REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PALMA Salvatore - Presidente -
Dott. BERNABAI Renato - Consigliere -
Dott. SCALDAFERRI Andrea - Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria - rel. Consigliere -
Dott. NAZZICONE Loredana - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 27235/2013 proposto da:
S.F., nella qualità di curatore speciale della minore G.G.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 145, presso l'avvocato ROBERTO LOMBARDI, rappresentato e difeso dall'avvocato GIAMPORCARO Lorenzo, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
G.F., PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI PALERMO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 970/2013 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 10/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/07/2015 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l'inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso.

Motivazione

Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Palermo, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda proposta dalla curatrice speciale della minore G.F. volta alla dichiarazione d'inefficacia del riconoscimento della minore predetta effettuato da G.F., per difetto di veridicità.
Nell'atto d'appello la curatrice ha dedotto che il G. aveva iniziato un rapporto di convivenza con la madre della minore T. E., solo quando quest'ultima era già in avanzato stato di gravidanza, come da numerosi riscontri probatori. In via subordinata veniva peraltro richiesta la consulenza tecnica ematologica. Il G., costituitosi in entrambi i gradi, aderiva alla domanda.
La Corte d'appello, a sostegno della decisione assunta, ha evidenziato che non erano stati forniti elementi probatori decisivi a sostegno della non veridicità del riconoscimento di paternità effettuato dal G. nè valore discriminante poteva attribuirsi all'adesione del medesimo, trattandosi di diritti indisponibili.
Infine l'appellante all'udienza fissata per l'ammissione delle istanze istruttorie aveva chiesto il rinvio della causa per la precisazione delle conclusioni così implicitamente rinunciando alla richiesta di consulenza ematologica. Peraltro tale incombente avrebbe avuto, secondo la Corte d'Appello, una funzione meramente esplorativa.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la curatrice speciale della minore affidandosi ai seguenti motivi.
Nel primo motivo ha dedotto la violazione degli artt. 2727, 2728 e 2729 c.c., per non avere la Corte d'Appello ritenuto provato in via presuntiva il difetto di veridicità del riconoscimento effettuato dal G. nonostante la copiosa documentazione prodotta ed in particolare la segnalazione n. 8415 del 2008 dei servizi sociali, la dichiarazione della madre della minore, le dichiarazioni del G., il fatto noto che la convivenza tra la T. ed il G. era iniziata solo a gravidanza molto avanzata.

Nel secondo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 2700 c.c., per non avere la Corte d'Appello considerato che gli elementi fattuali acquisiti al processo provenivano da atti pubblici.

Nel terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 112 e 191 c.p.c., per avere la Corte d'Appello ritenuto rilevante la mancata reiterazione dell'istanza di CTU all'udienza dedicata all'ammissione dei mezzi di prova, benchè formulata fin dall'atto introduttivo del giudizio. Al riguardo ha osservato la parte ricorrente che la consulenza d'ufficio è un mezzo istruttorio officioso sottratto alle preclusioni istruttorie cui si giunge quando difettano altri elementi di prova idonei a confortare il proprio giudizio, non rinunciabile dalle parti. Inoltre nei procedimenti relativi agli status la verità biologica prevale su quella processuale e l'accertamento genetico ematologico costituisce mezzo obiettivo di prova. Infine la mancata reiterazione dell'stanza non può essere qualificata come rinuncia implicita. Spettava al giudice valutarne la necessità al fine di comporre il quadro probatorio necessario al riconoscimento non al rigetto della domanda. Infine, del tutto fuori luogo il riferimento ai tempi del processo, attesa la rilevanza del mezzo di prova ed il presunto interesse del G. ad aderire alla domanda, trattandosi, al contrario di comportamento "confessorio" di un reato.

Nel quarto motivo viene dedotta la violazione dell'art. 115 c.p.c., nella nuova formulazione in vigore dal 4 luglio 2009 per non avere la Corte d'Appello considerato che la non veridicità del riconoscimento non era stata contestata da colui che l'aveva eseguito e che, conseguentemente, doveva ritenersi provata anche sotto questo profilo.

Preliminarmente deve essere esaminato il quarto motivo di ricorso, in quanto pregiudiziale, secondo l'ordine logico delle questioni. La censura in esso contenuta è infondata dal momento che il principio di non contestazione non è applicabile in tema di diritti indisponibili.
Sempre in via preliminare deve essere affermata, d'ufficio la legittimazione ad agire del curatore speciale della minore ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 74.
Secondo tale norma, il tribunale per i minorenni, eseguite opportune indagini, nel caso in cui vi siano fondati motivi per ritenere che ricorrano gli estremi dell'impugnazione del riconoscimento del minore, assume, anche d'ufficio, i provvedimenti di cui all'art. 264 c.c., comma 2. Il rinvio è compiuto in relazione al testo previgente dell'art. 264 c.c., ma si tratta di un rinvio formale. L'attuale formulazione, introdotta dal D.Lgs. n. 154 del 2013, art. 29, è contenuta in un unico comma ma stabilisce analogamente al pregresso regime che a certe condizioni il giudizio volto al riconoscimento del difetto di veridicità del riconoscimento del figlio minore può essere promosso dal curatore speciale nominato dal giudice.
Solo al fine di completare l'indagine sul quadro normativo di riferimento, deve rilevarsi che, poichè non si è formato il giudicato sull'azione proposta, si applica alla fattispecie del D.Lgs. n. 154 del 2013, art. 104, comma 10, ai fini della tempestività dell'azione, secondo il quale:
"Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della L. 10 dicembre 2012, n. 219, nel caso di riconoscimento di figlio annotato sull'atto di nascita prima dell'entrata in vigore del presente D.Lgs. decreto legislativo (9/1/2014 n.d.r.) i termini per proporre l'azione di impugnazione, previsti dall'art. 263 e dell'art. 261 c.c., dai commi 2, 3 e 4, decorrono dal giorno dell'entrata in vigore del medesimo D.Lgs.".
L'imprescrittibilità dell'azione (peraltro non eccepita in mancanza di una parte resistente) se proposta dal figlio minore, nell'interesse esclusivo del quale agisce il curatore speciale, è comunque rimasta immutata.

In ordine agli altri motivi, si ritiene di esaminare in ordine di priorità logica il terzo motivo. Al riguardo, deve rilevarsi che la Corte territoriale ha, da un lato, ritenuto insufficienti gli elementi d'indagine forniti dall'appellante e non decisiva l'adesione di G.F. e, dall'altro, ha rigettato l'istanza volta a disporre una consulenza tecnica d'ufficio, ritenendo da un lato "rinunciata" l'istanza volta a richiederla e dall'altro il suo carattere "esplorativo" e la conseguente incidenza negativa sui tempi del processo.

In primo luogo deve rilevarsi il palese error in iudicando derivante dall'assunto secondo il quale la CTU sia un mezzo "disponibile" per le parti e che le stesse possano rinunciarvi, esplicitamente o implicitamente e non uno strumento istruttivo officioso, non soggetto al regime processuale proprio delle istanze di parte. Al riguardo la Corte territoriale ha ritenuto ingiustificatamente applicabile alla consulenza tecnica d'ufficio, il regime giuridico relativo alle istanze probatorie di parte in senso stretto quali la richiesta di assunzione di prova testimoniale cui sia seguita istanza di precisazione delle conclusioni. L'implicita rinuncia all'istanza istruttoria di parte può, peraltro, essere desunta dalla istanza successiva di fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni, soltanto nel regime processuale anteriore all'entrata in vigore della L. n. 353 del 1990, in quanto caratterizzato dall'impulso di parte (Cass. 18540 del 2013). Tale comportamento non può rivestire qualificazione giuridica univocamente abdicativa nel regime processuale vigente, fondato sulla rigida scansione delle preclusioni endoprocessuali. Ne consegue che la violazione di legge nella quale è incorsa la Corte d'Appello è duplice, in quanto ha ad oggetto non solo l'errata qualificazione della consulenza tecnica d'ufficio come un'istanza istruttoria di parte ma anche l'applicazione di principi regolatori dei comportamenti processuali delle parti propri di un modello processuale non più in vigore.

Per quanto riguarda la natura "esplorativa" dell'istanza che costituisce l'unica motivazione di merito in ordine al rigetto della richiesta di CTU ematologica, deve osservarsi che un'istanza istruttoria può definirsi esplorativa quando sia rivolta a supplire deficienze allegative ed istruttorie di parte (Cass. 3130 del 2011) e conseguentemente sia da considerare contra legem, perchè destinata ad aggirare il regime giuridico dell'onere della prova sul piano sostanziale o i tempi di formulazione delle richieste istruttorie sul piano processuale. La sanzione processuale che consegue all'istanza esplorativa è l'inammissibilità. Nella specie, non soltanto la richiesta di consulenza tecnica d'ufficio non è, come già rilevato, un'istanza istruttoria di parte in senso stretto ma segue, come riferito anche nella sentenza impugnata, ad una pluralità di altri elementi di prova, ancorchè non ritenuti univoci. Infine è rivolta verso l'unica indagine istruttoria decisiva nell'accertamento della verità dei rapporti di filiazione. Può, conseguentemente, escludersi che abbia carattere defatigatorio. Anche sotto questo profilo, di conseguenza, la Corte territoriale è incorsa in un evidente error in iudicando in ordine alla qualificazione giuridica dell'istanza. Solo in mancanza di qualsiasi allegazione e prova sull'accertamento richiesto, la richiesta di svolgere l'indagine tecnica unanimemente ritenuta decisiva in ordine alla verità dei rapporti di filiazione, avrebbe potuto astrattamente ritenersi esplorativa. Peraltro, anche sotto il profilo del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, nuova formulazione, la censura è fondata. Al riguardo deve osservarsi che pur avendo rubricato la censura soltanto come vizio ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nello svolgimento del terzo motivo di ricorso da pag. 23 in poi la parte ricorrente sottolinea proprio la radicale carenza di una motivazione effettiva e l'omessa valutazione della univoca decisività dell'indagine richiesta, così consentendo al Collegio di qualificare anche sotto questo specifico profilo le censure esposte. Si ritiene di dover sottolineare inoltre che secondo l'unanime orientamento di questa Corte la consulenza d'ufficio c.d. ematologica costituisce accertamento decisivo tanto da rendere comportamento processuale dotato di pregnante rilevanza il suo ingiustificato rifiuto. (ex multis Cass. 6053 del 2015).

Infine proprio in tema di consulenza ematologica è stato affermato (Cass. 10007 del 2008) che "Il principio secondo il quale il provvedimento che disponga, o meno, la consulenza tecnica, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, va contemperato con quello secondo il quale il giudice stesso deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata, non potendo detto giudice rifiutare con argomentazioni di stile e prive di reale consistenza il ricorso ad essa". La decisione è stata adottata in una fattispecie caratterizzata come quella dedotta nel presente giudizio non "già per totale mancanza di prove bensì per non univocità e discordanza degli elementi acquisiti attraverso le prove storione" (Cass. n. 10007 del 2008).

Nella specie è mancato integralmente l'esame e la valutazione degli altri indizi probatori e la motivazione è risultata sostanzialmente apparente e di stile in quanto non derivante da un esame concreto dell'istanza, così integrando il parametro indicato dalla pronuncia delle S.U. 8053/14.

L'accoglimento del terzo motivo determina l'assorbimento dei primi due.
In conclusione, deve essere rigettato il quarto motivo, accolto il terzo, assorbiti i primi due. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello in diversa composizione perchè decisa anche sulle spese del presente procedimento.

PQM

LA CORTE rigetta il quarto motivo. Accoglie il terzo motivo, assorbiti i primi due. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese del presente procedimento.
In caso di diffusione omettere le generalità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 luglio 2015.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2015


 

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