Formula comparsa di costituzione e risposta - carenza di legittimazione passiva - richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria
Pubblicato il: 16 Aprile 2010 - 01:02
Sezione: Locazioni
TRIBUNALE CIVILE DI __________
R.G. ___ – Giudice dott. ______- udienza del ________
COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA
PER: Tizio , nato a _________ il _________, residente in ______________ (__) ed ivi elettivamente domiciliato in Via ______ n.____, presso lo studio degli Avv.ti Marco Tullio C.F._________ e Cicero C.F. __________, che lo rappresentano e difendono giusta delega a margine del presente atto
- terzo chiamato -
CONTRO: Cornelia rappresentata e difesa dagli Avv.ti Sulpicio e Severo;
- convenuta -
Premesso che
- con atto di citazione notificato in data ________ i sigg.ri Caio e Sempronio convenivano in giudizio Cornelia per sentir dichiarare la detenzione sine titulo ad opera della medesima dell’appartamento sito in ______________, Via _________ n.__, Pal.__, int.___, richiedendo, pertanto, la condanna della Cornelia al rilascio del predetto immobile;
- in data ___________ si costituiva in giudizio la sig.ra Cornelia a mezzo degli Avv.ti Sulpicio e Severo, depositando comparsa di risposta contenente domanda riconvenzionale e chiamata di terzi in causa;
- con il predetto atto la convenuta testualmente chiedeva a Codesto On.le Tribunale di voler: “ a) rigettare la domanda tendente ad accertare l’occupazione b) in accoglimento della domanda riconvenzionale accertare e dichiarare l’esistenza del rapporto di locazione corrente tra la conduttrice Cornelia e i locatori sigg.ri Tizio, Caio e Sempronio in quanto eredi della defunta locatrice Giulia c) Condannare gli stessi al pagamento della somma di € 17.000,00 o quella maggiore o minore per maggior canone percepito. d) Con vittoria di spese competenze ed onorari da distrarsi agli avv.ti de Caro antistatari.”
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Con il presente atto si costituisce in giudizio il sig. Tizio il quale impugna e contesta tutto quanto eccepito, dedotto e richiesto dalla convenuta Cornelia poiché infondato in fatto ed in diritto.
Il sig. Tizio eccepisce la propria totale estraneità al presente giudizio, non essendo in alcun modo erede della sig.ra Giulia.
Sul punto appare del tutto arbitraria la ricostruzione operata dalla controparte secondo cui l’odierno terzo chiamato sarebbe erede della compianta sig.ra Giulia.
D’altro canto, trattandosi di un’affermazione priva del benché minimo fondamento, la sig.ra Cornelia si è ben veduta dal fornire alcun elemento di prova a sostegno.
Sul punto non può non richiamarsi la norma di cui all’art. 96, comma 1, c.p.c. che testualmente recita “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave [c.p.c. 220], il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza”.
Nel caso di specie risulta evidente quanto meno la colpa grave dell’odierna convenuta che fonda l’intera propria difesa su di un assunto del tutto arbitrario ossia la qualità di eredi dei sigg.ri Tizio e Caio rispetto alla compianta sig.ra Giulia. Il sig. Tizio disconoscendo totalmente detta qualità di erede, si vede costretto, a causa di questo contegno processualmente azzardato dell’odierna convenuta, a dover sostenere un giudizio dal quale risulta palesemente estraneo.
A tal fine si chiede tenersi conto della condotta processuale della convenuta, della quale si chiede la condanna alle spese per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c., lasciando alla valutazione equitativa del giudice la quantificazione del relativo danno.
Sul punto riportiamo di seguito quanto affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità: “All'accoglimento della domanda di risarcimento dei danni da lite temeraria non osta l'omessa deduzione e dimostrazione dello specifico danno subito dalla parte vittoriosa, che non è costituito dalla lesione della propria posizione materiale, ma dagli oneri di ogni genere che questa abbia dovuto affrontare per essere stata costretta a contrastare l'ingiustificata iniziativa dell'avversario e dai disagi affrontati per effetto di tale iniziativa, danni la cui esistenza può essere desunta dalla comune esperienza” (Cass. Civile, Sez. III, sent. n. 6796 del 05-05-2003, Vernetti c. Minichelli).
Ed ancora: “L'accoglimento della domanda di condanna al risarcimento del danno ex art. 96, comma 1, cod.proc.civ.presuppone l'accertamento sia dell'elemento soggettivo (mala fede o colpa grave) sia dell'elemento oggettivo (entità del danno sofferto). Il primo presupposto, per concretizzarsi nella conoscenza della infondatezza domanda e delle tesi sostenute ovvero nel difetto della normale diligenza per l'acquisizione di detta conoscenza, è ravvisabile in tutti quei casi in cui venga proposto - contrariamente ad un costante, consolidato e mai smentito indirizzo giurisprudenziale - ricorso per cassazione avverso provvedimenti di natura ordinatoria, quali quelli emessi ex art. 273 e 274 c.p.c..Il secondo presupposto richiede, invece, l'esistenza di un danno e la prova da parte dell'istante sia dell' "an" che del "quantum debeatur", il che non osta a che l'interessato possa dedurre, a sostegno della sua domanda, condotte processuali dilatorie o defatigatorie della controparte, potendosi desumere il danno subito da nozioni di comune esperienza anche alla stregua del principio, ora costituzionalizzato, della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.) e della legge n. 89 del 2001(c.d. legge Pinto), secondo cui, nella normalità dei casi e secondo l' "id quod plerumque accidit", ingiustificate condotte processuali, oltre a danni patrimoniali (quali quelli di essere costretti a contrastare una ingiustificata iniziativa dell'avversario sovente in una sede diversa da quella voluta dal legislatore e per di più non compensata sul piano strettamente economico dal rimborso delle spese ed onorari liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente), causano "ex se" anche danni di natura psicologica, che per non essere agevolmente quantificabili, vanno liquidati equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa (Dichiara inammissibile, Trib. Roma, 19 Febbraio 2004)” (Cass. Civile, Sez. lavoro, Sent. n. 24645 del 27-11-2007).
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Tanto premesso, il sig. Tizio , come sopra rappresentato, domiciliato e difeso, rassegna le seguenti conclusioni
CONCLUSIONI
Voglia l’On.le Tribunale adito, contrariis reiectis,
- in via pregiudiziale accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva del sig. Tizio nel presente giudizio per i motivi esposti nel presente atto e per l’effetto estromettere lo stesso dal giudizio de quo;
- in via principale e nel merito:
a) rigettare ogni domanda formulata dalla sig.ra Cornelia nei confronti del sig. Tizio in quanto il medesimo non risulta essere in alcun modo erede della compianta sig.ra Giulia;
b) condannare la sig.ra Cornelia ai sensi dell’art. 96 c.p.c. al risarcimento dei danni da “lite temeraria” da liquidarsi d’ufficio in via equitativa.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari.
Data e luogo
Avv. Marco Tullio Avv. Cicero