REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CECCHERINI Aldo - Presidente -
Dott. DIDONE Antonio - Consigliere -
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - rel. Consigliere -
Dott. FERRO Massimo - Consigliere -
Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 1547/2008 proposto da:
P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA 47, presso l'avvocato D'ANGELANTONIO CLAUDIO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO DI P.F. TITOLARE DELLA DITTA RAINBOW DI P.F.;
- intimato -
avverso la sentenza n. 1881/2006 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 28/11/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/05/2015 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato D'ANGELANTONIO CLAUDIO che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

L'avv. P.M. proponeva opposizione allo stato passivo del Fallimento di P.F., titolare della ditta individuale Rainbow, lamentando che, a fronte della richiesta di ammissione di crediti privilegiati e chirografari per le prestazioni svolte a favore della ditta fallita tra il luglio 2001 ed il maggio 2002, meglio specificate nelle note del 15/4/02 e 1/6/02, per complessivi Euro 64.873,28 e 9261,04, oltre iva, era stato ammesso per la minore somma, in privilegio, di Euro 58.062, 38, ed in chirografo, per Euro 19839,93.

Il Tribunale di Novara, con sentenza del 21-27/9/05, accoglieva parzialmente l'opposizione ammettendo in privilegio il credito di Euro 59515,25, ed Euro 1168,29, a titolo, rispettivamente, di onorari e diritti, oltre interessi sino alla vendita dei beni mobili del fallito e, in chirografo, per Euro 6068,36, a titolo di rimborso forfettario spese generali, Euro 2699,70 a titolo di spese, Euro 1335,05 e 13617,39 a titolo di rivalsa rispettivamente, del CPA e dell'IVA, compensando le spese.

La Corte d'appello, con sentenza del 28 novembre 2006, ha respinto l'impugnazione.

Nello specifico, e per quanto ancora rileva, la Corte del merito ha ritenuto che l'avv. P., in relazione all'ammissione al chirografo del credito "a titolo di rivalsa dell'IVA" (nei cui confronti la parte aveva lamentato l'extrapetizione, per non essere stata ancora emessa alcuna fattura), era carente di interesse a vedersi negare una voce di credito per un titolo neppure richiesto ed a far valere la domanda intesa alla prededucibilità dell'imposta in oggetto, diversa da quella di cui all'atto di insinuazione nè in ogni caso, ma sul punto non vi era censura, al credito di rivalsa IVA si sarebbe potuto riconoscere il privilegio speciale previsto dall'art. 2758 c.c., sui beni mobili, che hanno formato oggetto della prestazione, stante la non contestata mancanza nell'attivo dei beni specifici sui quali far valere il privilegio. La Corte del merito ha infine respinto la richiesta di collocazione in privilegio per il contributo integrativo L. n. 576 del 1980, ex art. 11, costituente un semplice accessorio per le prestazioni professionali, rispetto alle quali conserva la propria individualità, ed ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui, a differenza di quanto previsto dalla L. n. 21 del 1986, art. 11, (legge previdenziale dottori commercialisti)non prevede espressamente che il credito relativo al diritto di ripetere dal cliente il contributo previdenziale venga assistito da privilegio di grado pari a quello del credito per le prestazioni professionali.
Ricorre l'avv. P. sulla base di tre motivi.
Il Fallimento non ha svolto difese.

Motivazione

1.1.- Col primo motivo, il ricorrente si duole della pronuncia impugnata in relazione alla ritenuta carenza di interesse a far valere la doglianza dell'ammissione al passivo del credito di rivalsa IVA, atteso che con l'ammissione del credito il Tribunale ha leso il diritto alla rivalsa, che, secondo la parte, nasce come prededucibile, all'atto dell'emissione della fattura al pagamento da parte del Fallimento.

1.2.- Col secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., in relazione alla ritenuta inammissibilità per novità della domanda sulla rivalsa Iva, mentre la domanda fatta valere con l'insinuazione al passivo, in sede di opposizione e davanti alla Corte d'appello non è sostanzialmente mutata, avendo la parte considerato che il pagamento dell'Iva da parte del debitore fallito non costituisce la corresponsione di una somma per la soddisfazione di un credito del professionista, ma solo un'uscita per partita di giro che contemporaneamente crea un'entrata per partita di giro.

1.3.- Col terzo, censura la pronuncia per violazione o falsa applicazione della L. n. 576 del 1980, art. 11, in relazione all'art. 2751 bis c.c., n. 2, e art. 2754 c.c., sostenendo che il contributo previdenziale è parte della retribuzione del professionista, sia pure destinata all'ente previdenziale, o rientra nella previsione dell'art. 2754 c.c..

2.1.- Il primo motivo va respinto.

Va a riguardo ritenuta infondata la premessa sulla quale la parte ha articolato il motivo, ovvero che il credito di rivalsa dell'Iva del professionista debba ritenersi prededucibile, perchè posteriore al fallimento.

Come di recente ribadito nella pronuncia 8222/2011, in senso conforme alle precedenti 15690/1995 e 6149/1995, il credito di rivalsa IVA di un professionista che, eseguite prestazioni a favore di imprenditore poi dichiarato fallito ed ammesso per il relativo capitale allo stato passivo in via privilegiata, emetta la fattura per il relativo compenso in costanza di fallimento (nella specie, a seguito del pagamento ricevuto in esecuzione di un riparto parziale), non è qualificabile come credito di massa, da soddisfare in prededuzione ai sensi della L. Fall., art. 111, comma 1, (applicabile nel testo "ratione temporis"), in quanto la disposizione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 6, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, ma individua solo il momento in cui l'operazione è assoggettabile ad imposta e può essere emessa fattura (in alternativa al momento di prestazione del servizio), cosicchè, in particolare, dal punto di vista civilistico la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l'evento generatore anche del credito di rivalsa IVA, autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso; il medesimo credito di rivalsa, non essendo sorto verso la gestione fallimentare, come spesa o credito dell'amministrazione o dall'esercizio provvisorio, può giovarsi del solo privilegio speciale di cui all'art. 2758 c.c., comma 2, nel caso in cui sussistano beni - che il creditore ha l'onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo - su cui esercitare la causa di prelazione; nel caso, poi, in cui detto credito non trovi utile collocazione in sede di riparto, nemmeno è configurabile una fattispecie di indebito arricchimento, ai sensi dell'art. 2041 c.c., in relazione al vantaggio conseguibile dal fallimento mediante la detrazione dell'IVA di cui alla fattura, poichè tale situazione è conseguenza del sistema di contabilizzazione dell'imposta e non di un'anomalia distorsiva del sistema concorsuale.

2.2.- Il secondo motivo è sostanzialmente infondato per effetto del rigetto del secondo motivo, atteso che la parte, che pure ribadisce di non avere mai chiesto l'ammissione del proprio credito di rivalsa IVA, insiste nel sostenere di avere considerato "la possibilità che il credito di rivalsa Iva sia ritenuto "prededucibile".

2.3.- Il terzo motivo va respinto.

Per giurisprudenza consolidata, il contributo integrativo di cui alla L. n. 576 del 1980, art. 11, non costituisce "retribuzione", da cui l'inapplicabilità dell'art. 2751 bis c.c., n. 2, nè rientra nella previsione dell'art. 2754 c.c., norma che, in funzione residuale rispetto all'art. 2753 c.c., si riferisce ai contributi dovuti dal datore di lavoro per le assicurazioni sociali in senso lato agli enti previdenziali, e non quindi al contributo integrativo in rivalsa dell'avvocato, dovuto alla propria Cassa.

Sul primo rilievo, si richiama, tra le ultime, la pronuncia 6849/2011 (ed in senso conforme, la precedente 9763/1995), che ha ribadito che ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare, i crediti del professionista per il rimborso del contributo integrativo da versarsi alla Cassa di previdenza avvocati e procuratori (al pari di quelli per rivalsa I.V.A.) hanno una collocazione diversa da quella spettante al credito per le corrispettive prestazioni professionali, atteso che essi non costituiscono semplici accessori di quest'ultimo, ma conservano una loro distinta individualità.

Nè, infine, può ricavarsi alcun argomento a favore della tesi del ricorrente dalla specifica disciplina prevista per i dottori commercialisti con la L. n. 576 del 1986, art. 11, che anzi, come già osservato dalla Corte del merito, non fa che confermare il principio di tassatività dei privilegi, nè potrebbe in ogni caso invocarsi la lesione del principio di parità di trattamento, per non avere attribuito agli avvocati lo stesso trattamento "privilegiato" dei dottori commercialisti.

3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso.
Non si da pronuncia sulle spese, non essendosi costituito il Fallimento.

PQM

La Corte respinge il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2015.


 

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