REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STILE Paolo - Presidente -
Dott. VENUTI Pietro - Consigliere -
Dott. BRONZINI Giuseppe - rel. Consigliere -
Dott. DORONZO Adriana - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 2233/2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell'avvocato PESSI Roberto, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO NUMERIO 46, presso lo studio dell'avvocato SIMONA SERAFINI, rappresentata e difesa dall'avvocato MASSETTI Margherita, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 4/2012 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 13/01/2012 R.G.N. 115/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;
udito l'Avvocato FLACCONIO CRISTINA per delega verbale MASSETTI MARGHERITA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 13.1.2012 la Corte di Appello di Ancona accoglieva parzialmente l'appello di Poste Italiane avverso la sentenza del Tribunale di Ascoli del 9.2.2007 che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra le Poste e C. A. dal 2.5.2002 al 29.6.2002 al 11.6.2002 al 31.8.2002 e che tra le stesse era intercorso un rapporto a tempo indeterminato dal 2.5.2002, condannando la società Poste alla riammissione in servizio della lavoratrice e riduceva il risarcimento spettante alla lavoratrice 8 mesi dell'ultima retribuzione di fatto L. n. 183 del 2010, ex art. 32.
La Corte territoriale rilevava, in sintesi, l'illegittimità della clausola di apposizione del termine al contratto stipulato con l'appellata in quanto il detto contratto non aveva richiamato specifiche esigenze temporanee legittimanti l'apposizione del termine se non del tutto genericamente una serie di contratti collettivi.
Per la cassazione di tale pronunzia propone ricorso la società Poste Italiane con 4 motivi, illustrati anche con memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Resiste la C. con controricorso.

Motivazione

Con il primo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1372 c.c., commi 1 e 2, nonchè l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il rapporto si era sciolto per mutuo consenso come si evinceva dal fatto che era stato impugnato dopo molto tempo dal suo scioglimento e dalla circostanza per cui il lavoratore aveva accettato il TFR senza contestazioni di sorta.

Il motivo è infondato.
Deve, infatti, rilevarsi come questa Corte abbia più volte affermato che "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto" (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11/12/2001 n. 15621).

Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre che, come pure è stato precisato, "grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro" (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070). Nella specie la Corte d'Appello ha osservato, con motivazione immune da vizi logico giuridici, che nella specie non vi era stato alcun comportamento della lavoratrice che potesse far presumere una sua acquiescenza alla risoluzione del rapporto e che il solo decorrere del tempo tra la cessazione di quest'ultimo e la contestazione e messa in mora da parte della lavoratrice non potesse essere in alcun modo interpretato come volontà di accettazione della risoluzione per mutuo consenso.

Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001 e degli Accordi collettivi del 17, 18, 23 Ottobre, 11 Dicembre 2001, 11 Gennaio 2002; 13 e 17 Aprile. Erano stati richiamati in contratto vari Accordi collettivi che consentivano l'individuazione in concreto delle specifiche esigenze di apposizione del termine in relazione ai processi riorganizzativi indicati agli Accordi stessi.

Il motivo appare fondato ed attiene alla questione sostanziale dell'illegittimità del termine apposto al contratto che risulta stipulato dal 2.5.2002 al 29.6.2002 "ai sensi della vigente normativa, per esigenze tecniche, organizzative produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processo di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all'introduzione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all'attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11.12.2001 e 11 gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002". La fondatezza del motivo emerge alla luce della giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte. Ha osservato da ultimo sul punto la Corte "deve rilevarsi che il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, recante l'attuazione della direttiva 1999/70 CE, relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEP e dal CES, costituisce la nuova fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. 18 aprile 1962, n. 230 e della successiva legislazione integrativa.
Il legislatore nazionale, nell'adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368, il quale nel testo originario, vigente all'epoca del contratto ora in questione, all'art. 1, prevede che "è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo" (comma 1) e che "l'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1" (comma 2). Contestualmente al recepimento dell'accordo-quadro il D.Lgs. n. 368, ha disposto dalla data della propria entrata in vigore (24.10.01) l'abrogazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, L. 25 marzo 1983, n. 79, art. 8 bis e della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1). Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall'abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 - che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, peraltro già ripensato dalla successiva normazione delle L. n. 79 del 1983 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 - e dall'introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l'apposizione del termine è consentita a fronte "di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo". Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l'atto scritto e di "specificare" in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate.

L'onere di "specificazione" nell'atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta all'imprenditore di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate. Tale onere ha lo scopo di evitare l'uso indiscriminato dell'istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto. D'altro canto il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà in cui il contratto viene ad essere calato (v. Cass. 1.02.10 n. 2279).

Non è sufficiente, dunque, a qualificare le ragioni per le quali è stata disposta l'assunzione a termine la mera indicazione di esigenze produttive ed organizzative, essendo necessaria che di tali esigenze si "specifichi" congruamente la natura. La già richiamata giurisprudenza (sentenza n. 2279 del 2010 ed altre che l'hanno seguita), privilegiando la scelta del legislatore Europeo di ampliare la considerazione delle fattispecie legittimanti l'apposizione del termine, ha concesso tuttavia un'importante apertura, ritenendo possibile che la specificazione delle ragioni giustificatrici risulti dall'atto scritto non solo per indicazione diretta, ma anche per relationem, ove le parti abbiano richiamato nel contratto di lavoro testi scritti che prendono in esame l'organizzazione aziendale e ne analizzano le complesse tematiche operative. E' quanto nella sostanza la ricorrente sottolinea essere avvenuto nel caso di specie, in cui l'atto scritto di assunzione, dopo alcuni generici riferimenti ai processi di riorganizzazione aziendale, concretizza le "esigenze tecniche, organizzative e produttive" nella "attuazione delle previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002". Da tali accordi, che costituiscono un momento di esame comune delle parti sindacali delle esigenze organizzative e di cui sono riportati ampi stralci nel ricorso, secondo la ricorrente si desumerebbe l'esistenza di processi di mobilità introaziendale che legittimerebbero il ricorso alle assunzioni a termine, quale momento di riequilibrio territoriale e funzionale delle risorse umane. Il giudice di merito, pur dando atto dell'intervento del D.Lgs. n. 368 del 2001, si limita ad un superficiale giudizio di genericità delle motivazioni addotte a giustificazione del contratto, senza procedere alla valutazione del grado di specificità delle ragioni indicate secondo la metodologia sopra indicata. La giurisprudenza di questa Corte ha, invece, ritenuto necessario che - di fronte ad una complessa enunciazione delle ragioni adottate a legittimazione dell'apposizione del termine - l'esame del giudice di merito deve estendersi a tutti gli elementi di specificazione emergenti dal contratto allo scopo di acclararne l'effettiva sussistenza, ivi ricomprendendo l'analisi degli accordi collettivi sopra indicati (v.la citata sentenza 2279 del 2010)" (cfr. Cass. n. 8296/2012).

Essendosi anche nella fattispecie in esame la Corte di appello sottratta a questo compito in quanto non li ha esaminati specificamente nelle loro concrete clausole, la censura è fondata e comporta l'accoglimento del motivo di ricorso anzidetto.

Il secondo motivo concernente la mancata ammissione della prova va ritenuto allo stato assorbito perchè sarà il Giudice del rinvio a valutare la rilevanza della prova dopo aver esaminato il contenuto degli Accordi prima indicati, cosi come assorbito va ritenuto il quarto motivo che riguarda le mere conseguenze economiche derivanti dalla dichiarazione di illegittimità del termine.

Pertanto rigettato il primo, accolto il terzo ed assorbiti gli altri due la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo per un nuovo esame della causa. Tale esame, tenuto conto che l'onere di provare le ragioni obiettive poste a giustificazione della clausola appositiva del termine grava sul datore di lavoro e deve essere assolto sulla base delle istanze istruttorie dallo stesso formulate (v. la citata Cass. n. 2279 del 2010), dovrà articolarsi nella previa valutazione della esistenza o meno del grado di specificazione richiesto dalla legge - tenendo conto di tutti gli elementi di valutazione sopra evidenziati - e, in caso di positivo accertamento, nella successiva verifica dell'effettiva ricorrenza nel caso concreto degli elementi di fatto che danno corpo alla ragioni di assunzione per come sono specificate.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità

PQM

LA CORTE accoglie il terzo motivo del ricorso, assorbiti il secondo ed il quarto, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche in ordine alle spese, alla Corte di appello di Bologna.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2015


 

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