REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STILE Paolo - Presidente -
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere -
Dott. MANNA Antonio - rel. Consigliere -
Dott. DORONZO Adriana - Consigliere -
Dott. TRICOMI Irene - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 16728/2010 proposto da:
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FULCIERI PAOLUCCI DE CALBOLI 5, presso lo studio dell'avvocato BUZZELLI DARIO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell'avvocato PAOLO BOER, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 5107/2009 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 14/12/2009 r.g.n. 10545/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/10/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;
udito l'Avvocato COLAIACOMO GIUSEPPE per delega BUZZELLI DARIO;
udito l'Avvocato DE ANGELI CARLO per delega BOER PAOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 14.12.09 la Corte d'appello di Roma rigettava il gravame dell'INPS contro la sentenza del 19.2.05 con cui il Tribunale capitolino aveva accolto la domanda dell'avv. P. M., che aveva fatto parte dell'avvocatura dell'INPS fino al 1.6.99 (data di cessazione dal servizio), intesa ad ottenere la rideterminazione della retribuzione utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza a carico del Fondo costituito presso l'INPS mediante inserimento, nelle relative basi di calcolo, della quota degli onorari maturati negli ultimi dodici mesi di servizio anzichè nell'ultimo triennio, come invece praticatole dall'istituto previdenziale, che oggi ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a tre motivi.

L'intimata resiste con controricorso.

Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivazione

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2121 c.c., comma 2, del Regolamento di previdenza e di quiescenza del personale INPS e del D.P.R. n. 411 del 1976, art. 30, comma 2, per avere la sentenza impugnata ritenuto che l'unico criterio che si dovrebbe desumere dal Regolamento, ai fini della valorizzazione della quota onorari nei trattamenti di fine servizio, sarebbe quello di assumere a base di calcolo l'ultimo anno di servizio; in proposito - obietta l'istituto ricorrente - l'opzione interpretativa accolta nella delibera 30 aprile 1982 è seguita alla sentenza del Consiglio di Stato n. 120/1980 e plurime successive sentenze del medesimo giudice amministrativo l'hanno ritenuta non in contrasto con gli artt. 24 e 34 del Regolamento; pertanto - prosegue il ricorrente - la Corte territoriale ha di fatto disapplicato tale delibera destinata ad incidere sull'art. 5 del Regolamento, ritenendo violato il criterio di sussidiarietà, ma non menzionando affatto alcun specifico riferimento alla normativa speciale che dovrebbe assumersi quale parametro per la valutazione della fattispecie e a preferenza di quella dettata dal codice civile, mentre la ricordata delibera 30 aprile 1982 si conforma al principio generale di cui all'art. 2121 c.c.; osserva, inoltre, l'istituto ricorrente la non conferenza dei richiami effettuati alla giurisprudenza di questa Corte in tema di lavoro straordinario, assumendo che la natura propria della quota onorari è quella di provvigione o, in senso lato, di partecipazione agli utili che derivano dalla riscossione delle eventuali e imprevedibili spese di lite liquidate nei vari giudizi, o comunque ad esse assimilabile, non trattandosi di una voce fissa e continuativa dello stipendio degli avvocati dell'INPS, ma di un elemento incerto nell'an e nel quantum.

Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1322 e 2123 c.c., perchè, a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, il Regolamento ha perduto la propria originaria natura di atto amministrativo per assumere, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 3, la qualità di atto negoziale di natura privatistica quale contratto normativo da collocare nell'ambito degli atti di previdenza volontaria ed operando, quindi, con l'efficacia propria del contratto, al pari di ogni altro atto di gestione del rapporto di lavoro; per l'effetto - prosegue il ricorso - il criterio di computo triennale a suo tempo adottato dall'istituto deve considerarsi non solo come applicazione del criterio normativamente previsto dall'art. 2121 c.c., ma anche come atto di autonomia privata, essendo stato recepito nel contratto individuale di lavoro dei dipendenti; in sostanza, la delibera INPS n. 99 del 30.4.1982, e quindi il criterio di calcolo ivi previsto, deve ritenersi recepita per relationem nei singoli contratti di lavoro ed ha assunto valore negoziale.

Con il terzo motivo l'istituto ricorrente denuncia vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale individuato la normativa di settore, da applicare alla fattispecie in luogo di quella codicistica, che renderebbe operativo il disposto dell'art. 2129 c.c.; quanto al richiamo alla giurisprudenza di legittimità in materia di valorizzazione del lavoro straordinario ai fini del trattamento di fine rapporto, esso non è conferente per le stesse ragioni già esposte nella parte finale del primo motivo di ricorso.

2 - Il primo motivo di ricorso è fondato nei sensi qui di seguito chiariti, dovendosi dare continuità alla giurisprudenza di questa S.C. già pronunciatasi a riguardo (cfr. Cass. n. 7392/15; Cass. n. 7283/15; Cass. n. 7012/15; Cass. n. 6875/15; Cass. n. 3775/12).

L'esame delle disposizioni della L. n. 70 del 1975 evidenzia chiaramente che il legislatore, rispettivamente con gli artt. 13 e 14, ha valutato in maniera differente le discipline dei regolamenti dei singoli enti in materia, da un lato, di trattamento di quiescenza o fine rapporto e, dall'altro, di trattamenti integrativi di previdenza.
L'art. 14, ha infatti previsto, al comma 2, la conservazione dei fondi integrativi di previdenza in favore dei soli dipendenti già in servizio o già cessati dal servizio (così infatti recita il suddetto art. 14 nel complesso dei suoi due commi: "Finchè non sarà provveduto con apposito provvedimento di legge al riordinamento con criteri unitari del trattamento pensionistico del personale degli enti contemplati nella presente legge, il trattamento stesso è disciplinato dalla legge sull'assicurazione obbligatoria o dalle speciali disposizioni di legge che prevedono trattamenti pensionistici sostitutivi o che comportano l'esclusione o l'esonero, dall'assicurazione stessa. I fondi integrativi di previdenza previsti dai regolamenti di taluni enti sono conservati limitatamente al personale in servizio o già cessato dal servizio alla data di entrata in vigore della presente legge").

L'art. 13 ha invece previsto l'indennità di anzianità nella misura specificata nel comma 1 ("All'atto della cessazione dal servizio spetta al personale una indennità di anzianità, a totale carico dell'ente, pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in godimento, qualunque sia il numero di mensilità in cui esso è ripartito, quanti sono gli anni di servizio prestato").

Con sentenza n. 7158/2010 (conf. Cass. n. 4749/2011), resa a composizione del contrasto insorto nella giurisprudenza della Sezione Lavoro, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio: "In tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 13, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 cod. civ.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un'indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all'autonomia regolamentare dei singoli enti solo l'eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio; il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicchè deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari...e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti, come quello dell'Inail, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo".

Tale principio, applicabile per identità dei presupposti, anche al Regolamento dell'INPS, impone di riconoscere l'insussistenza - siccome abrogata in parte qua - della normativa regolamentare (in particolare l'art. 5 del Regolamento, nel testo conseguente alla sentenza del Consiglio di Stato n. 120/80), sulla base della quale, in combinato disposto con l'art. 34 del medesimo Regolamento, l'odierna controricorrente ha fondato la domanda di riliquidazione dell'indennità di buonuscita.

Per ciò che invece attiene alla pensione integrativa, pure disciplinata dal medesimo Regolamento, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 7154/2010, hanno enunciato i seguenti principi: "In tema di base di calcolo della pensione integrativa dei dipendenti dell'Inps, ai sensi dell'art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dell'ente, adottato con delibera del 12 giugno 1970 e successivamente modificato con deliberazione del 30 aprile 1982, ai fini della computabilità nella pensione integrativa già erogata dal fondo istituito dall'ente (e ancora transitoriamente prevista a favore dei soggetti già iscritti al fondo, nei limiti dettati dalla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64) è sufficiente che le voci retributive siano fisse e continuative, dovendosi escludere la necessità di una apposita deliberazione che ne disponga l'espressa inclusione; non osta che l'elemento retributivo sia attribuito in relazione allo svolgimento di determinate funzioni o mansioni, anche se queste, e la relativa indennità, possano in futuro venire meno, mentre non può ritenersi fisso e continuativo un compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni risultati e quindi sia intrinsecamente incerto".

Da quanto precede discende quindi la non praticabilità d'una riliquidazione dell'indennità di fine rapporto.
Lo stesso dicasi per la riliquidazione della pensione integrativa.
La quota onorari è stata riconosciuta ai funzionari INPS del ruolo professionale, effettivamente svolgenti attività legale, con l'art. 30 dell'accordo collettivo approvato con D.P.R. 26 maggio 1976, n. 411, giusta la previsione normativa di cui alla L. n. 70 del 1975, art. 26, comma 4 - Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente ("Gli accordi sindacali prevederanno la misura percentuale della partecipazione degli appartenenti al ruolo professionale, per l'attività da essi svolta, alle competenze e agli onorari giudizialmente liquidati a favore dell'ente").

L'art. 5 del Regolamento (deliberazioni del 12.6.1970 e del 18.3.1971), prevedeva che "Agli effetti del presente Regolamento si intende per retribuzione la somma delle seguenti competenze: lo stipendio lordo calcolato per 15 mensilità annue; eventuali assegni ed altre competenze di carattere fisso e continuativo, con esclusione delle quote di aggiunta di famiglia, che siano riconosciuti utili ai fini del trattamento di previdenza e di quiescenza con delibera del Consiglio di amministrazione approvata dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale di concerto con quello del Tesoro".

Con sentenza n. 120/1980 del 29.1.1980 il Consiglio di Stato aveva però annullato tale disposizione "nella parte in cui subordina a delibera del c.d.a. la selezione degli elementi utili agli effetti dei trattamenti di fine rapporto (i.b.u. e pensione)", dichiarando che:
1) "L'art. 5 del regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale dell'Inps, nella parte in cui subordina a deliberazione del consiglio di amministrazione dell'ente l'utilità degli assegni e delle altre competenze ivi indicati ai fini del trattamento anzidetto, confligge irrimediabilmente con la sostanzialità dell'indagine circa il carattere che tali competenze devono avere, ai sensi dell'art. 2121 c.c., e dei principi generali della materia, i quali prevedono che l'utilità di un certo assegno o competenza ai fini del trattamento di previdenza e quiescenza derivi ex se dalle intrinseche ed obbiettive caratteristiche dell'emolumento in relazione alla normazione legislativa primaria, senza essere subordinata alla emanazione di un provvedimento dell'ente pubblico interessato";

2) "La quota di onorari spettanti agli avvocati e procuratori che prestano servizio alle dipendenze di enti pubblici ha carattere di elemento integrativo dello stipendio".


Pertanto, in base all'art. 5 del Regolamento, a seguito della decisione del Consiglio di Stato n. 120/80, per retribuzione si intende la somma dello "stipendio lordo calcolato per 15 mensilità annue" e di "eventuali assegni personali ed altre competenze di carattere fisso e continuativo, con esclusione delle quote di aggiunta di famiglia"; connessi a tale previsione risultano gli artt. 27 (in tema di pensione integrativa) e 34 (in tema di indennità di buonuscita, denominata trattamento di quiescenza), che fanno rispettivamente riferimento all'ultima retribuzione spettante e all'ultima retribuzione annua spettante.

Successive pronunce del Consiglio di Stato confermarono che, secondo i principi desumibili dall'art. 2121 c.c., la quota di onorari spettanti agli avvocati e procuratori che prestano servizio alle dipendenze di enti pubblici aveva carattere di elemento integrativo dello stipendio e che andava pertanto computata nella determinazione dei trattamenti di quiescenza (indennità di buonuscita) e di previdenza (pensione del fondo speciale) dei dipendenti INPS, in applicazione del ricordato art. 5 del Regolamento, "che include nel concetto di retribuzione tutti gli assegni che, a prescindere dalla loro variabilità, costituiscono la retribuzione normale della prestazione lavorativa" (cfr., exaliis, C.d.S. nn. 531/81; 78/82).

Con la ricordata sentenza n. 120/1980 il Consiglio di Stato aveva altresì indicato il metodo da seguire per il calcolo delle quote degli onorari da prendere in considerazione, facendo riferimento al criterio di cui all'art. 2121 c.c. (nel testo allora vigente) e, quindi, alla media di tali emolumenti degli ultimi tre anni.
Con delib. 30 aprile 1982, n. 99, avente ad oggetto la "Computabilità degli onorari legali agli effetti del trattamento di previdenza e quiescenza", il Consiglio di Amministrazione dell'INPS, richiamate le ricordate sentenze amministrative, deliberò, per quanto qui specificamente rileva, che:
1) "... la quota di onorari corrisposta ai funzionati del ruolo professionale - ramo legale è compresa nella retribuzione di cui all'art. 5 del vigente Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza, nel testo risultante a seguito dell'annullamento parziale disposto con la richiamata decisione n. 120 del 29 gennaio 1980";
2) "Ai fini dell'attuazione di quanto stabilito al precedente punto 1, per la determinazione dei trattamenti previsti dal Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza e dei valori di riscatto, la quota di onorari legali è computata sulla base dell'importo mensile ottenuto rapportando a mese la media degli importi erogati nel triennio precedente la cessazione del servizio o la data di domanda di riscatto".

Nè può essere condiviso il richiamo della L. n. 70 del 1975, (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), nella parte in cui, sotto la rubrica "Trattamenti integrativi e sostitutivi di previdenza", prevede, al comma 2, che i fondi integrativi di previdenza previsti dai regolamenti di taluni enti sono conservati limitatamente al personale in servizio o già cessato dal servizio alla data di entrata in vigore della legge, per inferirne che tale disposizione avrebbe prodotto un temporaneo congelamento delle norme del fondo e la conseguente insussistenza del potere dei Consiglio di Amministrazione di adottare deliberazioni modificatrici.

La previsione della conservazione dei fondi integrativi sta ad indicare che detti fondi non avrebbero potuto esser soppressi o, comunque, essere modificati in termini radicali, tali da stravolgerne il contenuto, ma non può essere letta, in difetto di una specifica disposizione in tal senso, come impeditiva di qualsivoglia intervento, modificativo o integrativo, inerente ad aspetti applicativi delle norme regolamentari già esistenti.

Per completezza deve inoltre osservarsi che:
- La L. n. 88 del 1989, art. 5, comma 1, (Ristrutturazione dell'istituto nazionale della previdenza sociale e dell'istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), sotto la rubrica "Competenze del Consiglio di Amministrazione", prevede che "Spetta a Consiglio di Amministrazione:... g) deliberare i regolamenti di cui al D.L. 30 dicembre 1987, n. 536, art. 10, convcrtito in legge, con modificazioni, dalla L. 29 febbraio 1988, n. 48, e, con i criteri di cui all'art. 1, comma 2, gli altri regolamenti dell'istituto compresi il regolamento organico e di fine servizio del personale e quello di amministrazione e contabilità, anche in deroga alle disposizioni della L. 20 marzo 1975, n. 70";

- la deliberazione dei Consiglio di Amministrazione dell'Inps n. 99/1982 ha continuato ad essere applicata anche dopo l'emanazione della legge suddetta, con conseguente univoca conferma, da parte dell'istituto, delle disposizioni contenute nella predetta deliberazione.

E' pur vero che la deliberazione n. 99/1982 non era stata mai approvata dai Ministeri vigilanti (come accertato in fatto dalla sentenza impugnata), benchè l'art. 51 del Regolamento avesse espressamente previsto che la propria entrata in vigore avvenisse il giorno successivo alla data del decreto interministeriale di approvazione.
La suddetta delibera previde il proprio invio ai Ministeri vigilanti ai sensi del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 53, a termini del quale l'istituto è sottoposto alla vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, che esercita le relative funzioni di concerto con il Ministero del tesoro, secondo le vigenti disposizioni legislative e nel rispetto dell'autonomia dell'istituto. L'istituto ha l'obbligo di trasmettere ai Ministeri del lavoro e della previdenza sociale e del tesoro, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, i regolamenti e i criteri direttivi generali deliberati dal consiglio di amministrazione, che per legge, non siano soggetti ad approvazione ministeriale.
Deve tuttavia rilevarsi che il predetto D.P.R. n. 639 del 1970, art. 53, è stato sostituito dalla L. n. 88 del 1989, art. 8, comma 1, e, nel nuovo testo, prevede, al comma 2, che "i regolamenti e le delibere contenenti criteri direttivi generali adottati dal consiglio di amministrazione, nonchè gli atti non espressamente soggetti per legge ad approvazione ministeriale sono immediatamente esecutivi e vengono trasmessi, ai sensi del comma primo, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale e al Ministro del tesoro", mentre il successivo comma 3, prevede espressamente l'approvazione per le delibere relative alla dotazione organica del personale o quella dei dirigenti; ne discende che per i regolamenti in genere (e, quindi, anche per il regolamento relativo al fondo di previdenza integrativa) e, conseguentemente, per le deliberazioni modificative dei medesimi, è venuta meno, ai fini della loro esecutività, la necessità dell'approvazione ministeriale.

L'esistenza giuridica delle delibere modificative o integrative del Regolamento coincide con la loro emanazione, giacchè l'approvazione dell'autorità vigilante non attiene alla formazione degli atti, ma costituisce un requisito di esecutorietà, che opera ex tunc, rendendo cioè l'atto produttivo di effetti sin dalla data della sua emanazione.
Ne consegue che, una volta venuta meno la necessità della loro approvazione - eliminato cioè l'elemento che ne condizionava l'efficacia -, non vi è più nulla che impedisca il pieno dispiegarsi di tutti i loro effetti fin dal momento dell'emanazione; nel caso che ne occupa, peraltro, con rilievo assorbente di ogni considerazione in ordine alla decorrenza dell'efficacia della delib. n. 99 del 1982, sta il dato di fatto che il collocamento a riposo della controricorrente è avvenuto il 1.6.99, più tardi, quindi, dell'entrata in vigore della legge che ha sancito il venir meno della necessità dell'approvazione da parte delle autorità vigilanti.
Ne discende l'irrilevanza, ai fini del decidere, della mancata approvazione ministeriale di tale delibera.

In conclusione, legittimamente l'INPS ha tenuto conto di quanto previsto dalla suddetta delibera, stante la sua portata integrativa delle disposizioni regolamentari, che ne restano modificate in conformità, rimanendo perciò irrilevante la pertinenza o meno all'emolumento in parola della disciplina codicistica di cui all'art. 2121 c.c., nel testo allora vigente.

Sempre per completezza di motivazione deve peraltro rilevarsi che un'ipotetica invalidità (od inefficacia) della delib. n. 99 del 1982 non avrebbe giovato - ove pure fosse stata ritenuta fondata - all'accoglibilità delle pretese per cui è causa, posto che è proprio grazie all'avvenuta emanazione di tale delibera, per quanto modificativa del Regolamento, che l'INPS ha potuto tener conto, ai fini della liquidazione della pensione integrativa, della quota onorari. Infatti tale emolumento ha sicuramente natura retributiva (essendo la sua corresponsione sinallagmatica alla prestazione di una specifica mansione lavorativa) e può anche essere ritenuto di carattere continuativo (essendo notorio che, in concreto, l'INPS, a fronte del vastissimo contenzioso di cui è parte, di fatto beneficia ogni anno di importi a titolo di rifusione di competenze ed onorari, costituenti la base di calcolo dell'emolumento stesso); non può invece essere anche ritenuto un emolumento fisso (come pure è richiesto ai fini de quibus), predeterminato cioè nel suo ammontare rispetto al tipo e alla quantità delle prestazione rese ovvero al numero delle frazioni temporali di messa a disposizione delle energie lavorative (sicchè, a quest'ultimo riguardo, deve ritenersi non conferente il richiamo alla disciplina del lavoro straordinario, per il quale il compenso è invece fisso in relazione alla singola unità di tempo di lavoro prestato oltre l'orario normale e ciò che varia è soltanto il numero di tali frazione temporali), posto che ciò che è variabile, senza effettiva possibilità di predeterminazione, è proprio l'ammontare annuo dei cespiti costituenti la base di calcolo delle quote spettanti e, quindi, l'importo stesso di queste ultime.

Da ciò consegue che, sulla base del solo disposto dell'art. 5 del Regolamento, ove cioè non integrato da quanto previsto dalla ridetta Delib. n. 99 del 1982, non facendo parte le quote onorari dello "stipendio lordo calcolato per 15 mensilità annue", nè potendo essere considerate, per le ragioni indicate, quali "eventuali assegni personali ed altre competenze di carattere fisso e continuativo", e potendo bensì attribuirsi alle pronunce giudiziarie amministrative intervenute al riguardo valenza caducatoria con efficacia erga omnes delle disposizioni ritenute illegittime, ma non, con la stessa efficacia, portata integrativa e modificativa delle clausole regolamentari in ordine alla tipologia degli emolumenti da prendere in considerazione ai fini de quibus, non avrebbe dovuto tenersi conto della quota onorari per il calcolo della pensione integrativa e, a fortiori, per la riliquidazione di quella già conseguita.

3- L'accoglimento del primo motivo di ricorso nei sensi di cui sopra assorbe l'esame delle restanti censure, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti fattuali, la controversia può essere decisa nel merito, con il rigetto delle domande svolte.
La mancanza di precedenti specifici di legittimità all'epoca della proposizione del controricorso in oggetto e la complessità delle questioni dibattute consigliano la compensazione delle spese dell'intero processo.

PQM

La Corte accoglie nei sensi di cui in motivazione il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta le domande. Compensa le spese dell'intero processo.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2015.


 

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