelle normali.
Sicché, l'attività di organizzazione di una gara sportiva connotata secondo esperienza da elevata possibilità di incidenti dannosi, non solo per chi vi assiste, ma anche per gli atleti, è da riguardare come esercizio di attività pericolosa, ancorché in rapporto agli atleti nella misura in cui li esponga a conseguenze più gravi di quelle che possono essere prodotte dagli stessi errori degli atleti impegnati nella gara.

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