SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
O. I.s.r.l., in persona del già liquidatore della stessa, rappr. e dif. dall'avv. Domenico Franco, elett. dom. in Roma, presso lo studio dell'avv. Marco De Bonis, in viale Mazzini n.11, come da procura a margine dell'atto
-ricorrente -
Contro
EQUITALIA SUD s.p.a., già subentrata ad Equitalia E.T.R. s.p.a., in persona del resp. U.O. contenzioso riscossione, rappr. e dif. dall'avv. Michela Nocco, elett. dom. in Roma, presso lo studio dell'avv. Chiara Pellegrini, alla via Cicerone n. 28, come da
procura in calce all'atto per la cassazione della sentenza App. Bari 30.10.2013 n. 1384/13 in R.G. n. 590/13;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 27 gennaio 2017 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale don. Luisa De Kenzis the
ha concluso per il rigetto o l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

O. I. s.r.l. impugna la sentenza App. Bari 30.10.2013 n. 1384/2013 in R.G. 590/13, che respinse il proprio reclamo interposto ex art. 18 1.f. avverso la sentenza Trib. Trani 13.3.2013 n. 15/13 dichiarativa del fallimento, già promosso con istanza di Equitalia s.p.a., in ciò ribadendo la competenza per territorio del predetto tribunale, oltre allo stato d'insolvenza.
In premessa rilevò la corte d'appello l'infondatezza dei motivi di reclamo, in quanto:
a) circa la validità della procura alle liti, essa risultava in atto integrante l'istanza, benché apposta su foglio separato;
b) la notifica dell'istanza di fallimento era stata validamente recata alla società, per quanto estinta a seguito della cancellazione dal registro delle imprese, per come l'atto era pervenuto a De Nicolo, già liquidatore della società stessa e tenuto conto che la società si era costituita;
c) il termine per la utile dichiarazione di fallimento di società cancellata decorreva dalla cancellazione stessa dal registro delle imprese, tempestività accertata;
d) era provata l'insolvenza, stante l'esposizione verso l'Erario per oltre 71 milioni di euro, ai sensi degli estratti di ruolo acquisiti, irrilevanti essendo la pendenza di un residuo giudizio di legittimità su parte del debito e l'assoluzione da reati tributari del liquidatore, così come la consistenza immobiliare della società, comunque inferiore al passivo, dovendosi più in generale richiamare le motivazioni della sentenza di primo grado, così confermata.

Il ricorso è affidato a cinque motivi, ad esso resistendo il creditore Equitalia Sud s.p.a. con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria, al pari della controricorrente.

Motivazione

Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 112 c.p.c., poiché la sua motivazione appare interamente ricopiata da altra sentenza, analogamente reiettiva del reclamo interposto ex art.18 l.f. dalla diversa società O. s.r.l. avverso altra sentenza di fallimento del Trib.Trani, la n16/2013.

Con il secondo motivo, lamenta la ricorrente la violazione di legge (art.83 c.p.c.), la nullità della sentenza (art.182 c,p.c.) e il vizio di motivazione, avendo erroneamente la sentenza ammesso che la procura per l'istanza di fallimento, benché conferita in atto separato, potesse riferirsi a quella domanda, mentre l'atto non era identificato e mancava una relazione di inscindibilità tra mandato e atto giudiziario, oltre ad un
chiaro riferimento a quel giudizio e a quel tribunale, conferendo oltre tutto la procura poteri non appropriati per il procedimento sommario e camerale del caso, né essendo ,stata rinnovata.

Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt.142 e 145 c.p.c., per erroneità della notifica consolare al liquidatore, non preceduta da verifica della sua dimora o del suo domicilio in Italia.

Con il quarto motivo, lamenta la ricorrente la violazione di legge con riguardo agli artt.2193 c.c. e 10 1.f., sollevando anche eccezione d'incostituzionalità, avendo errato la sentenza nel non considerare che vi era già stata effettiva cessazione dell'attività della società, anche prima della cancellazione disposta d'ufficio dal Conservatore su ordine del Giudice del registro delle imprese, mentre Equitalia non poteva dirsi terzo e comunque conosceva detta cessazione.

Con il quinto motivo si contesta la corretta applicazione del criterio patrimoniale nella ricostruzione dell'insolvenza della società, già in liquidazione e che però era comproprietaria (con altra società, la O. s.r.l.) in un complesso aziendale pignorato ma di valore superiore ai debiti.

1. Il primo motivo è inammissibile, posto che l'apparente errore materiale della Corte d'appello, che nella sentenza qui impugnata si è riferita alla società O. s.r.l. e non alla società O. I. s.r.l., non mostra di aver assunto alcun rilievo decisivo nell'economia della motivazione. Per un verso, la società ricorrente non ha
rappresentato, anche solo per sintetica allegazione, quali fossero state le proprie difese in sede di reclamo, cioè per come proposte e disattese, in quale atto inserite e con quale tempestività d'introduzione nel processo.
Va dunque ribadito che "È inammissibile, per violazione del criterio dell'autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano "nuove" e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all'esame dei fascicoli di ufficio o di parte." (Cass. 17049/2015).
Per altro verso, elementi caratterizzanti dell'appropriato giudizio si rinvengono con sufficiente completezza, essendosi la sentenza riferita al reclamo contro la sentenza di fallimento della O. i. s.r.l., nonchè al ricorso dell'istante creditore Equitalia ed al suo credito ed anche alle difese della reclamante, senza che neanche su questi punti vi sia stata, in sede di legittimità, idonea contestazione di estraneità al giudizio.
Va dunque ripetuto il principio, al quale si presta adesione, per cui "Nel giudizio d'impugnazione non sussiste contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo qualora entrambi siano tesi a disattendere il gravame ove la divergenza sia dovuta a mero errore materiale, sicché, in tale evenienza, va esclusa la nullità della sentenza" (Cass. 24841/2014).

2. Il secondo motivo è infondato.
Con accertamento in fatto, il giudice del merito ha ritenuto che la procura era stata apposta su foglio separato ma spillato all'istanza di fallimento e a questa congiunto con timbro del difensore, infine come tale ed insieme notificato. La circostanza è di per sé sufficiente a ribadire, come statuto in altro precedente con ricorrente la società O. s.r.l. in analogo giudizio di impugnativa avverso la dichiarazione di fallimento, che "quanto alla validità della procura rilasciata da Equitalia al proprio difensore per la presentazione della istanza di fallimento, la corte distrettuale non pare essersi discostata dalla consolidata giurisprudenza di questa corte di legittimità (cfr tra molte: Cass. n.28839/11; n.7731 / 04; n.12080 / 03) là dove ha dato rilievo alla congiunzione materiale del foglio separato con l'atto di impulso cui accede (non esclusa dalla presenza in esso di spazi, vuoti nell'ultima pagina) ed alla successiva notifica dell'atto così formato, nonché alla indicazione nella procura della Autorità giudiziaria ritualmente competente e del giudizio per cui era stata rilasciata, senza che possa considerarsi decisiva in senso contrario la presenza nel testo della procura in questione di espressioni facenti riferimento a poteri di rappresentanza in giudizio o di chiamata in causa di terzi, la cui incoerenza con la natura camerale e sommaria de/procedimento prefallimentare non pare idonea a condurre a diverse conclusioni" ed ancora che "la allegazione circa la mancanza di indicazione, nella procura congiunta materialmente al ricorso per dichiarazione di fallimento, della Autorità giudiziaria cui il ricorso era diretto risulta.., non conducente di per sé a diverse conclusioni, in presenza degli altri elementi evidenziati nel provvedimento impugnato e nella relazione alla stregua della giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cfr.Cass. n.28839 / 11)" (Cass. 10563/2016).

3. Il terzo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. Non risulta invero che un primo
profilo di censura, relativo alla pretesa omessa verifica nella relata di notifica che il liquidatore (attinto da notifica all'estero alla sua residenza anagrafica e a mani) avesse conservato dimora o domicilio in Italia, sia stato oggetto di rituale impugnazione avanti al giudice del merito, né il ricorrente ha riportato le proprie difese sul punto o anche solo allegato dove esse siano state spiegate, ciò implicando un inevitabile
apprezzamento di novità della questione, dunque inammissibile in questa sede. Sui restanti profili, il giudizio di infondatezza consegue al medesimo quadro giustificativo proprio del precedente di Cass. 10563/2016, cui questo Collegio si riporta, per assoluta identità di fattispecie, censura e questione: "la corte distrettuale pare invero aver rettamente considerato che la notifica della istanza di fallimento e del provvedimento di convocazione è stata effettuata alla odierna ricorrente nelle mani del suo (ultimo) legale rappresentante D. N. raggiunto personalmente nella sua residenza di Hong Kong-risultando tale sua qualità chiaramente dal contenuto dell'atto, ancorchè non precisata nel verbale di notifica redatto dalla Autorità consolare-; e che peraltro la notifica aveva raggiunto il suo scopo essendosi la società costituita, in persona del D. N., nel procedimento prefallimentare" ed ancora che -le allegate irregolarità nella trasmissione della istanza di notifica alla Autorità consolare non potrebbero comunque condurre ad affermare la inesistenza di una notifica eseguita persona/mente, mediante consegna nelle mani del destinatario nella sua qualità di legale rappresentante della società, poi costituitasi nel procedimento prefallimentare, sì che in ogni caso deve applicarsi il disposto dell'art.156 comma III cod.proc.civ.".

Va inoltre ribadito, avendo riguardo ad altro profilo del motivo, che comunque validamente la corte ha seguito il principio per cui "Nel procedimento per la dichiarazione di fallimento di una società di capitali cancellata dal registro delle imprese, la legittimazione a contraddire spetta - anche ai fini del reclamo avverso la sentenza di fallimento - al liquidatore sociale, poiché, pur implicando la cancellazione l'estinzione della società, ai sensi dell'art. 2495 cod. civ., in forza dell'art. 10 legge fall. è ancora possibile che entro l'anno dalla cancellazione la società sia dichiarata fallita, se l'insolvenza si è è manifestata prima della cancellazione o nell'anno successivo." (Cass. 18138/2013).

4. Il quarto motivo è infondato, anche per esso valendo il precedente specifico di Cass. 10563/2016: la corte ha deciso "in conformità al principio, affermato più volte da questa corte di legittimità (dr. ex multis: Cass. n.12338 /14; n.8033 /12), secondo cui il termine di un anno dalla cessazione dell'attività, prescritto dall'art. 10 legge fall. ai fini della dichiarazione di fallimento, decorre, tanto per gli imprenditori individuali quanto per quelli collettivi, dalla cancellazione dal registro delle imprese (e non dalla richiesta di cancellazione), perché solo da tale momento la cessazione dell'attività viene formalmente portata a conoscenza dei terzi: principio che peraltro questa corte ha già, in fattispecie analoga sotto questo profilo a quella qui in esame, condivisibilmente, affermato non essere in contrasto con il disposto degli artt.3 e 24 Cost. (cfr. Cass. n.8932 / 13)" (cui adde Cass. 10105/2104). Né tale principio appare aggirabile invocando la pretesa non terzietà di Equitalia
(confusamente prospettata in ragione del suo operare come agente del Ministero delle Finanze) ovvero la conoscenza di fatto della cessazione (recepita nella cancellazione iscritta solo il 26.3.2012): sulla prima questione, basti osservare che trattasi — ai fini del presente procedimento — di un normale creditore costituito in forma di società, restando del tutto irrilevante la partecipazione al suo capitale di altri enti pubblici; circa la seconda critica, ad essa va opposta la natura costitutiva delle iscrizioni al Registro delle imprese (come con chiarezza precisato sin da Cass. s.u. 4060/2010, Cass. 22546/2010, 8596/2013, 23574/2014) e l'operatività dell'art. 10 co.2 1.f. nel senso che, semmai, la possibilità di provare una diversa decorrenza della cessazione compete ai soli creditori dell'imprenditore collettivo cancellato d'ufficio e nell'ovvio presupposto che la circostanza sia maturata dopo la cancellazione stessa, così realizzandosi una tutela avanzata nell'affidamento dei terzi (Cass.8932/2013, 15488/2013), "non potendo la società dimostrare il momento anteriore dell'effettiva cessione dell'attività" (Cass. 24549/2016).

5. Il quinto motivo è inammissibile, involgendo esso una censura di fatto che non supera il limite di cui al vigente art.360 co.1 n.5 c.p.c. posto che, quanto alla rilevata insolvenza, si tratta di elemento dettagliatamente ricostruito dal giudice di merito indicando l'entità ingente del debito, l'esito negativo dei giudizi di contestazione e la parzialità del loro oggetto, l'incapienza delle proprietà immobiliari, già attinte da esecuzioni non fruttuose, per cui "La riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del dl. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del
sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione. (Cass. s.u. 8053/2014).

Il ricorso va dunque rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del procedimento, determinate secondo le regole della soccombenza e meglio liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in favore del controricorrente in curo 10.200 (di cui curo 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modificato dalla 1. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 gennaio 2017.
Depositato in segreteria il 7 marzo 2017


 

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