REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Presidente -
Dott. MOGINI Stefano - Consigliere -
Dott. RICCIARELLI M. - rel. Consigliere -
Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere -
Dott. PATERNO' RADDUSA Benedetto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.M.;
avverso la sentenza n. 2116/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 13/01/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/11/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSIMO RICCIARELLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CANEVELLI Paolo che ha concluso per l'annullamento con rinvio.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 13-1-2014 la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza di condanna di M.M. alla pena di anni due e mesi due di reclusione pronunciata con rito abbreviato dal GIP del Tribunale di Lucca per il reato di cui all'art. 337 c.p. e art. 339 c.p., comma 3.
2. Ha presentato ricorso il difensore del M., articolando un unico motivo: violazione degli artt. 178 c.p.p. e ss., artt. 420 c.p.p. e ss., art. 97 cod. proc. pen., in relazione all'art. 11 Cost. e art. 6 C.E.D.U. con erronea applicazione della legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).
Il difensore dell'imputato dinanzi alla Corte territoriale aveva fatto pervenire comunicazione di adesione ad astensione dalle udienze proclamata dall'Unione Italiana delle Camere Penali, ma la Corte aveva proceduto oltre, nel presupposto che, trattandosi di udienza camerale, non era obbligatoria la presenza del difensore.
Richiamando giurisprudenza della sesta sezione penale della Corte di cassazione, alla cui stregua l'astensione si sarebbe dovuta considerare espressione di un diritto di libertà, che non può essere conculcato con la compressione del ruolo professionale nel singolo procedimento, il ricorrente deduceva che non si sarebbe potuta fare differenza tra procedimenti a partecipazione necessaria e procedimenti a partecipazione facoltativa, conseguendo comunque dal mancato rinvio la eccepita nullità.

Motivazione

1. Il ricorso è fondato.

1.1. Il difensore dell'imputato aveva fatto pervenire tempestiva dichiarazione di adesione all'astensione dalle udienze, legittimamente proclamata dall'organismo di categoria.
Benchè si trattasse di procedimento disciplinato dall'art. 599 cod. proc. pen., che richiama le forme stabilite dall'art. 127 cod. proc. pen., e benchè dunque non fosse prevista la partecipazione obbligatoria del difensore, quest'ultimo, nell'esercizio di un diritto di libertà, costituzionalmente garantito, aveva diritto al rinvio dell'udienza.

1.2. Deve sul punto richiamarsi il principio affermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione secondo cui a seguito della dichiarazione di adesione del difensore all'astensione dalla partecipazione alle udienze proclamata dagli organismi rappresentativi della categoria, la mancata concessione da parte del giudice del rinvio della trattazione dell'udienza camerale in presenza di dichiarazione effettuata o comunicata nei modi e con le forme di cui all'art. 3 del codice di autoregolamentazione determina una nullità per la mancata assistenza dell'imputato ai sensi dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), che ha natura assoluta, ove si tratti di udienza camerale a partecipazione necessaria del difensore, ovvero natura intermedia negli altri casi (Cass. Sez. U. n. 15232 del 30/10/2014, dep. nel 2015, Tibò, rv. 263021).

E' stato portato in tal modo a compimento un percorso già avviato dalla Corte di cassazione, che attraverso due sentenze delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. n. 26711 del 30/5/2013, Ucciero, rv. 255346, e Cass. Sez. U. n. 40187 del 27/3/2014, Lattanzio, rv. 259926 e 259927) aveva rilevato come dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 171 del 1996, che aveva riconosciuto all'astensione degli avvocati natura di diritto di libertà costituzionalmente garantito, fosse intervenuta la L. 11 aprile 2000, n. 83, che, modificando la L. 12 giugno 1990, n. 146, aveva introdotto l'art. 2 bis, alla cui stregua era stato affidato al codice di autoregolamentazione, sottoposto al controllo della Commissione di garanzia, il compito di operare un equilibrato bilanciamento degli interessi in gioco.

In tal modo secondo le Sezioni Unite della Corte di cassazione il codice di autoregolamentazione aveva assunto natura di normativa secondaria, idonea a disciplinare la materia dell'astensione collettiva degli avvocati dalle udienze, secondo i criteri di competenza o di specialità, senza che potesse ravvisarsi una reale antinomia rispetto alle norme del codice di procedura penale, secondo un criterio gerarchico.

La più recente sentenza n. 15232, Tibò, ha risolto la questione concernente la rilevanza dell'adesione ad astensione di categoria anche nel caso di procedimenti nei quali non sia necessaria la presenza del difensore: le Sezioni unite hanno osservato che l'astensione costituisce espressione di un diritto di libertà e non è riconducibile all'alveo del legittimo impedimento, cosicchè nulla rileva che la disciplina processuale con riferimento a taluni tipi di procedimento non attribuisca rilevanza all'impedimento del difensore.
Si è in particolare affermato che il legittimo impedimento è funzionale al diritto di difesa dell'imputato, il cui esercizio può essere diversamente modulato in relazione al tipo di procedimento, mentre l'adesione all'astensione di categoria è funzionale all'esercizio di un diritto costituzionale del difensore, impregiudicati semmai eventuali profili di illegittimità costituzionale in ordine all'irrilevanza in taluni tipi di procedimenti dell'impedimento a comparire del difensore.

Si è aggiunto che l'art. 3 del codice di autoregolamentazione non opera distinzione, ai fini dell'esercizio del diritto all'astensione, tra i procedimenti per i quali sia prevista la partecipazione, pur non necessaria, da parte del difensore.
Di qui la conclusione che l'adesione all'astensione, pur non integrando impedimento, impone il rinvio della trattazione dell'udienza.

2. Poichè nel caso di specie era pervenuta alla Corte di Appello di Firenze la dichiarazione di adesione del difensore all'astensione dalle udienze, dichiarazione che risulta inserita nel verbale di udienza, e poichè nondimeno la trattazione dell'udienza non era stata rinviata, si configura alla luce dei condivisi principi affermati dalle Sezioni Unite, la nullità di tipo intermedio del giudizio di appello eccepita con il motivo di ricorso.
3. Va solo osservato che il difensore aveva trasmesso una dichiarazione di adesione, non corredata da specifica istanza di rinvio.
Peraltro tale dichiarazione sarebbe dovuta intendersi come rivelatrice della volontà di esercitare il relativo diritto costituzionalmente garantito, il quale, come rilevato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza Tibò, "costituisce di per sè la ragione che giustifica il rinvio" (cfr. pag. 19): ben si spiega che il principio di diritto affermato da detta sentenza (pag. 22) sia incentrato sull'obbligo del rinvio "in presenza di una dichiarazione di astensione del difensore, legittimamente proclamata dagli organismi di categoria ed effettuata nelle forme e nei termini di cui all'art. 3, comma 1, del vigente codice di autoregolamentazione", norma che in effetti non richiede altro che la manifestazione della volontà di adesione.
Tale manifestazione riassume invero il contenuto del diritto che si è inteso esercitare, sottendendo la volontà di astensione e di non partecipazione alla trattazione dell'udienza.
Contrariamente a quanto ritenuto in una recente pronuncia della Corte di cassazione (Cass. Sez. 2, n. 18681 del 15/1/2015, Recupero, rv. 2637711), non sembra che sia necessaria in aggiunta anche l'univoca manifestazione della volontà di presenziare, giacchè il diritto si risolve proprio nella mancata partecipazione, anche nel caso in cui si tratti di procedimento a partecipazione non necessaria, mentre la manifestazione della volontà di adesione all'astensione esprime di per sè un atteggiamento di attenzione verso il procedimento in corso, senza che sia concretamente configurabile (secondo quanto invece prefigurato nella richiamata pronuncia) il pericolo di uno spostamento della "dichiarazione di astensione sul crinale della testimonianza associativa di categoria con potenziale collegamento verso il tema dell'abuso del processo, derivante dalla configurazione, in via ipotetica e astratta, anche di un possibile uso strumentale della dichiarazione di adesione individuale all'astensione collettiva, finalizzata non ad esercitare entrambi i diritti in oggettivo conflitto".

In realtà il principio affermato dalle Sezioni Unite muove dall'assunto che l'adesione sia legittima in quanto rispettosa dei limiti e delle modalità individuate dal codice di autoregolamentazione, cui spetta di assicurare il bilanciamento degli interessi potenzialmente confliggenti, cosicchè il rispetto di quei limiti e di quelle modalità, a prescindere dal tipo di procedimento, deve ritenersi di per sè sufficiente, senza che possa spostarsi l'analisi sul versante dell'abuso del processo e che possano ravvisarsi pericoli di non esatto bilanciamento degli interessi.
4. In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio a diversa sezione della Corte di appello di Firenze.

PQM

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2015


 

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