REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI CATANIA
SEZIONE SECONDA CIVILE
composta dai magistrati
dr. Francesco D'Alessandro -Presidente-
dr. Maria Clara Salì -Consigliere-
dr Marcella Murana -Consigliere rel. est.-
ha emesso la seguente
SENTENZA
con contestuale esposizione dei motivi
(ai sensi degli artt. 352 e 281 sexies c.p.c.)
nella causa civile iscritta al n.346/2016 R.G.
PROMOSSA DA
Soc. Coop. C. -APPELLANTE-
CONTRO
C.F., nato a ____ e S.D.F., nato a ____, entrambi rappresentati e difesi, giusta procura in atti, dagli avvocati Gennaro Esposito ed Orazio Esposito, presso lo studio dei quali sono elettivamente domiciliati -APPELLATI-

La causa, sulle conclusioni delle parti come in atti precisate, è stata decisa all'esito dell'udienza odierna, a seguito di discussione orale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 352 e 281 sexies c.p.c.
La Corte ha osservato:

Svolgimento del processo

Con sentenza n.432/2015 del 3 febbraio 2015 il giudice unico del Tribunale di Catania rigettava, tra l'altro, la domanda di rivendica dell'immobile censito al NCT del comune di Catania (particelle ____), illegittimamente detenuto da F.C. e D.F.S.
Avverso tale sentenza la C. ha interposto appello con atto di citazione notificato in data 7 marzo 2016, fondato su un unico motivo di censura.
Costituisi, gli appellati hanno resistito al gravame, chiedendone il rigetto.
La causa, sulle conclusioni delle parti come in atti precisate, è stata decisa all'esito dell'udienza odierna, a seguito di discussione orale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 352 e 281 sexies c.p.c.

Motivazione

Con l'unico motivo, l'appellante si duole del rigetto della domanda di rivendicazione del bene oggetto di controversia, all'uopo censurando il ragionamento del primo giudice in merito al ritenuto mancato assolvimento dell'onere probatorio circa la proprietà del bene in capo all'attrice.
Sostiene, all'uopo, che il titolo di acquisto della proprietà in proprio favore, consistente nell'atto di fusione del 22/1/1982, era stato citato e trascritto in diversi documenti, ritualmente prodotti. Ad ogni buon conto, l'appellante produce oggi il detto documento, deducendo che non si tratta di documento nuovo, essendo esso stato citato nei diversi documenti prodotti in atti.

Osserva innanzitutto la Corte che la produzione documentale effettuata per la prima volta in appello da parte della C. è inammissibile, siccome attività svolta in spregio al disposto dell'art. 345 c.p.c.
Trattasi, invero, di documento assolutamente nuovo (a nulla rilevando il fatto che esso fosse citato in altri documenti in atti versati), atteso che proprio sulla mancata produzione di esso il primo giudice ha fondato la propria pronuncia di rigetto.
Del resto, è noto che nel regime dell'art. 345 c.p.c., comma 3, anteriore alla modifica operata con l'inserimento del riferimento ai nuovi documenti dalla L. n.69 del 2009, art. 46 (nel quale il generico riferimento ai documenti comunque conferma ed impone la stessa conclusione), l'espressione "nuovi mezzi di prova" comprendeva anche i documenti (v. Cass. nn.8203/2005 e 8202/2005, rese a Sezioni Unite, nonché Cass. n.7441/2011).

Inoltre, il concetto di indispensabilità, che qui la parte neppure richiama in sede di prova in una situazione in cui nel processo è ormai sopravvenuta la decisione, l'indispensabilità necessariamente deve apprezzarsi in relazione alla decisione stessa ed al modo in cui essa si è formata. Se, dunque, la formazione della decisione è avvenuta in una situazione nella quale lo sviluppo del contraddittorio e delle deduzioni probatorie avrebbero consentito alla parte di valersi del mezzo di prova perché funzionale alle sue ragioni, automaticamente si deve escludere che la prova sia indispensabile, se la decisione si è formata prescindendone, perché è imputabile alla negligenza della parte non avere introdotto nel processo la prova che bene avrebbe potuto introdurvi secondo una condotta processuale ispirata all'assicurazione del massimo di possibilità di azione e difesa. In altri termini, non si può prospettare come indispensabile la prova che tale appariva o poteva soggettivamente apparire - al di là della sua concreta efficacia ed utilitas - durante lo svolgimento del contraddittorio in primo grado e prima della formazione delle preclusioni probatorie. Se lo si consentisse, le preclusioni probatorie diverrebbero canzonatorie. L'indispensabilità deve, invece, confrontarsi con il tenore della decisione, nel senso che dev'essere soltanto quanto la decisione afferma sul piano probatorio (cioè a commento delle risultanze probatorie acquisite) ad evidenziare la necessità di un apporto probatorio che invece nel pregresso contraddittorio in primo grado e nella relativa istruzione non era viceversa apprezzabile come utile e necessario (v. Cass. n.7441/2011, sopra richiamata).
Ipotesi, questa, che nella specie non ricorre.

Ancora, del tutto avulso dal contesto che qui ci occupa si appalesa il riferimento ai diritti autodeterminati, che attiene al profilo della modificazione della causa petendi nell'affermazione del diritto dominicale (modifica che quivi non sussiste), e non certamente alla possibilità di proporre nuovi mezzi prova.

Infine, inammissibile, perché eccessivamente generico, è il motivo di appello proposto.
Ed invero, l'appellante deduce unicamente che "il titolo di acquisto della proprietà da parte della C., consistente nell'atto di fusione del 22/1/1982 è stato debitamente citato e trascritto nei seguenti documenti, prodotti e acquisiti al fascicolo di causa: - nel rogito del 14/6/89 (...); nella dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà (...); nel certificato catastale del 9/2/1984".
L'appellante, tuttavia, non censura adeguatamente il ragionamento del primo giudice, in base al quale, pur se nell'azione di rivendica l'onere della cd. probatio diabolica si attenua quando il convenuto si difenda deducendo un proprio titolo d'acquisto, quale l'usucapione, che non sia in contrasto con l'appartenenza del bene rivendicato ai danti causa dell'attore (potendo in tali ipotesi l'onere ritenersi assolto, in caso di mancato raggiungimento della prova dell'usucapione, con la dimostrazione della validità del titolo di acquisto da parte del rivendicante e dell'appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di avere iniziato a possedere (ovverosia, nel caso di specie, dal 1984), l'attrice non aveva prodotto il proprio titolo di acquisto (neppure enunciato in via assertiva) dal quale desumere la proprietà delle porzioni rivendicate; del resto, solo nel rogito del 14/6/1989 (che aveva visto l'attrice venditrice di altre porzioni), nella documentazione catastale e nella dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà vi era "un riferimento all'acquisto della proprietà in capo ad essa attrice in virtù di atto di fusione del 22/1/1982; ma siffatto generico riferimento è di certo inidoneo alla prova richiesta per legge, giacché il citato titolo di acquisto non risulta meglio specificato quanto al contenuto e all'oggetto, ai relativi effetti e al dante causa dell'attrice (non evincendosi nemmeno il titolo di acquisto di tale dante causa), quale documento neanche prodotto nell'incartamento processuale."

Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano, siccome in dispositivo, in base al DM 55/2014, tenuto conto del valore della controversia e dell'attività difensiva effettivamente svolta.
Esse (considerate in un'unica liquidazione, attesa l'unicità dell'attività difensiva) si distraggono in favore dei procuratori antistatari, che ne hanno fatto richiesta.

PQM

La Corte di Appello, definitivamente decidendo sul gravame proposto da Soc. Coop. C. avverso la sentenza n.432/2015 del giudice unico del Tribunale di Catania, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, rigetta l'appello e condanna l'appellante a rifondere, in favore degli appellati, le spese del grado, che liquida in complessivi €.3777,00 (ivi compresi €.1.080,00 per la fase di studio, €.877,00 per la fase introduttiva ed €.1.820,00 per la fase decisoria), oltre ad IVA, CPA e rimborso spese forfettarie nella misura del 15%. Distrae le spese in favore dei procuratori antistatari avvocati Gennaro ed Orazio Esposito.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del DPR n.115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Catania, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione Civile della Corte, il 19 luglio 2016.
Depositata in udienza il 19.07.2016


 

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