INDENNIZZO DIRETTO: RIFLESSI PROCESSUALI E QUESTIONI NON RISOLTE
Pubblicato il: 5 Ottobre 2010 - 09:16
Sezione: Civile
Relazione dell'Avv. Olivia Domeniconi
INDENNIZZO DIRETTO: RIFLESSI PROCESSUALI E
QUESTIONI NON RISOLTE
Vedo tra i presenti molti colleghi esperti nella materia dell’infortunistica stradale, ma, per chi magari così esperto nella materia non è, ritengo opportuno fare una breve panoramica sulla procedura di indennizzo diretto.
Tale procedura è stata introdotta con l’art.149 del D.Lgs. 7.9.2005 n.209, il Codice della Assicurazioni, che ha previsto che “In caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti, i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all’impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo
utilizzato.”
I veicoli per i quali, in caso di sinistro, è invocabile la procedura di indennizzo diretto sono: a) veicoli immatricolati in Italia (compresi i ciclomotori muniti di targa nuova, in pratica per tutti immatricolati dopo il 14/7/2006)
b) veicoli immatricolati nella Repubblica di San Marino e nello Stato Città del Vaticano, se
assicurati con compagnia italiana o con compagnia esercente in regime di libertà di
stabilimento o di libera prestazione di servizi, che abbia aderito al sistema di risarcimento
diretto.
Se vi doveste trovare di fronte a tale ipotesi, potrete sempre verificare sul sito dell’ANIA
(www.ania.it) quali siano le compagnie che hanno aderito alla nuova procedura di
indennizzo diretto.
Quindi sono ancora esclusi da tale sistema risarcitorio: ciclomotori con la cosiddetta
“targhetta”, le macchine operatrici e i trattori e le macchine agricole.
In particolare vi segnalo che, contrariamente a quanto avrebbe dovuto avvenire, e cioè
che dal 1 febbraio 2008 l’indennizzo diretto avrebbe dovuto trovare applicazione anche alle
macchine agricole, con la Legge 222/2007, che ha convertito in legge il Decreto legge
n°159/2007, ha escluso in via definitiva dalla procedura del risarcimento diretto dei sinistri
RC auto, le macchine agricole. Però, tenete conto che nel caso in cui doveste agire per il
recupero dei danni subiti dai trasportati sulla macchina agricola trova applicazione l’art.141
del C.d.A., quindi, il terzo trasportato viene risarcito dalla Compagnia assicuratrice della
macchina agricola.
Pertanto, l’indennizzo diretto non si applica:
quando i veicoli coinvolti sono più di due
quando uno dei veicoli coinvolti non è regolarmente assicurato
quando uno dei veicoli coinvolti non è stato immatricolato in Italia
quando una delle parti coinvolte non è un veicolo a motore o è una macchina
operatrice
quando sono coinvolti pedoni, ciclisti, beni immobili
quando uno dei due veicoli coinvolti è un ciclomotore con “targhino”
quando il danno non è derivante da circolazione stradale
quando le lesioni riportate siano superiori al 9% di invalidità permanente
quando non c’è impatto tra i veicoli (sasso caduto dal cassone, manovra di evasione
per evitare la collisione …)
Entrando ora nel vivo dell’argomento affidatomi, partirei dalla “forma della richiesta
risarcitoria”, poiché, come mi riferiscono anche alcuni colleghi, ormai quasi tutti i legali che
tutelano le compagnie assicuratrici nel costituirsi in giudizio, eccepiscono l’improponibilità
della domanda per non avere la richiesta di risarcimento i requisiti richiesti dalla legge.
Vi ricordo che la lettera di messa in mora deve contenere i requisiti previsti dall’art. 6 del
regolamento attuativo e quindi i seguenti elementi:
nomi degli assicurati
le targhe dei due veicoli coinvolti
la denominazione delle rispettive assicurazioni
la descrizione delle circostanze e delle modalità del sinistro
le generalità di eventuali testimoni
l’indicazione dell’eventuale intervento degli organi di polizia
il luogo, i giorni e le ore in cui le cose danneggiate sono disponibili per la perizia
diretta ad accertare l’entità del danno.
Ed inoltre, nel caso di lesioni subite dal conducente anche:
l’età, l’attività ed il reddito del danneggiato
l’entità delle lesioni subite
la dichiarazione di cui all’art. 142 del C.d.A. circa la spettanza o meno di prestazioni
da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie
l’attestazione medica comprovante l’avvenuta guarigione, con o senza postumi
permanenti
l’eventuale consulenza medico legale di parte, corredata dall’indicazione del
compenso spettante al professionista.
Bisogna porre molta attenzione a questi elementi perché mentre con la previgente
legislazione, cioè con la legge 990/1969 non era indispensabile dover indicare nella lettera
raccomandata tutti gli elementi richiesti, purchè la Compagnia assicuratrice fosse in grado
di conoscere l’esistenza del sinistro, ora la musica sembra cambiata e alcuni giudici hanno
accolto la tesi secondo cui l’art.148, II comma, C.d.A. ha introdotto un formalismo
obbligatorio per la richiesta di risarcimento che deve necessariamente contenere tutte le
indicazioni previste, ad esempio il Tribunale di Torino con la sentenza n°6070/2007 ha
ritenuto che le omissioni di alcune indicazioni (ad esempio del codice fiscale) anche se
irrilevanti ai fini risarcitori, costituiscono carenza del contenuto di un atto formale tipico
contemplato dall’ordinamento quale condizione di proponibilità della domanda e che, in
quanto tale, si sottrae alla disciplina dell’articolo 156 c.p.c., che dispone che la nullità non
può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato. Questo
Tribunale ha sostenuto che questo gravoso, e a mio avviso inutile, onere, non è
incostituzionale, poiché di fatto non costituisce una preclusione alla tutela giurisdizionale
del diritto, ma un semplice e giustificato adempimento preliminare; non ci ha spiegato,
però, il Tribunale di Torino, dove rinvenga la giustificazione dell’obbligo di tale
adempimento.
Sono abbastanza critica su questa posizione perché ritengo che i giudici che hanno aderito
e aderiscono a questa interpretazione restrittiva della norma avrebbero dovuto valutare se
questa norma di carattere processuale trovi giustificazione nella legge delega e quindi in
quanto previsto dall’art. 76 della Costituzione.
Infatti, se questi giudici si soffermassero all’esame di questa questione non potrebbero
non rilevare l’incostituzionalità della norma perché questi inutili adempimenti hanno senza
dubbio peggiorato la situazione del danneggiato-consumatore e conseguentemente violato
l’art. 4 della L. 229/2003 (legge delega) che prescriveva, invece, che il riassetto delle
disposizioni vigenti in materia di assicurazioni si ispirasse al principio della tutela dei
consumatori.
Oltre a ciò, la legge delega non mi pare aver conferito al governo alcun potere di
introdurre norme di portata procedurale, come invece dobbiamo ritenere essere quella di
cui all’art. 148, II comma.
Comunque, ritengo, confortata anche da recente giurisprudenza, che se è vero che la
richiesta di risarcimento deve essere completa di tutti gli elementi previsti dall’art. 6 del
Regolamento attuativo, sia altrettanto vero che se la Compagnia non richiede
l’integrazione della richiesta di risarcimento nel termine di trenta giorni dal ricevimento,
previsti dal comma quinto dell’art. 148 la richiesta di risarcimento dovrà considerarsi
completa perché evidentemente l’assicurazione tale l’ha ritenuta e non ha sentito la
necessità di chiederne l’integrazione e, conseguentemente, trascorsi i termini prescritti
dall’art. 148 potrà proporre domanda giudiziale.
La fase stragiudiziale del risarcimento diretto è modellata dal Regolamento Attuativo della
disciplina del risarcimento diretto (D.P.R. 18.7.2006 n.254) secondo uno schema affine a
quello disegnato dall’art. 148 del C.d.A. per la procedura ordinaria e la procedura viene
infatti avviata dal danneggiato con l’invio al proprio assicuratore della richiesta di
risarcimento, da trasmettersi a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento,
secondo quanto previsto dal II° comma dell’art.145 del C.d.A..
Però, giusto per complicare la vita a noi che con queste norme ci dobbiamo lavorare,
l’art.5 comma 2 del Regolamento Attuativo prevede che “La richiesta è presentata
mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o con consegna a mano o a
mezzo telegramma o telefax o in via telematica, salvo che nel contratto sia esplicitamente
esclusa tale ultima forma di presentazione della richiesta di risarcimento.”
Pare quindi che il Regolamento Attuativo abbia introdotto un principio di equipollenza delle
forme di presentazione della richiesta risarcitoria, per consentire all’assicurato di avviare la
procedura di indennizzo, anche utilizzando strumenti più facili della raccomandata a.r..
L’ANIA, a fronte di questa differente disciplina, ha ritenuto di poter far propria
un’interpretazione per così dire restrittiva secondo la quale ai fini del decorso del termine
di proponibilità della domanda giudiziale sia comunque e sempre necessario l’invio della
lettera raccomandata a.r., come previsto dall’art. 145 C.d.A.. A me pare che tale posizione
sia assolutamente antitetica rispetto allo spirito della disposizione attuativa ed anzi venga
a privare l’art. 5 del regolamento Attuativo della forza dispositiva che gli è propria; da non
dimenticare che il Regolamento Attuativo è stato emanato successivamente al C.d.A. e che
lo scopo dei Regolamenti di Attuazione è proprio quello di semplificare i contenuti della
norma, rendendola più comprensibile all’utente.
Ritengo quindi che non vi sia alcun dubbio che il danneggiato che intenda agire in via di
indennizzo diretto possa utilmente far decorrere i termini di proponibilità presentando la
propria domanda in una qualsiasi delle forme alternativamente previste dal Regolamento
Attuativo.
Si potrà, piuttosto, porre un problema di prova, poiché non tutti gli strumenti indicati
dall’art. 5 comma 2 sono dotati di forza probatoria uguale e comunque sufficiente ad
individuare la data di ricezione della comunicazione da parte dell’assicuratore senza
incertezze.
In caso di contestazione da parte dell’assicuratore, il rapporto di trasmissione via fax o
l’eventuale messaggio elettronico di “conferma lettura” della mail, potrebbero non essere
idonei a dimostrare l’effettiva ricezione della richiesta e sarà, pertanto, buona norma che il
legale, o il danneggiato, utilizzi preferibilmente la raccomandata a.r. o la raccomandata “a
mani” dietro rilascio di documento attestante l’avvenuta consegna.
In merito a questo argomento, ritengo che, anche se non è stato precisato dal legislatore,
sia opportuno che alla comunicazione a mezzo e-mail si dia luogo solo se l’Impresa
assicurativa sia dotata di un indirizzo di posta elettronica certificata e solo nel caso in cui
chi invia la richiesta di risarcimento sia in grado di autenticarla con firme digitale: in caso
contrario, si potrebbero porre delle questioni sia relativamente alla ricezione del
messaggio, sia al suo contenuto nonché in relazione all’autenticità della sua provenienza;
poiché non dobbiamo mai dimenticare che la richiesta di risarcimento costituisce anche un
atto interruttivo della prescrizione, ritengo che in difetto di posta certificata e firma digitale
sia un mezzo di comunicazione da evitarsi per non incorrere, oltre che in eccezioni di
improponibilità della domanda, in una ben più grave eccezione di prescrizione.
Vi segnalo comunque sul punto un’interessante sentenza proprio del Tribunale di Verona
del 20051 che ha ritenuto che l’e-mail, in quel caso contente una preomessa di
pagamento, costituisce prova scritta poiché essendo un documento informatico la
presenza di un codice identificativo permette di individuare la sua provenienza ed inoltre
perché si può equiparare al telegramma non accompagnato da un originale sottoscritto
valutato come scrittura privata in base all’art. 2075 c.c.
Per quanto riguarda invece la comunicazione via fax, io ritengo comunque che sia da
evitare, nonostante la giurisprudenza anche più recente l’abbia ritenuto un mezzo
assolutamente idoneo a far presumere che l’atto o la comunicazione siano giunte al
destinatario, però, l’invio a mezzo fax non fornisce la certezza assoluta della data e dell’ora
in cui il messaggio è stato ricevuto dal destinatario, quindi, astrattamente, il fax potrebbe
sostituire la raccomandata postale, a condizione però che offra le stesse garanzie di
certezza, sia in merito all’avvenuta ricezione della comunicazione, sia in merito alla data in
cui essa è avvenuta.
Sappiamo tutti che la data e l’ora di trasmissione vengono registrati sul “rapporto di
trasmissione” sulla base dei dati impostati nell’apparecchio telefonico dal quale il fax viene
spedito: dati che in ogni momento possiamo modificare, qui di manca sostanzialmente
l’oggettiva e certa conoscibilità della data di trasmissione del telefax, proprio perché quella
indicata nel rapporto di trasmissione è una data che dipende dalla impostazione immessa
dall’utilizzatore del fax. Utilizzando questo sistema, ci si esporrebbe quindi alle stesse
eccezioni della mail e ci vedremmo poi costretti a formulare fastidiose prove per
dimostrare che l’invio e la ricezione sono avvenuti effettivamente nella data e nell’ora
indicati nel rapporto di trasmissione. Ovviamente tutto ciò viene superato nel caso in cui la
Compagnia assicuratrice ci invii una comunicazione nella quale, magari per chiedere
l’integrazione degli elementi mancanti nella richiesta di risarcimento, fa riferimento proprio
all’e-mail del giorno tot o al fax del giorno tot.
Ultimamente viene sollevata anche un’altra eccezione per sostenere l’improponibilità della
domanda giudiziale e, cioè, il mancato invio della lettera contenente la richiesta di
risarcimento “per conoscenza” all’assicuratore dell’altro veicolo coinvolto nel sinistro.
Effettivamente l’art. 145 comma 2 richiede tale adempimento, mentre non ve ne è
menzione nel Regolamento Attuativo.
Mi chiedo se tale comunicazione per conoscenza debba essere trasmessa con
raccomandata a.r. (o nelle altre forme previste dal Regolamento di Attuazione) e se il
mancato invio costituisca motivo di improponibilità della domanda di azione diretta.
Mi sembra che debba propendersi per la soluzione negativa per tutte e due le
considerazioni, sia perché, comunque, l’art. 145 nulla dispone in proposito, sia perché
l’impresa del responsabile civile (o del presunto tale) dispone di un altro canale informativo
privilegiato, dal quale ottenere immediatamente le informazioni occorrenti alla verifica
della copertura assicurativa e all’accertamento della dinamica del sinistro ed è l’art. 5
comma 3 del Regolamento Attuativo, a norma del quale “l’impresa che ha ricevuto la
richiesta ne dà immediata comunicazione all’impresa dell’assicurato ritenuto in tutto o in
parte responsabile del sinistro, fornendo le sole informazioni necessarie per la verifica della
copertura assicurativa e per l’accertamento delle modalità di accadimento del sinistro”.
Ritengo, quindi, che la presentazione della richiesta risarcitoria da parte del danneggiato
alla propria compagnia di assicurazione metta in moto un meccanismo di informativa a
carico dell’impresa gestionaria che dovrà rendere edotta l’impresa debitrice dell’avvio della
procedura e degli elementi essenziali affinché la stessa, confrontandoli con quanto
denunciato dal proprio assicurato, possa rappresentarsi la situazione di fatto e di diritto.
Vi faccio però presente che questo non mi pare essere l’indirizzo dei Giudici di Pace di
Verona, o almeno non di tutti, poiché mi è stato riferito che in qualche caso hanno
concesso termine per produrre copia della lettera inviata “per conoscenza” ritenendo, in
difetto, di dover dichiarare l’improponibilità della domanda.
Quindi, consiglio mio, meglio inviare sempre, anche tramite fax, una copia della lettera di
intervento anche all’altra compagnia, magari presso l’ispettorato sinistro.
Sempre con riferimento alla fase stragiudiziale, altro problema che abbiamo incontrato è
stato quello di capire a chi debba essere indirizzata la lettera di richiesta danni che viene
inviata dal datore di lavoro per la mancata utilizzazione delle prestazioni lavorative a
seguito dell’infortunio subito dal proprio lavoratore a causa di un incidente stradale con
responsabilità di terzi. La questione è stata dibattuta soprattutto per quanto riguarda la
posizione dell’I.N.A.I.L. quando si surroga per ottenere il risarcimento delle prestazioni
fornite al lavoratore, ma ritengo che sia per il datore di lavoro che per l’I.N.A.I.L. valgano
le medesime conclusioni.
In particolare ci si è chiesti se nel caso di rivalsa del datore di lavoro o dell’I.N.A.I.L. la
procedura dell’indennizzo diretto fosse esclusa, quindi non applicabile neppure al
lavoratore/danneggiato, se rimanesse riservata al solo lavoratore/danneggiato, e non
quindi al datore di lavoro o I.N.A.I.L. che avrebbero dovuto agire in via ordinaria, oppure
se fosse applicabile a tutti i soggetti coinvolti.
Ritengo che la prima soluzione, cioè l’esclusione della procedura di indennizzo diretto,
potrebbe trovare fondamento nella considerazione che i presupposti di legge
escluderebbero l’intervento di altro soggetto, poiché lo scopo di questa procedura è quello
di semplificare ed accelerare la liquidazione del danno a favore del conducente non
responsabile. La seconda soluzione, quindi indennizzo diretto per il conducente e
procedura ordinaria per il datore di lavoro, mi sembrerebbe la strada più corretta da seguire perché la normativa parrebbe ritenere il solo conducente beneficiario del
risarcimento diretto, ma in realtà l’ultima soluzione, e quindi indennizzo diretto per
entrambi i soggetti, è l’opinione più diffusa perché viene rilevato che mentre nel caso del
terzo trasportato si tratta di un danno diverso da quello del conducente, è sostanzialmente
un danno a se, la rivalsa del datore di lavoro, al pari della surroga dell’I.N.A.I.L. riguarda il
medesimo diritto del danneggiato/conducente. Peraltro, l’art. 25 della Convenzione fra
Assicuratori, cosiddetto CARD, stabilisce espressamente che nell’ambito del forfait dei
rimborsi fra Compagnie, rientrano anche le gestioni delle azioni di rivalsa dei datori di
lavoro.
Passando ora alla fase per così dire giudiziale, uno dei primi problemi che ci siamo posti
all’indomani dell’introduzione dell’indennizzo diretto è stato: ma è proprio obbligatorio che
il danneggiato sussistendo i presupposti di cui all’art. 149 – 150 del C.d.A. si rivolga alla
propria Compagnia di Assicurazione? O invece l’indennizzo diretto è facoltativo?
Questa domanda devono essersela posta anche i giudici di merito se in più d’uno2 hanno
rimesso la questione di legittimità costituzionale alla Consulta e la Corte Costituzionale alla
fine si è espressa dapprima con l’ordinanza 205/20083 e poi le ordinanze n°440 e n°4414
del 23/12/2008.
Premesso che in tutti e tre i casi le questioni di legittimità costituzionale sono state
dichiarate inammissibili per motivi formali, non le ha ritenute però infondate e si è limitata
ad enunciare i criteri di quella interpretazione orientata degli articoli 141, 149, 150 del CdA
che, se seguiti dai giudici di merito, avrebbero senza dubbio escluso la sussistenza dei
dedotti dubbi di costituzionalità.
Infatti, nella parte motiva, delle ordinanze di cui ho detto, si leggono le identiche parole, e
cioè: “….. peraltro, i giudici rimettenti non hanno adempiuto all’obbligo di cercare una
interpretazione costituzionalmente orientata della norma impugnata, nel senso, cioè, che
essa si limita a rafforzare la posizione dell’assicurato rimasto danneggiato, considerandolo
soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della propria
compagnia assicuratrice, senza peraltro togliere la possibilità di far valere i suoi diritti
secondo i principi della responsabilità civile dell’autore del fatto dannoso”; rilevando
correttamente che tale interpretazione avrebbe consentito di superare i prospettati dubbi
di costituzionalità.
Alla luce dei principi enunciati da queste ordinanze della Corte Costituzionale, la
giurisprudenza di merito5 si è prontamente adeguata dichiarando che al danneggiato che
potrebbe agire direttamente per il risarcimento contro il proprio assicuratore, è consentito
anche di agire anche nei confronti del responsabile civile e della sua Compagnia di
assicurazioni.
Al riconoscimento della facoltatività dell’azione diretta contro la propria assicurazione, i
Giudice di merito arrivano attraverso una interpretazione letterale delle norme, in pratica
dicono: in presenza delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 149 C.d.A. (quindi
sinistro tra due veicoli a motore assicurati per RCA) il danneggiato DEVE rivolgere la
richiesta di risarcimento alla propria compagnia di assicurazione.
In caso di comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto e di diniego o
mancanza di offerta, il sesto comma prevede testualmente che il danneggiato PUO’
proporre l’azione diretta di cui all’art. 145, II comma, ne soli confronti della propria
impresa di assicurazione.
Segnalo su punto che è intervenuto anche un parere del Consiglio di Stato (n°4230 del
15/12/2008), che pare ritenere l’indennizzo diretto facoltativo. Infatti, si legge che “la
procedura di risarcimento diretto consiste nella possibilità per i danneggiati di rivolgere la
richiesta di risarcimento alla propria impresa di assicurazione anziché a quella che ha
assicurato il veicolo del danneggiante, così come era avvenuto fino ad allora”.
Quindi, il danneggiato può e non deve proporre l’azione nei confronti della propria
assicurazione.
Nel caso in cui decida di avvalersi di questa facoltà procede nei confronti della sola
compagnia assicuratrice del proprio veicolo (tornerò poi sull’argomento per alcune
precisazioni in merito all’argomento).
Se invece decide di avvalersi dell’altra procedura, quella ordinaria per comprenderci, dovrà
procedere sia nei confronti della Compagnia del responsabile civile, che nei confronti dello
stesso responsabile, che è litisconsorte necessario, come stabilito dall’art. 144 del C.d.A.
Ovviamente, presupposto per la proponibilità dell’azione è l’osservanza di quanto disposto
dagli artt. 145/148 C.d.A. e quindi bisogna necessariamente avere inviato alla Compagnia
del responsabile la richiesta di risarcimento danni, inviata a mezzo raccomandata con
ricevuta di ritorno, e nel rispetto dello spatium deliberandi.
Altro problema che si siamo posti quando ci siamo trovati a promuovere le prime azioni
giudiziarie relative a sinistri rientranti nell’indennizzo diretto è stato quello di “chi citare?”,
la sola compagnia dell’assicurato/danneggiato, questa ed il responsabile civile, questi due
e la compagnia del responsabile civile?
Come ho ricordato prima, il comma 6 dell’art. 145 C.d.A. prescrive che, in caso di mancato
accordo, “il danneggiato può proporre l’azione diretta di cui all’art. 145 comma 2 nei soli confronti della propria impresa di assicurazione …” .
Bisogna quindi chiarire se sia obbligatorio o meno convenire in giudizio, oltre all’impresa
assicuratrice del veicolo del danneggiato/attore, anche il preteso responsabile civile.
Il GdP di Napoli, con un’ordinanza del 2007, ha addirittura imposto all’attore/danneggiato
che aveva citato in giudizio la sua sola compagnia di assicurazione di integrare il
contraddittorio nei confronti del responsabile civile.
Recentemente, il GdP di Lecce6 ha respinto l’eccezione preliminare con cui il responsabile
civile, citato in giudizio unitamente all’ass.ne dell’attore/danneggiato, chiedeva di essere
estromesso. Il GdP di Lecce ha ritenuto che la mancata partecipazione del resp. Civ. nella
procedura di risarcimento comporta una serie di problemi di grande rilevanza, quali ad
esempio il rischio di un contrasto di giudicati nel caso in cui il danneggiante promuova la
stessa procedura nei confronti della propria compagnia di assicurazioni; il resp. Civ., non
partecipando al giudizio, non potrebbe difendersi per evitare gli effetti negativi consistenti,
ad es., nell’aumento del premio assicurativo e nell’eventuale superamento del massimale
(che a me pare un’ipotesi alquanto remota, posto che i massimali sono attualmente tutti
superiori ad € 750.000 e che, trattandosi di indennizzo diretto, le lesioni non devono
superare il 9% di invalidità); che sarebbe impossibile l’accertamento pregiudiziale della
sussistenza dei presupposti di fatto su cui si fonda l’azione, e cioè che il fatto che si sia verificato il sinistro; la mancanza di responsabilità in capo al conducente del veicolo
presunto danneggiante…
La dottrina sul punto si è espressa in senso affermativo ritenendo che necessariamente in
caso di azione proposta con risarcimento diretto ai sensi del combinato disposto degli
articoli 144, comma III, 145, comma II e 149, comma VI deve essere convenuto in
giudizio anche il responsabile civile.
Sostanzialmente la dottrina dice che l’articolo 149, comma VI, nella parte in cui prevede
che l’azione diretta si debba promuovere nei soli confronti della propria assicurazione,
vuole significare che non si debba coinvolgere nel giudizio anche l’assicurazione del
responsabile civile, come di norma avveniva per il passato ed avviene ancora oggi quando
si debba procedere con azione ordinaria, ma non è sostenibile spingersi sino a ritenere che
la causa non debba coinvolgere anche il responsabile. Infatti, dice la dottrina, si vi è un
richiamo all’istituto dell’azione diretta, in quest’ultimo è sempre prevista come essenziale la
partecipazione del responsabile, il quale, anche nella previsione dell’articolo 144, comma
III, conserva la qualità di litisconsorte necessario.
Ritengo che la posizione della dottrina sia assolutamente condivisibile poiché sarebbe
impensabile un giudizio che venga portato avanti da una parte nei confronti della propria
compagnia assicurativa, senza che il responsabile ne sia in qualche modo notiziato poiché
non risulta che la Compagnia dell’attore/danneggiato abbia un obbligo di comunicazione al
responsabile civile. Alcuni esempi pratici ci consentiranno di capire perché questa
posizione sia di gran lunga la preferibile:
in primo luogo, pensiamo al caso in cui al sinistro non abbiano assistito testimoni e che
quindi il danneggiato non possa utilizzare tale mezzo di prova per dimostrare il verificarsi
del sinistro tra due veicoli a motore e le modalità del sinistro: in tale caso, l’unico mezzo di
prova che l’attore/danneggiante ha per dimostrare l’evento e le modalità dell’evento è
l’interrogatorio formale che, come tutti sappiamo, tende a provocare la confessione
giudiziale.
Ma, tale mezzo di prova, è esperibile solo nei confronti delle parti citate in giudizio,
costituitesi o meno. Se non si cita in giudizio il responsabile civile, come si potrà
dimostrare l’evento e la riconducibilità dell’evento alla responsabilità dell’altro soggetto
coinvolto nel sinistro?
E non mi si venga a dire che la propria Compagnia di assicurazione citata in giudizio dal
danneggiato non solleverà certo eccezioni in merito alla dinamica del sinistro: vi ho detto
prima delle eccezioni che i legali delle Compagnie stanno sollevando, anche per aspetti
formali che definirei di secondo piano.
Ad ogni buon conto, vi ricordo che l’art. 2697 codice civile, prescrive che chi vuol far valere
un diritto in giudizio deve provarne i fatti che ne costituiscono il fondamento. Nel caso
dell’indennizzo diretto, si dovrà quindi provare:
- che si è verificato un incidente stradale tra veicoli a motore (compresi i ciclomotori
con targa nuova);
- che vi è stato scontro tra i veicoli;
- che il veicolo dell’attore/danneggiato ha subito danni e provare i danni subiti;
- che in caso di conducente ferito, le lesioni hanno determinato un danno biologico
pari o inferiore al 9%;
- l’esistenza di una valida copertura assicurativa su entrambi i veicoli coinvolti;
- la responsabilità totale o concorsuale in capo al conducente del veicolo
danneggiante;
- l’immatricolazione dei veicoli in Italia o nella Repubblica di San Marino o nello stato
Città del Vaticano.
L’accertamento di questi presupposti, ritengo sia un accertamento preliminare di rito in
quanto la previsione di cui all’art. 149, VI comma, è evidentemente di carattere
processuale; trattandosi di accertamento preliminare di rito, il giudice dovrà prima di
procedere all’accertamento della fondatezza della domanda attorea, verificare la
sussistenza dei presupposti fissati dalla norma per accedere a questa forma di tutela
processuale che potremmo definire speciale in quanto dobbiamo pensare che l’azione di
risarcimento diretto deriva da una legge speciale che introduce una ipotesi diversa e
peculiare rispetto all’azione prevista dall’articolo 144, che già di per sé costituisce
eccezione al generale principio di cui agli articoli 2043, 2054 del codice civile.
Il citare in giudizio il responsabile civile, mi pare indispensabile anche sotto un altro
profilo: per evitare un contrasto di giudicati.
Pensiamo al caso in cui Tizio convenga in giudizio la propria compagnia di assicurazione
sostenendo la totale responsabilità nella causazione del sinistro da parte del presunto
danneggiante; la compagnia del presunto danneggiante, notiziata dall’impresa citata in
giudizio, non chiede di intervenire in giudizio ed estromettere l’assicurazione
dell’attore/danneggiato, l’attore danneggiato fa tutte le sue prove, dimostra che la
responsabilità è a totale carico della controparte ed il giudice emette sentenza che
riconosce il 100% di ragione in capo a tale soggetto.
Tutto ciò ad insaputa del presunto danneggiante, il quale ritenendosi anch’esso nella
ragione, promuove azione di indennizzo diretto nei confronti della propria compagnia;
anche in questo caso la Compagnia di controparte non interviene in causa chiedendo
l’estromissione dell’assicurazione citata in giudizio, anche in questo caso il presunto
danneggiante che in questo caso è attore danneggiato dimostra la bontà della propria
versione dei fatti ed il Giudice emette sentenza che gli riconosce il 100% di ragione. Ci si
troverebbe di fronte all’assurda situazione in cui per lo stesso sinistro tutte le parti
coinvolte hanno ragione al 100%.
Ancora, il presunto responsabile civile, non citato in giudizio, si potrebbe trovare nella
situazione di subire gli effetti negativi di una sentenza emessa fra altre due parti (mi
riferisco all’aumento della polizza assicurativa per lo scattare del malus) senza aver avuto
alcuna possibilità di difendersi e di far valere le proprie ragioni.
Mi pare evidente che risulti impossibile procedere giudizialmente all’accertamento di questi
presupposti senza la presenza in giudizio del responsabile civile
A chiusura della mia relazione voglio affrontare un tema che ci riguarda molto da vicino e
che è stato tra gli argomenti più discussi e che è quello relativo ai costi di assistenza
tecnica legale.
L’articolo 9, comma II, del Regolamento di attuazione del cosiddetto indennizzo diretto,
che le Imprese assicuratrici richiamano puntualmente a fondamento della mancata
liquidazione del rimborso delle competenze maturate in caso di assistenza legale
nell’ambito della procedura di risarcimento, testualmente recita:
“nel caso in cui la somma offerta dall’impresa di assicurazione sia accettata dal
danneggiato, sugli importi corrisposti non sono dovuti compensi per la consulenza o
assistenza professionale di cui si sia avvalso il danneggiato diversa da quella medico legale
per i danni alla persona”.
E’ evidente che si potrebbero dedicare delle ore a parlare della irregolarità di tale norma,
contraria ai diritti riconosciuti dalla nostra Carta costituzionale principalmente sotto tre
profili:
- La norma suddetta sarebbe, innanzitutto, in contrasto con il Principio di Uguaglianza
sancito dall’art. 3 della Costituzione, in quanto determina una incomprensibile ed
ingiustificata situazione di favore per le compagnie di assicurazione a svantaggio,
ancora una volta, del danneggiato assicurato, parte debole per antonomasia, il
quale nella prospettiva di evitare fastidiosi costi per l’assistenza legale, deve
sottostare alle condizioni e all’offerta della propria Compagnia assicurativa senza
alcuna preventiva tutela. Ma la violazione dell’art. 3 si palesa anche nella situazione
di disparità di trattamento fra due diverse categorie professionali, cioè tra la
categoria dei medici-legali per la consulenza dei quali l’articolo 9, comma II, del
Regolamento attuativo prevede espressamente il rimborso, e per quella degli
avvocati, il rimborso del cui compenso viene espressamente escluso.
Ancora, la violazione dell’art. 3 della Costituzione è evidente anche perché con
questa norma, ovvero con l’art. 9 , si vengono a discriminare i danneggiati indigenti
rispetto a quelli abbienti che potranno permettersi l’assistenza legale per una
migliore tutela dei propri diritti.
Ma, ancora, la violazione è palese perché a parità di evento, cioè il sinistro stradale,
a seconda che un soggetto sia coinvolto in un incidente che rientri o meno nella
procedura di indennizzo diretto, non avrà, o avrà, diritto al rimborso delle spese
legali sostenute.
- Una seconda violazione si rinviene nei confronti del fondamentale ed inviolabile
diritto di difesa. Il consumatore viene a trovarsi in totale balia della propria
assicurazione in un contesto estremamente ostico quale quello dell’infortunistica
stradale, che, come tutti sappiamo, richiede conoscenze di carattere specifico e
competenze idonee per poter valutare la congruità del risarcimento dovuto. Giusto
per completezza espositiva, giova rammentare che l’art. 24 della Costituzione,
laddove sancisce l’inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado di giudizio, è
stato oggetto di interpretazione in alcune importanti sentenze della Suprema Corte,
secondo la quale tale diritto va tutelato anche nella fase delle trattative stragiudiziali
(sent. N° 2275/2006 – N°11606/05);
- Infine, ritengo che la norma che esclude le spese legali extragiudiziali nel novero dei
danni risarcibili in applicazione della procedura di indennizzo diretto, sia viziata da
eccesso di delega e, pertanto, in contrasto con l’art. 76 della Costituzione.
Come ho ricordato prima, la legge delega (la n°229/2003) aveva previsto poteri ben
circoscritti per il Governo che aveva il compito di codificare la normativa di settore
emanando norme finalizzate alla tutela dei consumatori e, in generale, dei
contraenti più deboli sotto il profilo della trasparenza delle condizioni contrattuali,
nonché dell’informativa preliminare, contestuale e successiva la conclusione del
contratto, avendo riguardo anche alla correttezza dei messaggi pubblicitari e del
processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale servizio.
Nella delega, pertanto, non rientrava alcun potere di innovazione né di abrogazione
delle norme esistenti, nulla di sostanziale era previsto in merito alla disciplina della
R.C.A., né in merito alla fase di liquidazione dei sinistri. Ebbene, il nuovo sistema
risarcitorio non sembra per nulla ispirato a quelle finalità di tutela del consumatore
cui, invece, il legislatore codificante doveva uniformarsi. La delega, pertanto, ritengo, e come me, la maggior parte della dottrina, sia stata impropriamente
interpretata dal Governo in modo estensivo.
Vi segnalo che una parte della dottrina, a mio avviso in maniera alquanto originale,
ritiene addirittura che il Regolamento di attuazione di indennizzo diretto, abbia natura
amministriva e che, pertanto, profilandosi la palese incostituzionalità dell’art. 150 C.d.A
(la violazione degli articoli 3, 24, 32 Cost.) il giudice ordinario deve disapplicare la
norma che esclude il rimborso delle spese delle competenze legali.
Infatti, sostiene tale dottrina, essendo la disposizione regolamentare norma di rango
inferiore, il giudice ordinario può incidentalmente conoscere della sua illegittimità
costituzionale e, conseguentemente decidere la controversia, come se la norma
contenuta nel regolamento, fosse espunta dall’ordinamento giuridico. Vi rammento ,
infatti, che gli atti amministrativi tra cui vanno annoverati i regolamenti, non possono
mai essere portati al vaglio della Corte Costituzionale e che il giudice ordinario può solo
disapplicarli, mentre, spetta al giudice amministrativo di annullarli. Mi risulta fra l’altro
essere pendente avanti il Tar del Lazio ricorso avverso la legittimità del Regolamento di
attuazione in oggetto.
Delineati i profili di incostituzionalità della norma che elimina drasticamente dall’ambito
delle poste risarcibili ogni pretesa di assistenza tecnico legale, mi pare opportuno
analizzare questa fattispecie sotto un altro profilo: quello dell’art. 148, comma 11, del
Decreto Legislativo 209/2005, il quale statuisce che:
“l’impresa, quando corrisponde compensi professionali per l’eventuale assistenza
prestata da professionisti, è tenuta a richiedere la documentazione probatoria relativa
alla prestazione stessa ed ad indicarne il corrispettivo separatamente rispetto alle voci
di danno nella quietanza di liquidazione”.
Balza immediatamente agli occhi che, da questo articolo, sorge l’obbligo in capo alla
Compagnia di richiedere la documentazione probatoria relativa alla prestazione, nonché
indicare l’importo liquidato a titolo di onorari.
Si dà pertanto come implicitamente scontato il fatto che le spese legali debbano essere
riconosciute e rimborsate.
Vi ricordo che la norma di cui all’art. 148 del C.d.A. è entrata in vigore prima della
norma prevista dall’art 9 del Regolamento attuativo e che, pertanto, tale articolo 9
deve ritenersi illegittimo in quanto in contrasto con una norma di rango superiore (l’art.
148) e conseguentemente deve ritenersi inapplicabile nel nostro ordinamento.
Vale, ovviamente, anche in questo caso quanto detto prima in merito alla impossibilità
di sottoporre le norme dei regolamenti al controllo di costituzionalità, residuando la
sola possibilità di controllo giurisdizionale da parte dell'autorità giudiziaria ordinaria,
che deve disapplicare il Regolamento e nel nostro caso l’art. 9, comma II, del
regolamento attuativo del C.d.A, quando rileva che il regolamento è in contrasto con
una legge adottata dal Parlamento.
Mi pare quindi che il meccanismo che le compagnie adottano per decidere quando
pagare o meno le spese legali sia del tutto scorretto.
Infatti, attualmente:
- Se la Compagnia paga entro i termini di tempo previsti dalla legge, generalmente si
rifiuta di riconoscere le spese legali;
- Se paga oltre i termini temporali previsti dalla legge, se glielo ricordiamo ed
insistiamo, riconosce le spese legali.
- Se l’assicurazione fa un’offerta che viene trattenuta a titolo di acconto, e poi fa
un’integrazione, di solito ci offre il pagamento delle spese legali solo sull’importo
che riconosce a titolo di integrazione;
- Se si fa una causa, e l’assicurazione ritiene pagare prima della sentenza, grazie a
Dio nessuna questione solleva sull’obbligo di riconoscere le spese legali ma ci
propone solitamente importi forfettari.
Vi segnalo che la più recente giurisprudenza7 ha fatto proprie, anche in proprio con
riferimento all’indennizzo diretto, le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Cassazione,
con le note sentenze n°11606/2005 e 14594/2005, che hanno confermato il principio
per cui il danneggiato ha diritto di farsi assistere da un legale di fiducia nelle trattative
con la compagnia di assicurazione, e di ottenere in ipotesi di composizione bonaria
della vertenza il rimborso delle spese legali. Tali giudici hanno acutamente osservato
che gli insegnamenti contenuti nelle sentenze della Cassazione, trovano il loro
fondamento nell’art. 24 della Costituzione e non possono essere disattesi con
l’introduzione dell’indennizzo diretto.
Si sono anche rifatti a quanto ho detto prima in merito al fatto che la normativa di cui
all’art. 9, comma II, del Regolamento attuativo, è stata emanata a seguito di decreto
legislativo e che quindi non potrà essere disattesa la norma di cui all’art. 148 C.d.A.
Il Giudice di Pace di Cittadella, con sentenza dell’ottobre 2008, ha anche fatto
riferimento alla sentenza 2275/2006 Cassazione, nella quale si legge che il danneggiato
ha facoltà, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito, di farsi
assistere da un legale di fiducia e farsi riconoscere il rimborso delle relative spese legali
in caso di definizione della lite. Se invece la pretesa risarcitoria sfocia in un giudizio nel
quale il richiedente risulti vittorioso, le spese legali relative alla fase stragiudiziale,
precedente all’instaurazione del giudizio, divengono una componente del danno da
liquidare e come tali devono essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o
giudiziali.
Pertanto, vi consiglio di insistere nella richiesta di riconoscimento degli onorari perché i
nostri assistiti hanno diritto al rimborso delle competenze che ci corrispondono e, se
non riusciamo a far liquidare tale voce di spesa in via stragiudiziale, rivolgiamoci ai
giudici.
Vi segnalo sul punto, infine, che era già stato presentato un progetto di legge
approvato dalla Commissione che prevedeva la modifica dell’art. 150 del Codice delle
Assicurazioni, con l’aggiunta alla lettera D, che recita:
“con decreto del P.d.R.…. da emanarsi… sono stabiliti…d) i limiti e le condizioni di
risarcibilità dei danni accessori”
delle parole “ivi comprese le spese sostenute dal danneggiato per assistenza legale o
consulenza professionale”.
Questa proposta di legge è stata bocciata ma, da comunque l’idea che si sia avvertita,
non solo a livello di avvocatura, l’esigenza di modificare questa norma.
Come possiamo vedere, la procedura di indennizzo diretto ha creato, crea e creerà
problemi. Lo stesso Direttore dell’area normativa dell’ANIA, dott. Nanni, ha riconosciuto
che indubbiamente l’indennizzo diretto è soggetto ad una serie di attacchi, il primo dei
quali è proprio l’illegittimità costituzionale, quindi concludo che se addirittura per
l’Ufficio legale dell’ANIA, l’indennizzo diretto è incostituzionale, mi auguro che quanto
prima la Corte Costituzionale che vi rammento ha dichiarato inammissibili e non
infondate le questioni di legittimità costituzionale ad essa sottoposte, abbia modo di
pronunciarsi e di dichiarare finalmente incostituzionale questa norma che, come ha ben
evidenziato l’onorevole avv. Bellisario, che ha presentato una proposta di legge
finalizzata all’abrogazione dell’indennizzo diretto, comporta una grave lesione del diritto
ad una congrua difesa dei danneggiati nei confronti dei mastodontici colossi assicurativi
e che nonostante i proclami al momento della sua introduzione, non ha portato ad
alcuna riduzione dei costi delle polizze RCauto, nonostante la diminuzione del numero
dei sinistri e del loro costo.
Ho concluso, ringrazio tutti per la pazienza e, in particolare, ringrazio la dott.ssa Ilaria
Bignotto che mi ha aiutato nel preparare questa relazione.
QUESTIONI NON RISOLTE
Vedo tra i presenti molti colleghi esperti nella materia dell’infortunistica stradale, ma, per chi magari così esperto nella materia non è, ritengo opportuno fare una breve panoramica sulla procedura di indennizzo diretto.
Tale procedura è stata introdotta con l’art.149 del D.Lgs. 7.9.2005 n.209, il Codice della Assicurazioni, che ha previsto che “In caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti, i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all’impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo
utilizzato.”
I veicoli per i quali, in caso di sinistro, è invocabile la procedura di indennizzo diretto sono: a) veicoli immatricolati in Italia (compresi i ciclomotori muniti di targa nuova, in pratica per tutti immatricolati dopo il 14/7/2006)
b) veicoli immatricolati nella Repubblica di San Marino e nello Stato Città del Vaticano, se
assicurati con compagnia italiana o con compagnia esercente in regime di libertà di
stabilimento o di libera prestazione di servizi, che abbia aderito al sistema di risarcimento
diretto.
Se vi doveste trovare di fronte a tale ipotesi, potrete sempre verificare sul sito dell’ANIA
(www.ania.it) quali siano le compagnie che hanno aderito alla nuova procedura di
indennizzo diretto.
Quindi sono ancora esclusi da tale sistema risarcitorio: ciclomotori con la cosiddetta
“targhetta”, le macchine operatrici e i trattori e le macchine agricole.
In particolare vi segnalo che, contrariamente a quanto avrebbe dovuto avvenire, e cioè
che dal 1 febbraio 2008 l’indennizzo diretto avrebbe dovuto trovare applicazione anche alle
macchine agricole, con la Legge 222/2007, che ha convertito in legge il Decreto legge
n°159/2007, ha escluso in via definitiva dalla procedura del risarcimento diretto dei sinistri
RC auto, le macchine agricole. Però, tenete conto che nel caso in cui doveste agire per il
recupero dei danni subiti dai trasportati sulla macchina agricola trova applicazione l’art.141
del C.d.A., quindi, il terzo trasportato viene risarcito dalla Compagnia assicuratrice della
macchina agricola.
Pertanto, l’indennizzo diretto non si applica:
quando i veicoli coinvolti sono più di due
quando uno dei veicoli coinvolti non è regolarmente assicurato
quando uno dei veicoli coinvolti non è stato immatricolato in Italia
quando una delle parti coinvolte non è un veicolo a motore o è una macchina
operatrice
quando sono coinvolti pedoni, ciclisti, beni immobili
quando uno dei due veicoli coinvolti è un ciclomotore con “targhino”
quando il danno non è derivante da circolazione stradale
quando le lesioni riportate siano superiori al 9% di invalidità permanente
quando non c’è impatto tra i veicoli (sasso caduto dal cassone, manovra di evasione
per evitare la collisione …)
Entrando ora nel vivo dell’argomento affidatomi, partirei dalla “forma della richiesta
risarcitoria”, poiché, come mi riferiscono anche alcuni colleghi, ormai quasi tutti i legali che
tutelano le compagnie assicuratrici nel costituirsi in giudizio, eccepiscono l’improponibilità
della domanda per non avere la richiesta di risarcimento i requisiti richiesti dalla legge.
Vi ricordo che la lettera di messa in mora deve contenere i requisiti previsti dall’art. 6 del
regolamento attuativo e quindi i seguenti elementi:
nomi degli assicurati
le targhe dei due veicoli coinvolti
la denominazione delle rispettive assicurazioni
la descrizione delle circostanze e delle modalità del sinistro
le generalità di eventuali testimoni
l’indicazione dell’eventuale intervento degli organi di polizia
il luogo, i giorni e le ore in cui le cose danneggiate sono disponibili per la perizia
diretta ad accertare l’entità del danno.
Ed inoltre, nel caso di lesioni subite dal conducente anche:
l’età, l’attività ed il reddito del danneggiato
l’entità delle lesioni subite
la dichiarazione di cui all’art. 142 del C.d.A. circa la spettanza o meno di prestazioni
da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie
l’attestazione medica comprovante l’avvenuta guarigione, con o senza postumi
permanenti
l’eventuale consulenza medico legale di parte, corredata dall’indicazione del
compenso spettante al professionista.
Bisogna porre molta attenzione a questi elementi perché mentre con la previgente
legislazione, cioè con la legge 990/1969 non era indispensabile dover indicare nella lettera
raccomandata tutti gli elementi richiesti, purchè la Compagnia assicuratrice fosse in grado
di conoscere l’esistenza del sinistro, ora la musica sembra cambiata e alcuni giudici hanno
accolto la tesi secondo cui l’art.148, II comma, C.d.A. ha introdotto un formalismo
obbligatorio per la richiesta di risarcimento che deve necessariamente contenere tutte le
indicazioni previste, ad esempio il Tribunale di Torino con la sentenza n°6070/2007 ha
ritenuto che le omissioni di alcune indicazioni (ad esempio del codice fiscale) anche se
irrilevanti ai fini risarcitori, costituiscono carenza del contenuto di un atto formale tipico
contemplato dall’ordinamento quale condizione di proponibilità della domanda e che, in
quanto tale, si sottrae alla disciplina dell’articolo 156 c.p.c., che dispone che la nullità non
può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato. Questo
Tribunale ha sostenuto che questo gravoso, e a mio avviso inutile, onere, non è
incostituzionale, poiché di fatto non costituisce una preclusione alla tutela giurisdizionale
del diritto, ma un semplice e giustificato adempimento preliminare; non ci ha spiegato,
però, il Tribunale di Torino, dove rinvenga la giustificazione dell’obbligo di tale
adempimento.
Sono abbastanza critica su questa posizione perché ritengo che i giudici che hanno aderito
e aderiscono a questa interpretazione restrittiva della norma avrebbero dovuto valutare se
questa norma di carattere processuale trovi giustificazione nella legge delega e quindi in
quanto previsto dall’art. 76 della Costituzione.
Infatti, se questi giudici si soffermassero all’esame di questa questione non potrebbero
non rilevare l’incostituzionalità della norma perché questi inutili adempimenti hanno senza
dubbio peggiorato la situazione del danneggiato-consumatore e conseguentemente violato
l’art. 4 della L. 229/2003 (legge delega) che prescriveva, invece, che il riassetto delle
disposizioni vigenti in materia di assicurazioni si ispirasse al principio della tutela dei
consumatori.
Oltre a ciò, la legge delega non mi pare aver conferito al governo alcun potere di
introdurre norme di portata procedurale, come invece dobbiamo ritenere essere quella di
cui all’art. 148, II comma.
Comunque, ritengo, confortata anche da recente giurisprudenza, che se è vero che la
richiesta di risarcimento deve essere completa di tutti gli elementi previsti dall’art. 6 del
Regolamento attuativo, sia altrettanto vero che se la Compagnia non richiede
l’integrazione della richiesta di risarcimento nel termine di trenta giorni dal ricevimento,
previsti dal comma quinto dell’art. 148 la richiesta di risarcimento dovrà considerarsi
completa perché evidentemente l’assicurazione tale l’ha ritenuta e non ha sentito la
necessità di chiederne l’integrazione e, conseguentemente, trascorsi i termini prescritti
dall’art. 148 potrà proporre domanda giudiziale.
La fase stragiudiziale del risarcimento diretto è modellata dal Regolamento Attuativo della
disciplina del risarcimento diretto (D.P.R. 18.7.2006 n.254) secondo uno schema affine a
quello disegnato dall’art. 148 del C.d.A. per la procedura ordinaria e la procedura viene
infatti avviata dal danneggiato con l’invio al proprio assicuratore della richiesta di
risarcimento, da trasmettersi a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento,
secondo quanto previsto dal II° comma dell’art.145 del C.d.A..
Però, giusto per complicare la vita a noi che con queste norme ci dobbiamo lavorare,
l’art.5 comma 2 del Regolamento Attuativo prevede che “La richiesta è presentata
mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o con consegna a mano o a
mezzo telegramma o telefax o in via telematica, salvo che nel contratto sia esplicitamente
esclusa tale ultima forma di presentazione della richiesta di risarcimento.”
Pare quindi che il Regolamento Attuativo abbia introdotto un principio di equipollenza delle
forme di presentazione della richiesta risarcitoria, per consentire all’assicurato di avviare la
procedura di indennizzo, anche utilizzando strumenti più facili della raccomandata a.r..
L’ANIA, a fronte di questa differente disciplina, ha ritenuto di poter far propria
un’interpretazione per così dire restrittiva secondo la quale ai fini del decorso del termine
di proponibilità della domanda giudiziale sia comunque e sempre necessario l’invio della
lettera raccomandata a.r., come previsto dall’art. 145 C.d.A.. A me pare che tale posizione
sia assolutamente antitetica rispetto allo spirito della disposizione attuativa ed anzi venga
a privare l’art. 5 del regolamento Attuativo della forza dispositiva che gli è propria; da non
dimenticare che il Regolamento Attuativo è stato emanato successivamente al C.d.A. e che
lo scopo dei Regolamenti di Attuazione è proprio quello di semplificare i contenuti della
norma, rendendola più comprensibile all’utente.
Ritengo quindi che non vi sia alcun dubbio che il danneggiato che intenda agire in via di
indennizzo diretto possa utilmente far decorrere i termini di proponibilità presentando la
propria domanda in una qualsiasi delle forme alternativamente previste dal Regolamento
Attuativo.
Si potrà, piuttosto, porre un problema di prova, poiché non tutti gli strumenti indicati
dall’art. 5 comma 2 sono dotati di forza probatoria uguale e comunque sufficiente ad
individuare la data di ricezione della comunicazione da parte dell’assicuratore senza
incertezze.
In caso di contestazione da parte dell’assicuratore, il rapporto di trasmissione via fax o
l’eventuale messaggio elettronico di “conferma lettura” della mail, potrebbero non essere
idonei a dimostrare l’effettiva ricezione della richiesta e sarà, pertanto, buona norma che il
legale, o il danneggiato, utilizzi preferibilmente la raccomandata a.r. o la raccomandata “a
mani” dietro rilascio di documento attestante l’avvenuta consegna.
In merito a questo argomento, ritengo che, anche se non è stato precisato dal legislatore,
sia opportuno che alla comunicazione a mezzo e-mail si dia luogo solo se l’Impresa
assicurativa sia dotata di un indirizzo di posta elettronica certificata e solo nel caso in cui
chi invia la richiesta di risarcimento sia in grado di autenticarla con firme digitale: in caso
contrario, si potrebbero porre delle questioni sia relativamente alla ricezione del
messaggio, sia al suo contenuto nonché in relazione all’autenticità della sua provenienza;
poiché non dobbiamo mai dimenticare che la richiesta di risarcimento costituisce anche un
atto interruttivo della prescrizione, ritengo che in difetto di posta certificata e firma digitale
sia un mezzo di comunicazione da evitarsi per non incorrere, oltre che in eccezioni di
improponibilità della domanda, in una ben più grave eccezione di prescrizione.
Vi segnalo comunque sul punto un’interessante sentenza proprio del Tribunale di Verona
del 20051 che ha ritenuto che l’e-mail, in quel caso contente una preomessa di
pagamento, costituisce prova scritta poiché essendo un documento informatico la
presenza di un codice identificativo permette di individuare la sua provenienza ed inoltre
perché si può equiparare al telegramma non accompagnato da un originale sottoscritto
valutato come scrittura privata in base all’art. 2075 c.c.
Per quanto riguarda invece la comunicazione via fax, io ritengo comunque che sia da
evitare, nonostante la giurisprudenza anche più recente l’abbia ritenuto un mezzo
assolutamente idoneo a far presumere che l’atto o la comunicazione siano giunte al
destinatario, però, l’invio a mezzo fax non fornisce la certezza assoluta della data e dell’ora
in cui il messaggio è stato ricevuto dal destinatario, quindi, astrattamente, il fax potrebbe
sostituire la raccomandata postale, a condizione però che offra le stesse garanzie di
certezza, sia in merito all’avvenuta ricezione della comunicazione, sia in merito alla data in
cui essa è avvenuta.
Sappiamo tutti che la data e l’ora di trasmissione vengono registrati sul “rapporto di
trasmissione” sulla base dei dati impostati nell’apparecchio telefonico dal quale il fax viene
spedito: dati che in ogni momento possiamo modificare, qui di manca sostanzialmente
l’oggettiva e certa conoscibilità della data di trasmissione del telefax, proprio perché quella
indicata nel rapporto di trasmissione è una data che dipende dalla impostazione immessa
dall’utilizzatore del fax. Utilizzando questo sistema, ci si esporrebbe quindi alle stesse
eccezioni della mail e ci vedremmo poi costretti a formulare fastidiose prove per
dimostrare che l’invio e la ricezione sono avvenuti effettivamente nella data e nell’ora
indicati nel rapporto di trasmissione. Ovviamente tutto ciò viene superato nel caso in cui la
Compagnia assicuratrice ci invii una comunicazione nella quale, magari per chiedere
l’integrazione degli elementi mancanti nella richiesta di risarcimento, fa riferimento proprio
all’e-mail del giorno tot o al fax del giorno tot.
Ultimamente viene sollevata anche un’altra eccezione per sostenere l’improponibilità della
domanda giudiziale e, cioè, il mancato invio della lettera contenente la richiesta di
risarcimento “per conoscenza” all’assicuratore dell’altro veicolo coinvolto nel sinistro.
Effettivamente l’art. 145 comma 2 richiede tale adempimento, mentre non ve ne è
menzione nel Regolamento Attuativo.
Mi chiedo se tale comunicazione per conoscenza debba essere trasmessa con
raccomandata a.r. (o nelle altre forme previste dal Regolamento di Attuazione) e se il
mancato invio costituisca motivo di improponibilità della domanda di azione diretta.
Mi sembra che debba propendersi per la soluzione negativa per tutte e due le
considerazioni, sia perché, comunque, l’art. 145 nulla dispone in proposito, sia perché
l’impresa del responsabile civile (o del presunto tale) dispone di un altro canale informativo
privilegiato, dal quale ottenere immediatamente le informazioni occorrenti alla verifica
della copertura assicurativa e all’accertamento della dinamica del sinistro ed è l’art. 5
comma 3 del Regolamento Attuativo, a norma del quale “l’impresa che ha ricevuto la
richiesta ne dà immediata comunicazione all’impresa dell’assicurato ritenuto in tutto o in
parte responsabile del sinistro, fornendo le sole informazioni necessarie per la verifica della
copertura assicurativa e per l’accertamento delle modalità di accadimento del sinistro”.
Ritengo, quindi, che la presentazione della richiesta risarcitoria da parte del danneggiato
alla propria compagnia di assicurazione metta in moto un meccanismo di informativa a
carico dell’impresa gestionaria che dovrà rendere edotta l’impresa debitrice dell’avvio della
procedura e degli elementi essenziali affinché la stessa, confrontandoli con quanto
denunciato dal proprio assicurato, possa rappresentarsi la situazione di fatto e di diritto.
Vi faccio però presente che questo non mi pare essere l’indirizzo dei Giudici di Pace di
Verona, o almeno non di tutti, poiché mi è stato riferito che in qualche caso hanno
concesso termine per produrre copia della lettera inviata “per conoscenza” ritenendo, in
difetto, di dover dichiarare l’improponibilità della domanda.
Quindi, consiglio mio, meglio inviare sempre, anche tramite fax, una copia della lettera di
intervento anche all’altra compagnia, magari presso l’ispettorato sinistro.
Sempre con riferimento alla fase stragiudiziale, altro problema che abbiamo incontrato è
stato quello di capire a chi debba essere indirizzata la lettera di richiesta danni che viene
inviata dal datore di lavoro per la mancata utilizzazione delle prestazioni lavorative a
seguito dell’infortunio subito dal proprio lavoratore a causa di un incidente stradale con
responsabilità di terzi. La questione è stata dibattuta soprattutto per quanto riguarda la
posizione dell’I.N.A.I.L. quando si surroga per ottenere il risarcimento delle prestazioni
fornite al lavoratore, ma ritengo che sia per il datore di lavoro che per l’I.N.A.I.L. valgano
le medesime conclusioni.
In particolare ci si è chiesti se nel caso di rivalsa del datore di lavoro o dell’I.N.A.I.L. la
procedura dell’indennizzo diretto fosse esclusa, quindi non applicabile neppure al
lavoratore/danneggiato, se rimanesse riservata al solo lavoratore/danneggiato, e non
quindi al datore di lavoro o I.N.A.I.L. che avrebbero dovuto agire in via ordinaria, oppure
se fosse applicabile a tutti i soggetti coinvolti.
Ritengo che la prima soluzione, cioè l’esclusione della procedura di indennizzo diretto,
potrebbe trovare fondamento nella considerazione che i presupposti di legge
escluderebbero l’intervento di altro soggetto, poiché lo scopo di questa procedura è quello
di semplificare ed accelerare la liquidazione del danno a favore del conducente non
responsabile. La seconda soluzione, quindi indennizzo diretto per il conducente e
procedura ordinaria per il datore di lavoro, mi sembrerebbe la strada più corretta da seguire perché la normativa parrebbe ritenere il solo conducente beneficiario del
risarcimento diretto, ma in realtà l’ultima soluzione, e quindi indennizzo diretto per
entrambi i soggetti, è l’opinione più diffusa perché viene rilevato che mentre nel caso del
terzo trasportato si tratta di un danno diverso da quello del conducente, è sostanzialmente
un danno a se, la rivalsa del datore di lavoro, al pari della surroga dell’I.N.A.I.L. riguarda il
medesimo diritto del danneggiato/conducente. Peraltro, l’art. 25 della Convenzione fra
Assicuratori, cosiddetto CARD, stabilisce espressamente che nell’ambito del forfait dei
rimborsi fra Compagnie, rientrano anche le gestioni delle azioni di rivalsa dei datori di
lavoro.
Passando ora alla fase per così dire giudiziale, uno dei primi problemi che ci siamo posti
all’indomani dell’introduzione dell’indennizzo diretto è stato: ma è proprio obbligatorio che
il danneggiato sussistendo i presupposti di cui all’art. 149 – 150 del C.d.A. si rivolga alla
propria Compagnia di Assicurazione? O invece l’indennizzo diretto è facoltativo?
Questa domanda devono essersela posta anche i giudici di merito se in più d’uno2 hanno
rimesso la questione di legittimità costituzionale alla Consulta e la Corte Costituzionale alla
fine si è espressa dapprima con l’ordinanza 205/20083 e poi le ordinanze n°440 e n°4414
del 23/12/2008.
Premesso che in tutti e tre i casi le questioni di legittimità costituzionale sono state
dichiarate inammissibili per motivi formali, non le ha ritenute però infondate e si è limitata
ad enunciare i criteri di quella interpretazione orientata degli articoli 141, 149, 150 del CdA
che, se seguiti dai giudici di merito, avrebbero senza dubbio escluso la sussistenza dei
dedotti dubbi di costituzionalità.
Infatti, nella parte motiva, delle ordinanze di cui ho detto, si leggono le identiche parole, e
cioè: “….. peraltro, i giudici rimettenti non hanno adempiuto all’obbligo di cercare una
interpretazione costituzionalmente orientata della norma impugnata, nel senso, cioè, che
essa si limita a rafforzare la posizione dell’assicurato rimasto danneggiato, considerandolo
soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della propria
compagnia assicuratrice, senza peraltro togliere la possibilità di far valere i suoi diritti
secondo i principi della responsabilità civile dell’autore del fatto dannoso”; rilevando
correttamente che tale interpretazione avrebbe consentito di superare i prospettati dubbi
di costituzionalità.
Alla luce dei principi enunciati da queste ordinanze della Corte Costituzionale, la
giurisprudenza di merito5 si è prontamente adeguata dichiarando che al danneggiato che
potrebbe agire direttamente per il risarcimento contro il proprio assicuratore, è consentito
anche di agire anche nei confronti del responsabile civile e della sua Compagnia di
assicurazioni.
Al riconoscimento della facoltatività dell’azione diretta contro la propria assicurazione, i
Giudice di merito arrivano attraverso una interpretazione letterale delle norme, in pratica
dicono: in presenza delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 149 C.d.A. (quindi
sinistro tra due veicoli a motore assicurati per RCA) il danneggiato DEVE rivolgere la
richiesta di risarcimento alla propria compagnia di assicurazione.
In caso di comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto e di diniego o
mancanza di offerta, il sesto comma prevede testualmente che il danneggiato PUO’
proporre l’azione diretta di cui all’art. 145, II comma, ne soli confronti della propria
impresa di assicurazione.
Segnalo su punto che è intervenuto anche un parere del Consiglio di Stato (n°4230 del
15/12/2008), che pare ritenere l’indennizzo diretto facoltativo. Infatti, si legge che “la
procedura di risarcimento diretto consiste nella possibilità per i danneggiati di rivolgere la
richiesta di risarcimento alla propria impresa di assicurazione anziché a quella che ha
assicurato il veicolo del danneggiante, così come era avvenuto fino ad allora”.
Quindi, il danneggiato può e non deve proporre l’azione nei confronti della propria
assicurazione.
Nel caso in cui decida di avvalersi di questa facoltà procede nei confronti della sola
compagnia assicuratrice del proprio veicolo (tornerò poi sull’argomento per alcune
precisazioni in merito all’argomento).
Se invece decide di avvalersi dell’altra procedura, quella ordinaria per comprenderci, dovrà
procedere sia nei confronti della Compagnia del responsabile civile, che nei confronti dello
stesso responsabile, che è litisconsorte necessario, come stabilito dall’art. 144 del C.d.A.
Ovviamente, presupposto per la proponibilità dell’azione è l’osservanza di quanto disposto
dagli artt. 145/148 C.d.A. e quindi bisogna necessariamente avere inviato alla Compagnia
del responsabile la richiesta di risarcimento danni, inviata a mezzo raccomandata con
ricevuta di ritorno, e nel rispetto dello spatium deliberandi.
Altro problema che si siamo posti quando ci siamo trovati a promuovere le prime azioni
giudiziarie relative a sinistri rientranti nell’indennizzo diretto è stato quello di “chi citare?”,
la sola compagnia dell’assicurato/danneggiato, questa ed il responsabile civile, questi due
e la compagnia del responsabile civile?
Come ho ricordato prima, il comma 6 dell’art. 145 C.d.A. prescrive che, in caso di mancato
accordo, “il danneggiato può proporre l’azione diretta di cui all’art. 145 comma 2 nei soli confronti della propria impresa di assicurazione …” .
Bisogna quindi chiarire se sia obbligatorio o meno convenire in giudizio, oltre all’impresa
assicuratrice del veicolo del danneggiato/attore, anche il preteso responsabile civile.
Il GdP di Napoli, con un’ordinanza del 2007, ha addirittura imposto all’attore/danneggiato
che aveva citato in giudizio la sua sola compagnia di assicurazione di integrare il
contraddittorio nei confronti del responsabile civile.
Recentemente, il GdP di Lecce6 ha respinto l’eccezione preliminare con cui il responsabile
civile, citato in giudizio unitamente all’ass.ne dell’attore/danneggiato, chiedeva di essere
estromesso. Il GdP di Lecce ha ritenuto che la mancata partecipazione del resp. Civ. nella
procedura di risarcimento comporta una serie di problemi di grande rilevanza, quali ad
esempio il rischio di un contrasto di giudicati nel caso in cui il danneggiante promuova la
stessa procedura nei confronti della propria compagnia di assicurazioni; il resp. Civ., non
partecipando al giudizio, non potrebbe difendersi per evitare gli effetti negativi consistenti,
ad es., nell’aumento del premio assicurativo e nell’eventuale superamento del massimale
(che a me pare un’ipotesi alquanto remota, posto che i massimali sono attualmente tutti
superiori ad € 750.000 e che, trattandosi di indennizzo diretto, le lesioni non devono
superare il 9% di invalidità); che sarebbe impossibile l’accertamento pregiudiziale della
sussistenza dei presupposti di fatto su cui si fonda l’azione, e cioè che il fatto che si sia verificato il sinistro; la mancanza di responsabilità in capo al conducente del veicolo
presunto danneggiante…
La dottrina sul punto si è espressa in senso affermativo ritenendo che necessariamente in
caso di azione proposta con risarcimento diretto ai sensi del combinato disposto degli
articoli 144, comma III, 145, comma II e 149, comma VI deve essere convenuto in
giudizio anche il responsabile civile.
Sostanzialmente la dottrina dice che l’articolo 149, comma VI, nella parte in cui prevede
che l’azione diretta si debba promuovere nei soli confronti della propria assicurazione,
vuole significare che non si debba coinvolgere nel giudizio anche l’assicurazione del
responsabile civile, come di norma avveniva per il passato ed avviene ancora oggi quando
si debba procedere con azione ordinaria, ma non è sostenibile spingersi sino a ritenere che
la causa non debba coinvolgere anche il responsabile. Infatti, dice la dottrina, si vi è un
richiamo all’istituto dell’azione diretta, in quest’ultimo è sempre prevista come essenziale la
partecipazione del responsabile, il quale, anche nella previsione dell’articolo 144, comma
III, conserva la qualità di litisconsorte necessario.
Ritengo che la posizione della dottrina sia assolutamente condivisibile poiché sarebbe
impensabile un giudizio che venga portato avanti da una parte nei confronti della propria
compagnia assicurativa, senza che il responsabile ne sia in qualche modo notiziato poiché
non risulta che la Compagnia dell’attore/danneggiato abbia un obbligo di comunicazione al
responsabile civile. Alcuni esempi pratici ci consentiranno di capire perché questa
posizione sia di gran lunga la preferibile:
in primo luogo, pensiamo al caso in cui al sinistro non abbiano assistito testimoni e che
quindi il danneggiato non possa utilizzare tale mezzo di prova per dimostrare il verificarsi
del sinistro tra due veicoli a motore e le modalità del sinistro: in tale caso, l’unico mezzo di
prova che l’attore/danneggiante ha per dimostrare l’evento e le modalità dell’evento è
l’interrogatorio formale che, come tutti sappiamo, tende a provocare la confessione
giudiziale.
Ma, tale mezzo di prova, è esperibile solo nei confronti delle parti citate in giudizio,
costituitesi o meno. Se non si cita in giudizio il responsabile civile, come si potrà
dimostrare l’evento e la riconducibilità dell’evento alla responsabilità dell’altro soggetto
coinvolto nel sinistro?
E non mi si venga a dire che la propria Compagnia di assicurazione citata in giudizio dal
danneggiato non solleverà certo eccezioni in merito alla dinamica del sinistro: vi ho detto
prima delle eccezioni che i legali delle Compagnie stanno sollevando, anche per aspetti
formali che definirei di secondo piano.
Ad ogni buon conto, vi ricordo che l’art. 2697 codice civile, prescrive che chi vuol far valere
un diritto in giudizio deve provarne i fatti che ne costituiscono il fondamento. Nel caso
dell’indennizzo diretto, si dovrà quindi provare:
- che si è verificato un incidente stradale tra veicoli a motore (compresi i ciclomotori
con targa nuova);
- che vi è stato scontro tra i veicoli;
- che il veicolo dell’attore/danneggiato ha subito danni e provare i danni subiti;
- che in caso di conducente ferito, le lesioni hanno determinato un danno biologico
pari o inferiore al 9%;
- l’esistenza di una valida copertura assicurativa su entrambi i veicoli coinvolti;
- la responsabilità totale o concorsuale in capo al conducente del veicolo
danneggiante;
- l’immatricolazione dei veicoli in Italia o nella Repubblica di San Marino o nello stato
Città del Vaticano.
L’accertamento di questi presupposti, ritengo sia un accertamento preliminare di rito in
quanto la previsione di cui all’art. 149, VI comma, è evidentemente di carattere
processuale; trattandosi di accertamento preliminare di rito, il giudice dovrà prima di
procedere all’accertamento della fondatezza della domanda attorea, verificare la
sussistenza dei presupposti fissati dalla norma per accedere a questa forma di tutela
processuale che potremmo definire speciale in quanto dobbiamo pensare che l’azione di
risarcimento diretto deriva da una legge speciale che introduce una ipotesi diversa e
peculiare rispetto all’azione prevista dall’articolo 144, che già di per sé costituisce
eccezione al generale principio di cui agli articoli 2043, 2054 del codice civile.
Il citare in giudizio il responsabile civile, mi pare indispensabile anche sotto un altro
profilo: per evitare un contrasto di giudicati.
Pensiamo al caso in cui Tizio convenga in giudizio la propria compagnia di assicurazione
sostenendo la totale responsabilità nella causazione del sinistro da parte del presunto
danneggiante; la compagnia del presunto danneggiante, notiziata dall’impresa citata in
giudizio, non chiede di intervenire in giudizio ed estromettere l’assicurazione
dell’attore/danneggiato, l’attore danneggiato fa tutte le sue prove, dimostra che la
responsabilità è a totale carico della controparte ed il giudice emette sentenza che
riconosce il 100% di ragione in capo a tale soggetto.
Tutto ciò ad insaputa del presunto danneggiante, il quale ritenendosi anch’esso nella
ragione, promuove azione di indennizzo diretto nei confronti della propria compagnia;
anche in questo caso la Compagnia di controparte non interviene in causa chiedendo
l’estromissione dell’assicurazione citata in giudizio, anche in questo caso il presunto
danneggiante che in questo caso è attore danneggiato dimostra la bontà della propria
versione dei fatti ed il Giudice emette sentenza che gli riconosce il 100% di ragione. Ci si
troverebbe di fronte all’assurda situazione in cui per lo stesso sinistro tutte le parti
coinvolte hanno ragione al 100%.
Ancora, il presunto responsabile civile, non citato in giudizio, si potrebbe trovare nella
situazione di subire gli effetti negativi di una sentenza emessa fra altre due parti (mi
riferisco all’aumento della polizza assicurativa per lo scattare del malus) senza aver avuto
alcuna possibilità di difendersi e di far valere le proprie ragioni.
Mi pare evidente che risulti impossibile procedere giudizialmente all’accertamento di questi
presupposti senza la presenza in giudizio del responsabile civile
A chiusura della mia relazione voglio affrontare un tema che ci riguarda molto da vicino e
che è stato tra gli argomenti più discussi e che è quello relativo ai costi di assistenza
tecnica legale.
L’articolo 9, comma II, del Regolamento di attuazione del cosiddetto indennizzo diretto,
che le Imprese assicuratrici richiamano puntualmente a fondamento della mancata
liquidazione del rimborso delle competenze maturate in caso di assistenza legale
nell’ambito della procedura di risarcimento, testualmente recita:
“nel caso in cui la somma offerta dall’impresa di assicurazione sia accettata dal
danneggiato, sugli importi corrisposti non sono dovuti compensi per la consulenza o
assistenza professionale di cui si sia avvalso il danneggiato diversa da quella medico legale
per i danni alla persona”.
E’ evidente che si potrebbero dedicare delle ore a parlare della irregolarità di tale norma,
contraria ai diritti riconosciuti dalla nostra Carta costituzionale principalmente sotto tre
profili:
- La norma suddetta sarebbe, innanzitutto, in contrasto con il Principio di Uguaglianza
sancito dall’art. 3 della Costituzione, in quanto determina una incomprensibile ed
ingiustificata situazione di favore per le compagnie di assicurazione a svantaggio,
ancora una volta, del danneggiato assicurato, parte debole per antonomasia, il
quale nella prospettiva di evitare fastidiosi costi per l’assistenza legale, deve
sottostare alle condizioni e all’offerta della propria Compagnia assicurativa senza
alcuna preventiva tutela. Ma la violazione dell’art. 3 si palesa anche nella situazione
di disparità di trattamento fra due diverse categorie professionali, cioè tra la
categoria dei medici-legali per la consulenza dei quali l’articolo 9, comma II, del
Regolamento attuativo prevede espressamente il rimborso, e per quella degli
avvocati, il rimborso del cui compenso viene espressamente escluso.
Ancora, la violazione dell’art. 3 della Costituzione è evidente anche perché con
questa norma, ovvero con l’art. 9 , si vengono a discriminare i danneggiati indigenti
rispetto a quelli abbienti che potranno permettersi l’assistenza legale per una
migliore tutela dei propri diritti.
Ma, ancora, la violazione è palese perché a parità di evento, cioè il sinistro stradale,
a seconda che un soggetto sia coinvolto in un incidente che rientri o meno nella
procedura di indennizzo diretto, non avrà, o avrà, diritto al rimborso delle spese
legali sostenute.
- Una seconda violazione si rinviene nei confronti del fondamentale ed inviolabile
diritto di difesa. Il consumatore viene a trovarsi in totale balia della propria
assicurazione in un contesto estremamente ostico quale quello dell’infortunistica
stradale, che, come tutti sappiamo, richiede conoscenze di carattere specifico e
competenze idonee per poter valutare la congruità del risarcimento dovuto. Giusto
per completezza espositiva, giova rammentare che l’art. 24 della Costituzione,
laddove sancisce l’inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado di giudizio, è
stato oggetto di interpretazione in alcune importanti sentenze della Suprema Corte,
secondo la quale tale diritto va tutelato anche nella fase delle trattative stragiudiziali
(sent. N° 2275/2006 – N°11606/05);
- Infine, ritengo che la norma che esclude le spese legali extragiudiziali nel novero dei
danni risarcibili in applicazione della procedura di indennizzo diretto, sia viziata da
eccesso di delega e, pertanto, in contrasto con l’art. 76 della Costituzione.
Come ho ricordato prima, la legge delega (la n°229/2003) aveva previsto poteri ben
circoscritti per il Governo che aveva il compito di codificare la normativa di settore
emanando norme finalizzate alla tutela dei consumatori e, in generale, dei
contraenti più deboli sotto il profilo della trasparenza delle condizioni contrattuali,
nonché dell’informativa preliminare, contestuale e successiva la conclusione del
contratto, avendo riguardo anche alla correttezza dei messaggi pubblicitari e del
processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale servizio.
Nella delega, pertanto, non rientrava alcun potere di innovazione né di abrogazione
delle norme esistenti, nulla di sostanziale era previsto in merito alla disciplina della
R.C.A., né in merito alla fase di liquidazione dei sinistri. Ebbene, il nuovo sistema
risarcitorio non sembra per nulla ispirato a quelle finalità di tutela del consumatore
cui, invece, il legislatore codificante doveva uniformarsi. La delega, pertanto, ritengo, e come me, la maggior parte della dottrina, sia stata impropriamente
interpretata dal Governo in modo estensivo.
Vi segnalo che una parte della dottrina, a mio avviso in maniera alquanto originale,
ritiene addirittura che il Regolamento di attuazione di indennizzo diretto, abbia natura
amministriva e che, pertanto, profilandosi la palese incostituzionalità dell’art. 150 C.d.A
(la violazione degli articoli 3, 24, 32 Cost.) il giudice ordinario deve disapplicare la
norma che esclude il rimborso delle spese delle competenze legali.
Infatti, sostiene tale dottrina, essendo la disposizione regolamentare norma di rango
inferiore, il giudice ordinario può incidentalmente conoscere della sua illegittimità
costituzionale e, conseguentemente decidere la controversia, come se la norma
contenuta nel regolamento, fosse espunta dall’ordinamento giuridico. Vi rammento ,
infatti, che gli atti amministrativi tra cui vanno annoverati i regolamenti, non possono
mai essere portati al vaglio della Corte Costituzionale e che il giudice ordinario può solo
disapplicarli, mentre, spetta al giudice amministrativo di annullarli. Mi risulta fra l’altro
essere pendente avanti il Tar del Lazio ricorso avverso la legittimità del Regolamento di
attuazione in oggetto.
Delineati i profili di incostituzionalità della norma che elimina drasticamente dall’ambito
delle poste risarcibili ogni pretesa di assistenza tecnico legale, mi pare opportuno
analizzare questa fattispecie sotto un altro profilo: quello dell’art. 148, comma 11, del
Decreto Legislativo 209/2005, il quale statuisce che:
“l’impresa, quando corrisponde compensi professionali per l’eventuale assistenza
prestata da professionisti, è tenuta a richiedere la documentazione probatoria relativa
alla prestazione stessa ed ad indicarne il corrispettivo separatamente rispetto alle voci
di danno nella quietanza di liquidazione”.
Balza immediatamente agli occhi che, da questo articolo, sorge l’obbligo in capo alla
Compagnia di richiedere la documentazione probatoria relativa alla prestazione, nonché
indicare l’importo liquidato a titolo di onorari.
Si dà pertanto come implicitamente scontato il fatto che le spese legali debbano essere
riconosciute e rimborsate.
Vi ricordo che la norma di cui all’art. 148 del C.d.A. è entrata in vigore prima della
norma prevista dall’art 9 del Regolamento attuativo e che, pertanto, tale articolo 9
deve ritenersi illegittimo in quanto in contrasto con una norma di rango superiore (l’art.
148) e conseguentemente deve ritenersi inapplicabile nel nostro ordinamento.
Vale, ovviamente, anche in questo caso quanto detto prima in merito alla impossibilità
di sottoporre le norme dei regolamenti al controllo di costituzionalità, residuando la
sola possibilità di controllo giurisdizionale da parte dell'autorità giudiziaria ordinaria,
che deve disapplicare il Regolamento e nel nostro caso l’art. 9, comma II, del
regolamento attuativo del C.d.A, quando rileva che il regolamento è in contrasto con
una legge adottata dal Parlamento.
Mi pare quindi che il meccanismo che le compagnie adottano per decidere quando
pagare o meno le spese legali sia del tutto scorretto.
Infatti, attualmente:
- Se la Compagnia paga entro i termini di tempo previsti dalla legge, generalmente si
rifiuta di riconoscere le spese legali;
- Se paga oltre i termini temporali previsti dalla legge, se glielo ricordiamo ed
insistiamo, riconosce le spese legali.
- Se l’assicurazione fa un’offerta che viene trattenuta a titolo di acconto, e poi fa
un’integrazione, di solito ci offre il pagamento delle spese legali solo sull’importo
che riconosce a titolo di integrazione;
- Se si fa una causa, e l’assicurazione ritiene pagare prima della sentenza, grazie a
Dio nessuna questione solleva sull’obbligo di riconoscere le spese legali ma ci
propone solitamente importi forfettari.
Vi segnalo che la più recente giurisprudenza7 ha fatto proprie, anche in proprio con
riferimento all’indennizzo diretto, le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Cassazione,
con le note sentenze n°11606/2005 e 14594/2005, che hanno confermato il principio
per cui il danneggiato ha diritto di farsi assistere da un legale di fiducia nelle trattative
con la compagnia di assicurazione, e di ottenere in ipotesi di composizione bonaria
della vertenza il rimborso delle spese legali. Tali giudici hanno acutamente osservato
che gli insegnamenti contenuti nelle sentenze della Cassazione, trovano il loro
fondamento nell’art. 24 della Costituzione e non possono essere disattesi con
l’introduzione dell’indennizzo diretto.
Si sono anche rifatti a quanto ho detto prima in merito al fatto che la normativa di cui
all’art. 9, comma II, del Regolamento attuativo, è stata emanata a seguito di decreto
legislativo e che quindi non potrà essere disattesa la norma di cui all’art. 148 C.d.A.
Il Giudice di Pace di Cittadella, con sentenza dell’ottobre 2008, ha anche fatto
riferimento alla sentenza 2275/2006 Cassazione, nella quale si legge che il danneggiato
ha facoltà, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito, di farsi
assistere da un legale di fiducia e farsi riconoscere il rimborso delle relative spese legali
in caso di definizione della lite. Se invece la pretesa risarcitoria sfocia in un giudizio nel
quale il richiedente risulti vittorioso, le spese legali relative alla fase stragiudiziale,
precedente all’instaurazione del giudizio, divengono una componente del danno da
liquidare e come tali devono essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o
giudiziali.
Pertanto, vi consiglio di insistere nella richiesta di riconoscimento degli onorari perché i
nostri assistiti hanno diritto al rimborso delle competenze che ci corrispondono e, se
non riusciamo a far liquidare tale voce di spesa in via stragiudiziale, rivolgiamoci ai
giudici.
Vi segnalo sul punto, infine, che era già stato presentato un progetto di legge
approvato dalla Commissione che prevedeva la modifica dell’art. 150 del Codice delle
Assicurazioni, con l’aggiunta alla lettera D, che recita:
“con decreto del P.d.R.…. da emanarsi… sono stabiliti…d) i limiti e le condizioni di
risarcibilità dei danni accessori”
delle parole “ivi comprese le spese sostenute dal danneggiato per assistenza legale o
consulenza professionale”.
Questa proposta di legge è stata bocciata ma, da comunque l’idea che si sia avvertita,
non solo a livello di avvocatura, l’esigenza di modificare questa norma.
Come possiamo vedere, la procedura di indennizzo diretto ha creato, crea e creerà
problemi. Lo stesso Direttore dell’area normativa dell’ANIA, dott. Nanni, ha riconosciuto
che indubbiamente l’indennizzo diretto è soggetto ad una serie di attacchi, il primo dei
quali è proprio l’illegittimità costituzionale, quindi concludo che se addirittura per
l’Ufficio legale dell’ANIA, l’indennizzo diretto è incostituzionale, mi auguro che quanto
prima la Corte Costituzionale che vi rammento ha dichiarato inammissibili e non
infondate le questioni di legittimità costituzionale ad essa sottoposte, abbia modo di
pronunciarsi e di dichiarare finalmente incostituzionale questa norma che, come ha ben
evidenziato l’onorevole avv. Bellisario, che ha presentato una proposta di legge
finalizzata all’abrogazione dell’indennizzo diretto, comporta una grave lesione del diritto
ad una congrua difesa dei danneggiati nei confronti dei mastodontici colossi assicurativi
e che nonostante i proclami al momento della sua introduzione, non ha portato ad
alcuna riduzione dei costi delle polizze RCauto, nonostante la diminuzione del numero
dei sinistri e del loro costo.
Ho concluso, ringrazio tutti per la pazienza e, in particolare, ringrazio la dott.ssa Ilaria
Bignotto che mi ha aiutato nel preparare questa relazione.
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