REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi - Presidente -
Dott. NUZZO Laurenza - rel. Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere -
Dott. ORICCHIO Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 17298/2008 proposto da:
S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 739, presso lo studio dell'avvocato VANI DOMENICO, che la rappresenta e difende;
- ricorrente -
contro
Se. Gi.;
- intimati -
Nonchè da:
S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERTO CARONCINI 58, presso lo studio dell'avvocato MORABITO BARBARA, rappresentata e difesa dall'avvocato PIRARI FRANCESCO;
- c/ric. ricorrente incidentale -
contro
S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 739, presso lo studio dell'avvocato VANI DOMENICO, che la rappresenta e difende;
- controricorrente all'incidentale -
avverso la sentenza n. 303/2007 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI SEZ.DIST. DI di SASSARI, depositata il 17/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/03/2014 dal Consigliere Dott. LAURENZA NUZZO;
udito l'Avvocato VANI Domenico, difensore della ricorrente che si riportato alle difese depositate;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 9.4.1999 S.M., titolare di una ditta individuale, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Nuoro, Se. Gi. esponendo: di aver affidato al geometra D.G. e, dopo il decesso dello stesso, alla di lui moglie, Se. Gi., le prestazioni relative ai pagamenti dell'IRPEF e dell'INPS, la predisposizione delle buste paga del personale dipendente e la tenuta dei libri contabili, provvedendo al pagamento degli onorari professionali; di essere venuta a conoscenza che la Se. era priva di qualsiasi titolo che la legittimasse a riscuotere onorari. Ne chiedeva, pertanto, la condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite dal 1988 al 1998.
Costituitasi in giudizio la convenuta eccepiva la improponibilità dell'azione di indebito arricchimento, avendo concluso con la controparte un contratto e, nel merito, sosteneva di aver legittimamente svolto l'attività di "tributarista" regolarmente denunciata presso l'Ufficio IVA. Con sentenza 29.4.2005 il Tribunale accoglieva la domanda attrice, dichiarando la nullità del contratto intercorso fra le parti, per avere le Se. svolto prestazioni in materia di lavoro e previdenza sociale, in difetto della qualifica professionale richiesta dalla L. n. 12 del 1979, art. 1, e condannava la Se. a restituire all'attrice la somma di Euro 48.891,65, oltre interessi legali.

Avverso tale decisione la Se. proponeva appello cui resisteva la S.
Con sentenza depositata il 17.5.2007 la Corte d'Appello di Sassari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava l'appellante a restituire alla S. la minor somma di Euro 9.778,31, oltre interessi legali e compensava integralmente fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Osservava la Corte territoriale: la Se., in comparsa di costituzione, aveva affermato di aver legittimamente svolto, nella qualità di "tributarista", l'attività professionale in questione e tale affermazione, pur non costituendo una vera confessione giudiziale, "rendeva il fatto pacifico, con ciò esonerando l'attrice dalla relativa prova"; non vi era dubbio, inoltre, che l'appellante avesse provveduto "in totale autonomia alla redazione dei prospetti di lavoro ed al calcolo dei contributi e dell'ammontare delle buste- paga, senza svolgere tale incarico nei locali della S., ma, invece, nel proprio studio e senza procedere a tali operazioni sotto il diretto controllo della medesima"; non era, però, condivisibile il criterio con cui il primo giudice aveva determinato la somma da restituirsi, detraendo dal totale delle somme versate all'appellante, quelle afferenti ai versamenti ed alle spese ed attribuendo tutta la differenza alla S.; doveva, invece, distinguersi l'attività rientrante nella competenza di un professionista abilitato da quella costituente "normale attività lavorativa generica"( quale quella di gestione, controllo e disbrigo pratiche ) sicchè la somma da restituirsi poteva quantificarsi nel 20% di quella riconosciuta dal Tribunale, pari ad Euro 9.778,31 oltre interessi, non potendosi esattamente determinare l'attività di controllo della contabilità svolta in favore della S. da quella di minor entità, richiedente uno specifico titolo professionale, limitata alla predisposizione delle buste paga e della speciale modulistica previdenziale. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso S.M. formulando quattro motivi.
Resiste con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi Se. Gi.
La ricorrente, a sua volta, ha svolto controricorso al ricorso incidentale.

Motivazione

La ricorrente principale deduce:
1) nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2231, 2233 e 2697 c.c., nonchè della L. n. 12 del 1979, art. 1; insufficiente e contraddittoria motivazione; la Corte d'Appello aveva ritenuto che gran parte dell'opera svolta dalla Se. fosse estranea alle specifiche attività previste dalla L. n. 12 del 1979, art. 1, pur non avendo la stessa fornito la prova a suo carico sulla misura dell'attività "non protetta", non richiedente un titolo abilitativo da lei svolta nell'ambito del mandato conferitole dalla S.
Al riguardo viene formulato il quesito, ex art. 366 bis c.p.c.: "se la Corte d'Appello, dopo aver dichiarato la nullità del rapporto professionale per difetto dell'appellante nell'iscrizione ad apposito albo o elenco previsto dalla legge come necessario (L. 11 gennaio 1979, n. 12, art. 1, artt. 2231 e 2233 c.c.) e riconosciuto il diritto al pagamento dei compensi professionali per l'attività non protetta pur in assenza di prova, ha erroneamente o falsamente applicato l'art. 2697 c.c., sia in ordine alla effettiva sussistenza delle prestazioni, sia in ordine alla loro qualità e quantità";

2) nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 114 e 118 c.p.c., e art. 112 disp. att. c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. comma 2, art. 119 disp. att. c.p.c., comma 4, avendo la Corte di merito pronunciato secondo equità senza che le parti ne avessero fatto concorde richiesta, omettendo di esporre le specifiche ragioni della decisione secondo equità e l'indicazione nel dispositivo della pronuncia della sentenza in tal modo;

3)vizio di motivazione e violazione degli artt. 113, 114, 115 e 116 c.p.c., nonchè degli artt. 2231 e 2697 c.c., avendo il giudice di appello fatto ricorso alla liquidazione equitativa, omettendo di applicare le norme in tema di onere probatorio, di motivare sulle prove acquisite ed in ordine alla difficoltà di provare l'esistenza del rapporto professionale "non protetto" e l'entità delle somme dovute alla S.;

4) nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 166 e 167 c.p.c., per avere il giudice di Appello accolto la domanda della Se. senza che la stessa avesse avanzato domanda riconvenzionale nei modi e termini di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c.

Con il ricorso incidentale la Se. lamenta:
a) nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., e art. 116 c.p.c., nonchè della L. 11 gennaio 1979, n. 12, art. 1; insufficiente e contraddittoria motivazione; viene, quindi, sottoposto a questa Corte il quesito: "se la Corte d'Appello, dopo aver dichiarato che l'ammissione fatta dalla signora Se.Gi. in comparsa, in mancanza da parte di lei di ogni obiezione in merito allo svolgimento della attività, di averla legittimamente svolta nella qualità di "tributarista", ha reso tale fatto come pacifico con esonero dell'attrice dalla relativa prova, ha erroneamente o falsamente applicato l'art. 116 c.p.c., e art. 2696 c.c.". - per aver ritenuto il contenuto di una comparsa ammissione sullo svolgimento di attività per le quali occorreva l'abilitazione equiparando tale ammissione ad una confessione giudiziale, esonerando la S. dall'onere di provare l'effettivo svolgimento, da parte della Se., di attività rientranti nel disposto di cui alla L. n. 12 del 1979, art. 1;

b) la Corte di merito era incorsa nel vizio di motivazione laddove aveva asserito che " nel caso di specie è stata prestata attività di consulenza del lavoro ed I.V.A., per cui non è indispensabile l'iscrizione all'albo professionale dei ragionieri", omettendo di precisare le prestazioni effettivamente prestate e le loro caratteristiche.

Il ricorso principale è infondato.
Il primo motivo, oltre ad essere carente di un'esposizione adeguata del momento di sintesi con riferimento al vizio di motivazione, come previsto dall'art. 360 bis c.p.c. (applicabile nella specie ratione temporis), attiene ad una censura in fatto riguardante la individuazione dell'attività "non protetta"; in ogni caso incombeva all'attrice S., che aveva agito ai sensi dell'art. 2033 c.c., l'onere della prova sul punto, posto che la dedotta "confessione" non riguardava specificamente lo svolgimento di attività "protetta", ma genericamente la prestazione lavorativa continuativa desunta dalla comparsa di risposta.

Prive di fondamento sono pure la seconda e la terza doglianza, da esaminarsi congiuntamente in quanto evidentemente connesse. Va rilevato al riguardo che, in difetto della prova concernente la esatta individuazione dell'attività "protetta", richiedente, cioè, l'iscrizione in apposito albo professionale, il giudice di appello è ricorso, come si desume dalla motivazione, ad un calcolo approssimativo e probabilistico, non potendosi presumere che tutto il lavoro svolto dalla Se. fosse contra legem. La sentenza impugnata ha, infatti, affermato che, stante la prevalenza dello svolgimento di attività non protetta espletata dalla Se. ed avendo la stessa percepito i compensi forfettariamente, appariva equo limitare le somme da restituire ai venti per cento di quelle riconosciute dal Tribunale, dovendosi discriminare "rispetto all'attività svolta, quali atti afferissero alla competenza di un professionista abilitato e quali, invece, alla normale attività generica" (pag. 4 sent. imp.).
Tale liquidazione equitativa, rimessa al potere discrezionale del giudice di merito, non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, avendo detta motivazione della decisione dato adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione stessa; nè è ravvisabile un vizio di extrapetizione per il ricorso al criterio equitativo, rientrando nel potere ufficioso del giudice l'esercizio di detto potere discrezionale, espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c., (V. Cass. n. 21103/2013; n. 4047/2013).
Tale potere concernente la determinazione del "quantum"dovuto si distingue, infatti, da quello di emettere la decisione secondo equità ex art. 114 c.p.c., ipotesi richiedente la concorde richiesta delle parti (Cass. n. 2148/2000; n. 21103/2013).

In ordine al quarto motivo si osserva che la Se., a fronte della domanda attrice ex art. 2033 c.c., in comparsa di risposta ha opposto non già una domanda riconvenzionale, ma un'eccezione in senso lato (non di compensazione) sul quantum della pretesa attrice, che ha comportato l'accoglimento parziale dell'appello con cui si assumeva la non fondatezza della domanda di ripetizione d'indebito in relazione alla statuizione di primo grado che aveva condannato la Se. a restituire alla S. tutti i compensi ricevuti in considerazione della ritenuta nullità del contratto intercorso fra le parti.

Privo di fondamento è anche il ricorso incidentale.
In ordine alla censura sub a) vale quanto già rilevato sul primo, secondo e terzo motivo del ricorso principale.
La doglianza sub b) attiene ad una questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, avendo la Corte di merito dato conto, con adeguata e corretta motivazione, della proporzione tra l'attività libera e quella protetta posta in essere dalla Se., nell'impossibilità di pervenire ad un calcolo esatto delle stesse.
In conclusione, deve rigettarsi sia il ricorso principale che quello incidentale.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate, avuto riguardo alla reciproca soccombenza delle parti.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi;
dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2014


 

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