LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE CIVILE - 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAFFAELE FRASCA - Presidente -
Dott. ENRICO SCODITTI - Consigliere -
Dott. CHIARA GRAZIOSI - Consigliere -
Dott. PASQUALE GIANNITI - Rel. Consigliere -
Dott. PAOLO PORRECA - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 26068-2018 proposto da:
P. D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato MASSIMO BALI';
- ricorrente -
contro
G. SPA subentrata a I. SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell'avvocato MARISA PAPPALARDO, rappresentata e difesa dagli avvocati CARLO PAVESIO, PATRIZIA SERASSO;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 572/2018 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 28/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE GIANNITI.

Svolgimento del processo

RILEVATO IN FATTO
1. L'ing. D. P. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 572/2018 della Corte di appello di Torino, che, respingendo la sua impugnazione, ha confermato la sentenza n. 139/2016 del Tribunale di Aosta, che aveva escluso il carattere diffamatorio di tre articoli apparsi nelle pagine della cronaca locale del quotidiano "La Stampa" (rispettivamente in data 5 maggio 2012, 21 maggio 2014 e 23 novembre 2014) ed
aveva pertanto rigettato la domanda risarcitoria da lui proposta nei confronti della Italiana Editrice s.p.a. (già società Editrice La Stampa s.p.a.).
2. Ha resistito con controricorso la Gedi News Network s.p.a., subentrata alla Italiana Editore s.p.a. a seguito di fusione per incorporazione.
3. Essendosi ritenute sussistenti dal relatore designato le condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., è stata redatta proposta ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte.
4. In vista dell'odierna adunanza non sono state depositate memorie.

Motivazione

RITENUTO IN DIRITTO
1. Il P. censura la sentenza impugnata per tre motivi.
1.1. Con il primo motivo, rubricato in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043-2059 c.p., dell'art. 595 c.p. e degli artt. 11,12 e 13 della legge n. 47/1948, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto non diffamatorio l'articolo apparso sul quotidiano La Stampa in data 5 maggio 2012, nel quale si dava notizia del rinvenimento di una pistola con silenzionatore nel corso della perquisizione del circolo, di cui lui era presidente, all'interno della cassaforte, di cui lui aveva le chiavi, mentre detta pistola era stata rinvenuta in un armadietto, chiuso non a chiave, all'interno del locale spogliatoio. Sostiene che la pubblicazione di una notizia relativa al ritrovamento di una pistola all'interno della cassaforte era idonea a ledere la sua reputazione, in quanto lui, quale titolare del locale, aveva accesso alla cassaforte.

1.2. Con il secondo motivo, rubricato in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043-2059 c.p., dell'art. 595 c.p. e degli artt. 11,12 e 13 della legge n. 47/1948, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto non diffamatorio l'articolo apparso sul quotidiano La Stampa in data 21 maggio 2014, nel quale veniva precisato che lui era stato assolto dal delitto di detenzione abusiva di armi, ma veniva ribadito il rinvenimento di una pistola con silenzionatore nel corso della perquisizione del circolo, di cui lui era presidente. Il ricorrente rinnova al riguardo le considerazioni svolte con il primo motivo.

1.3. Con il terzo ed ultimo motivo, rubricato in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043-2059 c.p., dell'art. 595 c.p. e degli artt. 11,12 e 13 della legge n. 47/1948, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto non diffamatorio l'articolo apparso sul quotidiano La Stampa in data 23 novembre 2014, nel quale, malgrado il segreto istruttorio, si dava notizia del fatto, del tutto privo di interesse pubblico, che lui, espressamente indicato per nome e cognome, era indagato in relazione ai reati previsti dagli artt. 340 e 367 c.p. e nel quale lui, nonostante il procedimento si trovava in fase di indagine (per cui gli atti non potevano essere consultati), era indicato come colui che, pur di non pagare tre anni di multe, aveva falsamente denunciato la clonazione della sua auto. Sostiene che la Corte territoriale ha errato laddove ha affermato che lui si era lamentato soltanto dell'eccessiva diffusione della notizia e del fatto che era stato pubblicato il suo nominativo integrale (e non soltanto le iniziali, come avevano fatto i C.C. in un comunicato stampa).

2. I motivi - che, in quanto strettamente connessi, si trattano qui congiuntamente - sono inammissibili.
Invero, il ricorrente, nonostante l'eccepita violazione di legge, in nessuno dei tre motivi svolge argomentazioni riconducibili alle dedotte violazione delle disposizioni di legge denunciate, ma in tutti i motivi svolge argomentazioni, che sostanzialmente rappresentano contestazione di asseriti errori di valutazione, che sarebbero stati commessi dal giudice di merito, nell'escludere il carattere diffamatorio dei tre articoli pubblicati su Stampa on line.
Rispetto a detti asseriti errori di valutazione, il ricorrente sollecita una diversa valutazione (demandando sostanzialmente a questa Corte il compito di ricondurre alle norme denunciate il senso delle argomentazioni in fatto svolte in ricorso), ma, così facendo, trasforma inammissibilmente il ricorso per cassazione nella richiesta di un nuovo esame del fatto sostanziale e degli elementi probatori, che costituiscono il fondamento della sentenza impugnata.

3. In punto di regolamentazione delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, va dato atto che parte resistente ha correttamente depositato il controricorso in cancelleria, non essendo andata a buon fine la notifica telematica alla controparte, la cui casella di posta elettronica era risultata "piena".
Al riguardo, si osserva che, in tema di comunicazioni, questa Corte (Sez. 5, sent. n. 7029 del 21/32018, rv. 647554-01) ha avuto modo di precisare che: "Il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale, dovuto alla saturazione della capienza della casella di posta elettronica del destinatario, è un evento imputabile a quest'ultimo, in ragione dell'inadeguata gestione dello spazio per l'archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi, sicché legittima l'effettuazione della comunicazione mediante deposito dell'atto in cancelleria, ai sensi dell'art. 16 comma 6
del d.l. n.n. 179 del 2012, conv. in I. n. 221 del 2012, come modificato dall'art. 47 del d.l. n. 90 del 2014, conv. in I. n. 114 del 2014" (cfr. altresì Sez. L, sent. n. 13532 del 20/05/2019, rv. 653961 - 01).

Il principio sopra richiamato è dettato per le comunicazioni, ma l'ordinamento contiene una norma sostanzialmente di contenuto omologo nel codice di procedura civile anche in tema di notificazione. Essa si desume dal disposto di cui all'art. 149-bis , terzo comma, cod. proc. civ. in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall'ufficiale giudiziario. In esso si prevede che "La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario.".
Ritiene il Collegio che tale disposto vada inteso nel medesimo senso indicato più esplicitamente dal disposto del d.m. n. 179 del 2012. Va ricordato che il disposto dell'art. 20 comma 5 del D.M. n. 44 del 2011 (recante, "Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24), stabilisce che "Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell'imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione".
E' dunque onere del difensore provvedere al controllo periodico della propria casella di PEC.
Un simile onere è manifestamente finalizzato ad assicurare che gli effetti giuridici connessi alla notifica di atti tramite lo strumento telematico si possano produrre nel momento in cui il gestore del servizio PEC rende disponibile il documento nella casella di posta del destinatario.

Il disposto del d.m., data la natura secondaria della fonte, naturalmente non è sufficiente a giustificare la conclusione che in presenza di c.d. casella di PEC satura la notificazione si abbia per perfezionata.
Ma non altrettanto è da dirsi per l'espressione "rendere disponibile" figurante nel citato disposto codicistico: poiché esso individua un'azione dell'operatore determinativa di effetti potenziali e non una condizione di effettività della detta potenzialità dal punto di vista del destinatario, si giustifica la conclusione che, qualora il "rendere disponibile" quale azione dell'operatore non possa evolversi in una effettiva disponibilità da parte del destinatario per causa a lui imputabile, come per essere la casella satura, la notificazione si abbia per perfezionata, con la conseguenza che il notificante può procedere all'utilizzazione dell'atto come se fosse stato notificato.
D'altro canto, con riferimento all'esecuzione della notificazione da parte dell'avvocato a norma dell'art. 3-bis della I. n. 53 del 1994, il disposto del comma 3 di tale norma, là dove allude, come momento di perfezionamento della notificazione dal punto di vista del destinatario, al "momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della
Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68", si presta ad essere inteso nel senso che a tale ricevuta deve equipararsi anche quella con cui l'operatore attesta l'avere rinvenuta la casella di PEC "piena". Tanto implica che la consegna non sia potuta effettivamente avvenire (nel senso dell'inserimento nella casella del destinatario), ma giustifica che, essendo imputabile tale evento al destinatario, l'inserimento debba ritenersi come avvenuto, sì da equivalere ad una consegna effettiva.
Questa complessiva ricostruzione, se ve ne fosse bisogno, risulterebbe giustificata anche alla luce del precetto di cui all'art. 138, secondo comma, cod. proc. civ., il quale considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente ad una notificazione di tale genere. Il lasciare la casella di PEC satura equivale ad un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite di essa e l'essere della sua gestione direttamente responsabile il titolare giustifica il considerare la conseguenza di tale atteggiamento come equipollente ad una consegna dell'atto.

Le svolte considerazioni, nel caso di specie, giustificano allora il ritenere che il controricorso sia stato depositato come notificato e come tale vada considerato. Ne consegue che dalla inammissibilità del ricorso discende - oltre alla declaratoria di sussistenza dei presupposti per il pagamento dell'importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo - la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte:
-dichiara inammissibile il ricorso;
-condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1 comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019


 

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