Civile Ord. Sez. 2 Num. 26801 Anno 2019
Presidente: CAMPANILE PIETRO
Relatore: TEDESCO GIUSEPPE
Data pubblicazione: 21/10/2019

ORDINANZA
sul ricorso 21387-2015 proposto da:
B. G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 134, presso lo studio dell'avvocato MARZIA CONTUCCI, rappresentato e difeso dagli avvocati LORENZO CONTUCCI, NADIA MODENA;
- ricorrente -
contro
L.I. SNC in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RONCIGLIONE 3, presso lo studio dell'avvocato FABIO GULLOTTA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ELVIO MOCCIA, ROBERTO MANGOGNA;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1501/2014 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 19/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2019 dal Consigliere GIUSEPPE TEDESCO.

Svolgimento del processo

Ritenuto che:
G.B. chiedeva e otteneva dal Tribunale di Verona, nei confronti di E., ingiunzione di pagamento della somma di € 131.589,85, richiesta, in forza di fatture commerciali, quale corrispettivo della vendita di materiali di ricambio per auto.
Contro il decreto E. proponeva opposizione, deducendo, a sostegno della stessa, che fra le parti era intervenuto un accordo in forza del quale E. avrebbe ricevuto i materiali di ricambi (di cui G.B. aveva intenzione di disfarsi a seguito della interruzione dei rapporti commerciali con le case madri) per poi procedere, a seguito di verifica degli stessi, alla rottamazione di quelli non più commerciabili ed alla vendita della eventuale rimanenza, con suddivisione in parti uguali del ricavato. Diversamente G.B. aveva fatto pervenire insieme ai materiali, in gran parte obsoleti, anche le fatture poi poste a fondamento della richiesta del decreto ingiuntivo, del quale E. chiedeva pertanto la revoca. Chiedeva inoltre, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto inter partes, qualificato come deposito, per grave inadempimento della convenuta opposta, con la condanna di questa al ritiro della merce e al pagamento delle spese di custodia.

Il tribunale rigettava l'opposizione.
Il primo giudice rilevava che le fatture erano state singolarmente sottoscritte per accettazione; che l'avvenuta sottoscrizione delle fatture per accettazione non era spiegabile con un errore degli addetti allo scarico della merce; che l'opponente non aveva fornito la prova della diversa natura accordo in forza del quale era avvenuta la consegna.

La Corte d'appello di Venezia, adita da E., riformava la sentenza.
Essa partiva dalla considerazione che le fatture commerciali, anche se annotate nei libri obbligatori, non costituiscono prova del credito. Non ricorreva neanche l'ipotesi della loro accettazione, perché la firma apposta sulle fatture non recava alcuna precisazione in ordine alle ragioni della sua apposizione. Si doveva inoltre considerare che la firma proveniva fa un magazziniere, privo di potere di rappresentanza, il che induceva a riconoscere che essa non aveva altro significato se non quello di conferma della corrispondenza dei materiali consegnati a quelli elencati nelle fatture In base a tale considerazione la corte accoglieva l'opposizione, così rigettando la richiesta di pagamento formulata con la domanda monitoria.
In quanto alla diversa configurazione del rapporto dedotto con l'opposizione, la corte riteneva che l'opponente non avesse dato prova del proprio assunto. Nello stesso tempo, però, osservava che E. aveva ammesso di avere venduto una parte dei materiali, ottenendone il ricavato di € 6.000,00. Nei limiti di tale ammissione, in quanto comportava accettazione da parte di E. e trasferimento della proprietà a suo favore, la vendita doveva ritenersi perfezionata. Per gli altri materiali, in assenza di un titolo che ne giustificasse la presenza presso E., sussisteva l'obbligo della venditrice di riprendersi in restituzione.
Condannava pertanto l'opponente al pagamento della somma di € 6.000,00 in favore di GB.

Per la cassazione della sentenza B. G., in qualità di ex socio accomandatario della G.B. s.a.s., condannata a restituire quanto riscosso in forza della concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, ha proposto ricorso affidato a due motivi.
LC. S.n.c., già E. S.n.c., ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivazione

Considerato che:
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2709, 2710 e 2720 c.c.
La sentenza è censurata nella parte in cui la corte ha negato l'efficacia probatoria delle fatture, nonostante queste fossero state accettate e regolarmente annotate nei registri Iva.
Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c.
La corte d'appello ha rigettato sia la domanda principale formulata con il ricorso per decreto ingiuntivo, sia la domanda riconvenzionale, con la quale l'opponente aveva fatto valere la diversa configurazione del rapporto.
Si sostiene, in considerazione del duplice contenuto negativo della statuizione, che il giudice era venuto meno al suo compito istituzionale di qualificare il rapporto. L'omissione in cui era incorsa la corte emergeva in particolare da quella parte della decisione che recava la condanna di G.B. a ritirare la merce in assenza di un titolo che ne giustificasse la presenza, mentre proprio la presenza di quella merce rendeva palese che un qualche rapporto fra le parti era in effetti loro intercorso.
Il terzo motivo denuncia la sentenza per motivazione perplessa e logicamente incomprensibile.
Il ricorrente riprende le critiche rivolte con il motivo precedente, denunciando l'ulteriore contraddizione in cui era incorsa la corte di merito, la quale, dopo avere negato sia la vendita e sia il deposito, ha tuttavia riconosciuto l'esistenza di una vendita nei limiti del materiale effettivamente venduto.

Il primo motivo è fondato e il suo accoglimento comporta l'assorbimento delle censure di cui ai restanti motivi.
La Corte d'appello ha fatto applicazione del principio che "la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all'esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all'altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché, quando tale rapporto sia contestato, non può costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio" (Cass. n. 9593/2004; n. 15383/2010; n. 299/2016).
Essa non ha tenuto conto del fatto che la fattura non solo ha efficacia probatoria contro l'emittente, che vi indica la prestazione e l'importo del prezzo, ma può costituire piena prova nei confronti di entrambe le parti dell'esistenza di un corrispondente contratto, allorché risulti accettata dal contraente destinatario della prestazione che ne è oggetto (Cass. n. 15832/2011; n. 13651/2006; n. 23494/2994).
Una volta che la fattura sia stata portata a conoscenza del destinatario, l'accettazione non richiede formule sacramentali (Cass. n. 10860/2007), potendosi anche esprimere per comportamenti concludenti.

È stato anche chiarito che "pur non rientrando le annotazioni del registro IVA nella disciplina dettata dagli artt. 2709 (secondo cui i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione
fanno prova contro l'imprenditore) e 2710 c.c. (il quale stabilisce che i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono formare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa) per i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione, esse possono costituire idonee prove scritte dell'esistenza di un credito, giacché la relativa annotazione con richiamo alla fattura da cui nasce costituisce atto ricognitivo in ordine ad un fatto produttivo di un rapporto giuridico sfavorevole al dichiarante, stante la sua natura confessoria ex art. 2720 c.c."
(Cass. 3383/2005; n. 32935/2018).
La corte di merito non si è attenuta a tali principi.
Nel caso in esame è pacifico che la merce fu consegnata insieme alle fatture e che queste recano la firma da parte di colui che l'aveva ricevuta.
La corte ha negato l'eventualità dell'accettazione in base al duplice rilievo che la firma apposta sulle fatture non indicava la causa della sua apposizione e proveniva da soggetto privo del potere di rappresentare la società, laddove tali rilievi, esclusivamente formali, non bastavano di per sé in base ai principi sopra indicati a escludere l'accettazione delle fatture portate a conoscenza del destinatario.
È mancata poi qualsiasi verifica circa la registrazione delle fatture nel registro Iva.
La sentenza va pertanto cassata e il giudice di rinvio, nel verificare l'efficacia probatoria delle fatture, dovrà attenersi ai principi di cui sopra.
Assorbiti gli altri motivi.
La sentenza va pertanto cassata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Venezia anche per le spese.

PQM

accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la
sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia ad altra sezione della
Corte d'appello di Venezia anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
Sezione civile, il 5 giugno 2019.
Depositata in cancelleria il 21 ottobre 2019


 

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