REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI CATANIA SEZIONE 17
riunita con l'intervento dei signori:
COSTA SALVATORE -Presidente -
ALBO FRANCESCO - Relatore -
LA GRECA GIUSEPPE - Giudice -
ha emesso la seguente
SENTENZA
sul ricorso n.2953/2015
depositato il 19/03/2015
- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO N._______ IRES-ALTRO 2005
- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO N._______ IVA-ALTRO 2005
- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO N._______ IRAP 2005
contro:
AG.ENTRATE DIR. PROVINC. UFF. CONTROLLI CATANIA
proposto dal ricorrente:
E. S.r.l.
difeso da:
ESPOSITO STEFANO ORAZIO
VIA CARMELO PATANè ROMEO 28 95100 CATANIA CT

Visti gli atti introduttivi del giudizio e i relativi allegati;
Visti gli atti di causa;
Relatore dott. Albo Francesco;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato nella segreteria di questa Commissione in data 19 marzo 2015, la società ricorrente, in persona del legale rappresentante, ha impugnato un avviso di accertamento notificatole dall'Agenzia delle entrate a seguito di processo verbale di constatazione della GDF relativo ad indebita deduzione di costi e conseguente maggiore imposta IRES, IVA ed IRAP anni 2005-06 e 2010/13.
Lamenta:
- Decadenza e violazione art. 43 comma 1 DPR 600/73 ed illegittimo raddoppio dei termini previsto dall'art. 37 commi 24/26 del DL n. 223/2006;
- Violazione dei termini minimi di notifica previsti dall'art. 12 comma 7 della legge n. 212/2000;
- Carenza di legittimazione alla sottoscrizione;
- Violazione art. 7 della medesima legge per mancata allegazione del PVC all'avviso;
- Erronea valutazione dei fatti e difetto di motivazione.
Conclude chiedendo l'annullamento dell'atto impugnato, in accoglimento del ricorso, con vittoria di spese di giudizio.

Con memoria del 25 maggio 2015 si è costituita l'Agenzia delle entrate, che contesta analiticamente i motivi di ricorso, di cui chiede il rigetto, siccome infondato, con vittoria di spese. Produce copia della delega di firma.

Con ordinanza 11199/17/15 è stata disposta la sospensione del provvedimento impugnato.
Con memoria ex art. 32 del D.Lgs. n. 546/92 parte ricorrente ha preso posizione sulle controdeduzioni di parte avversa confermando le proprie richieste.
Alla pubblica udienza del 21 aprile 2016, al termine della discussione come da verbale in atti, la causa è stata posta in decisione.

Motivazione

Il Collegio, esaminati gli atti di causa, osserva che l'intervenuta produzione della delega di firma, sia pur nel corso del giudizio, rende infondato il terzo motivo di ricorso.
Con riferimento al preteso difetto di legittimazione alla sottoscrizione, parte ricorrente denuncia violazioni di norme di diritto - D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 - rilevando che l'invocato art. 42 sanziona con la nullità gli avvisi di accertamento che manchino della firma del capo dell'ufficio o di un dirigente da lui delegato e pone in capo all'ufficio impositore l'onere di provare che il sottoscrittore sia realmente munito di poteri di firma.
In merito alla questione della legittimazione alla sottoscrizione, nella giurisprudenza di legittimità si è ormai affermato l'orientamento secondo cui:
"In tema di imposte sui redditi, deve ritenersi, in base al D.P.R. 29 settembre 1973, n.600, art. 42, commi 1 e 3, che gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d'ufficio sono nulli tutte le volte che gli avvisi nei quali si concretizzano non risultino sottoscritti dal capo dell'ufficio emittente o da un impiegato della carriera direttiva (addetto a detto ufficio) validamente delegato dal reggente di questo. Ne consegue che la sottoscrizione dell'avviso di accertamento - atto della p.a. a rilevanza esterna - da parte di funzionario diverso (il capo dell'ufficio emittente) da quello istituzionalmente competente a sottoscriverlo ovvero da parte di un soggetto da detto funzionario non validamente ed efficacemente
delegato non soddisfa il requisito di sottoscrizione previsto a pena di nullità dall'art. 42, commi 1 e 3, dinanzi citato"
(Cass. 14195/00).

Analogamente, altra decisione di poco posteriore ha ritenuto:
"L'avviso di accertamento è nullo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n.600, art. 42, se non reca la sottoscrizione del capo dell'ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo dell'ufficio titolare ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all'Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, l'esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell'ufficio.

Più di recente, il giudice di legittimità ha confermato tali principi riaffermando: "L'avviso di accertamento è nullo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, se non reca la sottoscrizione del capo dell'ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo dell'ufficio titolare ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all'Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell'ufficio, poichè il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell'ufficio" (Cass. 17400/12).

A tale oramai consolidato orientamento ha dato ulteriore continuità la sentenza n.14942 del 14 giugno 2013 ribadendo che, nella individuazione del soggetto legittimato a sottoscrivere l'avviso di accertamento, in forza del D.P.R. n.600 del 1973, art. 42, incombe all'Agenzia delle entrate l'onere di dimostrare il corretto esercizio del potere e la presenza di eventuale delega (in termini, da ultimo, Cass. Civ., sez. V, sent. 5 settembre 2014, n. 18758).
Nella fattispecie, l'Amministrazione intimata ha validamente prodotto in giudizio, allegandolo alla propria memoria di costituzione, il provvedimento direttoriale di delega n. 32/2013, che contiene l'esatta individuazione dei soggetti delegati e la perimetrazione dei poteri di firma tra i soggetti nominativamente abilitati, tra cui rientra il soggetto firmatario del provvedimento censurato.

Ciononostante, il ricorso è fondato per i motivi che seguono.
Con il primo motivo di ricorso la società, denunziando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, come modificato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, commi 24 e 25, sostiene che l'Ufficio non ha mai prodotto in giudizio copia di denuncia a carico di essa contribuente inviata alla competente Procura della Repubblica sicché la semplice enunciazione nell'atto di accertamento nel pvc dell'inoltro della notizia di reato alla Procura della Repubblica senza ulteriori elementi, non legittimava l'Ufficio a beneficiare del raddoppio dei termini ordinari per l'accertamento (entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione) di cui al D.P.R. n.600 del 1973, art. 43 e D.P.R. n.633 del 1972, art. 57.
L'avviso di accertamento, relativo all'anno d'imposta 2005, sarebbe stato notificato solo in data 19.12.2014, e dunque oltre lo spirare dei termini decadenziali ordinariamente previsti per legge.

La Corte costituzionale, con sentenza 247/2011, concernente l'analoga norma in tema di IVA prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, ha precisato che "i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una "proroga" di quelli ordinari, da disporsi a discrezione dell'amministrazione finanziaria procedente, in presenza di "eventi peculiari ed eccezionali". Al contrario, i termini raddoppiati sono anch'essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva (allorché, cioè, sussista l'obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000), senza che all'amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. In altre parole, i termini raddoppiati non si innestano su quelli "brevi" di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, primi due commi in base ad una scelta degli uffici tributari, ma operano autonomamente allorché sussistano elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000. Sotto questo aspetto non può parlarsi di "riapertura o proroga di termini scaduti" né di "reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti", perché i termini "brevi" e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi termini di accertamento.
Più precisamente, i termini "brevi" di cui ai primi due commi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 operano in presenza di violazioni tributarie per le quali non sorge l'obbligo di denuncia penale di reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000; i termini raddoppiati di cui al cit. art. 57, comma 3 operano, invece, in presenza di violazioni tributarie per le quali v'è l'obbligo di denuncia".

Merita osservare, tuttavia, che l'art. 1 comma 130 della legge 21 dicembre 2015, n. 208, ha modificato l'articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, disponendo che:
- Gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti previsti nell'articolo 54 e nel secondo comma dell'articolo 55 devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successive a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.
- Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla l'avviso di accertamento dell'imposta a norma del primo comma dell'articolo 55 può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Il successivo comma 132, con riferimento ai periodi d'imposta antecedenti al 31 dicembre 2016 ha disposto una clausola di salvaguardia che recita, testualmente, quanto segue:
132.Le disposizioni di cui all'articolo 57, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e all'articolo 43, commi I e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come sostituiti dai commi 130 e 131 del presente articolo, si applicano agli avvisi relativi al periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi. Per i periodi d'imposta precedenti, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Tuttavia, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui al periodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d'imposta in cui è stata commessa la violazione; il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell'Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo. Resta fermo quanto disposto dall'ultimo periodo del comma 5 dell'articolo 5-quater del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni.

A riguardo, l'Agenzia osserva che a pag. 1, 2, 5 e 28 del pvc si farebbe riferimento all'intervenuta trasmissione della denuncia alla competente Procura della Repubblica per i reati fiscali riscontrati, il che avallerebbe la legittimità dell'operato della stessa in ordine alla fruizione del raddoppio dei termini.
In realtà, come controdedotto dalla ricorrente in sede di memorie illustrative, l'enunciato risulta contraddittorio in quanto a pag. 21 del pvc si farebbe riferimento all'intervenuta trasmissione, mentre a pag. 40 si sostiene che i fatti penalmente rilevanti "verranno trasmessi alla competente Autorità giudiziaria da parte di questo reparto". In presenza di una prospettazione dei fatti così contraddittoria, l'Agenzia, anche in udienza benchè onerata a riguardo, non ha fornito prova della tempestiva trasmissione della notizia di reato alla Procura, entro i termini ordinariamente previsti dall'art. 57, limitandosi a richiamare testualmente il contenuto del pvc, di cui si è detto.
Difettando tale prova il motivo di ricorso è da ritenere fondato.


Risulta altresì fondato il secondo motivo, atteso che la notifica dell'avviso di accertamento è avvenuta prima del termine di sessanta giorni stabilito dall'art. 12 comma 7 della legge n. 212/2000.
L'Agenzia motiva tale circostanza con la necessità di non far spirare i termini decadenziali per l'accertamento (che sarebbero scaduti il 31 dicembre del 2015).
Sul punto, tuttavia, la Cassazione, dai cui autorevoli approdi ermeneutici il Collegio ritiene di non discostarsi, con ordinanza n. 7598/2016, ha chiarito che "l'Amministrazione finanziaria ... ha I'onere di specificare e dimostrare" le "ragioni che hanno impedito il tempestivo ed ordinato svolgimento delle attività di controllo entro il sessantesimo giorno antecedente la chiusura delle operazioni, come, ad esempio, nuovi fatti emersi nel corso delle indagini fiscali o di procedimenti penali svolti nei confronti di terzi, eventi eccezionali che hanno inciso sull'assetto organizzativo o sulla regolare programmazione dell'attività degli uffici, condotte dolose o pretestuose o volutamente dilatorie del contribuente sottoposto a verifica" (Cass. 25759/2014).
Inoltre, non "può ritenersi che l'Agenzia non risponda del ritardo con il quale le è stato trasmesso il pvc di verifica da parte degli organi accertatori, atteso che è l'amministrazione finanziaria nel suo complesso che deve attivarsi tempestivamente per consentire il dispiegarsi del contraddittorio procedimentale".

Conseguentemente, il ricorso è da accogliere, restando assorbiti gli altri motivi.
Le spese di giudizio, liquidate in euro 300,00 seguono la soccombenza.

PQM

La Commissione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l'effetto, annulla l'atto impugnato.
Le spese di giudizio, liquidate in euro 300,00 seguono la soccombenza.
Così deciso in Catania, nella camera di consiglio del 21 aprile 2016.
Depositata in segreteria il 5 maggio 2016


 

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