REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VENUTI Pietro - Presidente -
Dott. MANNA Antonio - Consigliere -
Dott. BERRINO Umberto - Consigliere -
Dott. DORONZO Adriana - rel. Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11196/2013 proposto da:
D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONCA D'ORO 184/190 PAL. D, presso lo studio dell'avvocato DISCEPOLO MAURIZIO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
AZIENDA OSPEDALIERA "OSPEDALI RIUNITI MARCHE NORD", AZIENDA SANITARIA UNICA REGIONALE ZONA TERRITORIALE N. ___ FANO;
Nonchè da:
AZIENDA SANITARIA UMICA REGIONALE (ASUR) ZONA TERRITORIALE N___ FANO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 2 62, presso lo studio dell'avvocato STEFANO OLIVA, rappresentata e difesa dagli avvocati TRISTANO TONNINI, FRANCESCA CECCHINI, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
D.A., e AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALI RIUNITI MARCHE NORD;
- intimati -
Nonchè da:
AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALI RIUNITI MARCHE NORD, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 262, presso lo studio dell'avvocato STEFANO OLIVA, rappresentata e difesa dagli avvocati TRISTANO TONNINI, FRANCESCA CECCHINI, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONCA D'ORO 184/190 PAL. D, presso lo studio dell'avvocato MAURIZIO DISCEPOLO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- controricorrente ai ricorsi incidentali -
- intimata -
avverso la sentenza n. 1007/2012 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 24/10/2012 R.G.N. 213/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15.7.2015 dal Consigliere Dott. ADRIAMA DORONZO;
udito l'Avvocato PERUCCA DIEGO per delega DISCEPOLO MAURIZIO;
udito l'Avvocato OLIVA STEFANO per delega CECCHINI FRANCESCA e TONNINI TRISTANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l'accoglimento parziale del principale ricorso, rigetto dell'incidentale.

Svolgimento del processo

1. D.A., dirigente biologo alle dipendenze dell'Azienda sanitaria unica regionale (d'ora in poi solo ASUR), zona territoriale n. ____ di Fano, presso l'ospedale civile Santa Croce, con ricorso proposto al Tribunale di Pesaro impugnò il licenziamento intimatogli in data 2/11/2006 dall'ASUR, chiedendone il suo annullamento con la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna dell'azienda al pagamento in suo favore delle retribuzioni dovute dalla data dell'illegittimo recesso fino all'effettiva reintegrazione.

1.2. Il licenziamento era stato intimato, previa contestazione, per "omessa effettuazione e refertazione di esami urgenti nella notte tra il 14 e 15 aprile 2006, relativi alla ripetizione di esami richiesti dal cardiologo per la paziente... ricoverata in ortopedia, provette... consegnate nella notte tra il 14 e 15 aprile 2006....e rinvenute nel contenitore dei rifiuti, unitamente alla richiesta strappata".

1.3. Con successivo ricorso del 20/11/2007, il D. convenne in giudizio la stessa Azienda sanitaria di Fano, chiedendo la sua condanna al risarcimento dei danni a seguito del comportamento illegittimo e contrario in buona fede mantenuto dalla convenuta nell'ambito del rapporto di lavoro e integrante la fattispecie del mobbing. 1.4. Altro ricorso (del 24/4/2008) fu proposto dallo stesso D. per impugnare un secondo licenziamento intimatogli con determina del 11/10/2007 del dirigente dell'ASUR di Fano, e fondato su una serie di inadempimenti, costituiti dall'aver indebitamente usato documenti di terzi contenenti dati sensibili, utilizzato la stampa per segnalare un presunto caso di malpractice, usato indebitamente le fotocopiatrici durante la chiusura degli uffici, minacciato colleghi a seguito dell'invito rivoltogli di uscire dagli uffici e altre inadempienze.

1.5. Un ulteriore ricorso (del 25/8/2008) fu poi proposto dallo stesso biologo per contestare la legittimità del provvedimento di sospensione adottato nei suoi confronti con determina dell'ASUR di Fano del 29/4/2008, in seguito al rinvio a giudizio nel procedimento penale per i fatti accaduti nella notte tra il____, relativi al primo recesso.
1.6. Avverso il decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto dal D. per il pagamento, in suo favore, delle retribuzioni maturate nel periodo compreso tra il recesso dell'11/10/2007 e la reintegra nel posto di lavoro, disposta in sede cautelare dal tribunale di Pesaro, la Azienda sanitaria di Fano propose opposizione. La stessa ASL propose inoltre opposizione all'esecuzione preannunciata contro il precetto notificato dal D. in data 9/6/2008 sulla base del decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo.

1.7. Istruiti i vari procedimenti, essi furono riuniti all'udienza di discussione e decisi con un'unica sentenza con la quale il Tribunale di Pesaro rigettò tutte le domande. La sentenza fu appellata dal D. dinanzi alla Corte d'appello di Ancona, convenendo in giudizio la Azienda ospedaliera Ospedali Riuniti Marche Nord, costituita con L.R. 22 settembre 2009, n. 21. Disposta l'integrazione del contraddittorio anche nei confronti dell'ASUR, con la sentenza qui impugnata, depositata in data 24/10/2012, la Corte d'appello ha rigettato l'impugnazione e ha condannato il D. al pagamento della metà delle spese del giudizio, in favore della parte appellata, compensando la restante metà.
1.8. La Corte territoriale ha condiviso il giudizio espresso dal primo giudice sulla legittimità del primo licenziamento, intimato in data 2/11/2006. In specifico, ha ritenuto insussistente la ragione di invalidità dedotta dal ricorrente, circa la contrarietà del recesso al parere del comitato dei garanti. Ha poi ritenuto grave il fatto contestato, a sensi dell'art. 2119 c.c., considerate le mansioni del dipendente e l'inattendibilità e contraddittorietà delle sue giustificazioni. Ha quindi ritenute assorbite tutte le altre doglianze mosse dall'appellante.

1.9. Contro la sentenza, il D. propone ricorso per cassazione, sostenuto da due articolati motivi, cui resistono con controricorso le due Aziende sanitarie, che, a loro volta, spiegano ricorso incidentale, fondato per la Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Marche Nord su due motivi e per l'ASUR su di un univo motivo ed ai quali resiste con controricorso il D.. Le parti depositano memorie ex art. 378 c.p.c.

Motivazione

Deve darsi atto che in data 29 luglio 2013, oltre il termine previsto dall'art. 369 c.p.c., per il deposito del ricorso per cassazione, il ricorrente ha depositato copia del C.C.N.L. di settore, affinchè sia inserito nel relativo fascicolo. La natura del contratto esclude che il tardivo deposito possa costituire una ragione di improcedibilità del ricorso a norma della disposizione citata, trattandosi di un contratto collettivo di diritto pubblico. Valgono invero i principi già affermati da questa Corte secondo cui: "L'improcedibilità del ricorso per cassazione a norma dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non può conseguire al mancato deposito del contratto collettivo di diritto pubblico, atteso che, in considerazione del peculiare procedimento formativo, del regime di pubblicità, della sottoposizione a controllo contabile della compatibilità economica dei costi previsti, l'esigenza di certezza e di conoscenza da parte del giudice era già assolta, in maniera autonoma, mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8, sì che la successiva previsione, introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, deve essere riferita ai contratti collettivi di diritto comune" (Cass. Sez. Un., 4 novembre 2009, n. 23329).

E' invece da ritenersi inammissibile ai sensi dell'art. 372 c.p.c., il deposito, da parte del D., della sentenza penale resa da questa Corte in data 7 maggio 2014, con cui è stata annullata senza rinvio la sentenza che aveva condannato il D. per il delitto di danneggiamento perchè il fatto non sussiste, trattandosi di documento che non riguarda la nullità della sentenza impugnata nè l'ammissibilità del ricorso o del controricorso.

1. Con il primo articolato motivo di ricorso, D. censura la sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, violazione falsa e applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 20, nonchè per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Assume l'erroneità della decisione nella parte in cui ha ritenuto legittimo il primo atto di recesso, nonostante esso fosse stato adottato in contrasto con il parere del comitato dei garanti, da ritenersi vincolante una volta espresso, in quanto proveniente da un soggetto terzo, e non potendosi escludere, nel caso di specie, la commistione tra responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare.
Sotto il profilo del vizio motivazionale, poi, il D. lamenta che erroneamente la sentenza ha ritenuto provato ed illegittimo il suo rifiuto di eseguire le analisi di laboratorio, senza considerare che egli non le aveva ritenute necessarie, e le aveva perciò cestinate, solo dopo alcune ore dalla richiesta, anche a seguito della mancata risposta da parte dei medici del reparto richiedente le dette analisi, cui egli si era rivolto per avere conferma della loro necessità, visto che vi erano state altre due richieste in un breve arco temporale.

1.1. Il primo motivo, nella sua duplice articolazione, è infondato.
Come è stato già affermato da questa Corte, il parere del comitato dei garanti, da un lato, ha in linea generale carattere obbligatorio ma non vincolante, e comunque non può mai esonerare il datore di lavoro dalle valutazioni di sua competenza in ordine alla portata della responsabilità del dirigente; dall'altro esso rileva in riferimento alla responsabilità dirigenziale e non anche alla responsabilità disciplinare del dirigente (Cass., 27 gennaio 2015, a 1478).

Si è infatti precisato (Cass., 8 aprile 2010, n. 8329) che, in tema di dirigenza pubblica, il previo conforme parere del Comitato dei Garanti, previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 21 e 22, per il personale statale, estensibile anche alle pubbliche amministrazioni non statali in forza della norma di adeguamento di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 27, comma 1, riguarda le sole ipotesi di responsabilità gestionale per il mancato raggiungimento degli obbiettivi nell'attività amministrativa e grave inosservanza delle direttive impartite dall'organo competente a ciò preposto e non anche le condotte realizzate in violazione di singoli doveri.

1.2. Quanto al dedotto vizio motivazionale, è sufficiente rilevare che esso non sussiste, avendo la Corte anconetana esaminato la condotta del ricorrente e ritenuto sussistente, perchè incontestato nella sua materialità, il suo rifiuto di eseguire le analisi richieste dal reparto ospedaliero cestinando la relativa richiesta.
Ha quindi valutato la condotta sotto il profilo della sua gravità, ritenendo che essa sia tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro. Per giungere a tale giudizio, ha considerato le giustificazioni addotte dal ricorrente, ritenendole, per un verso, contraddittorie (l'aver gettato nel cestino dei rifiuti sia il modulo di richiesta di analisi che le provette con il materiale biologico era indice di un rifiuto conclamato e non già di un mero dubbio circa la necessità della sua prestazione professionale) e, per altro verso, non sufficienti a scriminarne la condotta sulla base delle assorbenti considerazioni che non rientra nell'ambito di competenza operativa del biologo l'apprezzamento della necessità ed urgenza delle analisi e che l'eventuale dubbio (ove effettivo) su tali presupposti avrebbe dovuto indurre ad altra condotta e non già ad omettere un atto dovuto.

1.3. Non può poi non considerarsi che il denunciato vizio motivazionale soggiace alla prescrizione di cui al nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modifiche in L. 7 agosto 2012 n. 134 il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione "per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti". Per effetto della disposizione transitoria contenuta nello stesso art. 54, comma 3, la norma si applica ai ricorsi per cassazione contro provvedimenti pubblicati dopo 11 settembre 2012 (quindi al caso in esame).
Orbene, le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un. 7 aprile 2014, nn. 8053, 8054) hanno avuto modo di precisare che a seguito della modifica dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge e, cioè, dell'art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione", secondo quello che è stato definito il "minimo costituzionale" della motivazione. Ed infatti perchè la violazione sussìsta si deve essere in presenza di un vizio "così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dal'art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione"', fattispecie che si verifica quando la motivazione manchi del tutto, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo "talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum". Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta).
Inoltre, il vizio può attenere solo alla quaestio facti (in ordine alle quaestiones juris non è configurabile un vizio di motivazione) e deve essere testuale, deve, cioè, attenere alla motivazione in sè, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Dal nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5, è scomparso il termine motivazione e, pertanto, l'omesso esame deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Nel caso in esame, come si è su evidenziato, il ricorrente non censura l'omesso esame di un "fatto storico" bensì solo la complessiva valutazione compiuta dal giudice di merito delle risultanze istruttorie, di cui egli prospetta e richiede - inammissibilmente, visti i limiti del giudizio di cassazione anche alla luce del nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5, - una diversa e più appagante versione.

2. Con il secondo motivo il D. censura la sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4. Assume che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto assorbiti gli altri motivi di doglianza sollevati avverso la sentenza del tribunale e riguardanti il rigetto delle domande proposte nei plurimi ricorsi, poi riuniti all'udienza di discussione.

2.1. Il motivo è in parte infondato e in parte presenta un profilo di improcedibilità.

2.2. E' senz'altro infondato con riferimento alle domande relative e connesse alla pretesa illegittimità del secondo licenziamento, nonchè alla domanda fondata sulla pretesa illegittimità del provvedimento di sospensione, adottato in conseguenza del procedimento penale avviato per i fatti di cui al primo recesso.
In ordine alle prime domande, l'accertamento della legittimità del licenziamento intimato il 2/11/2006 assorbe ogni altra domanda relativa al secondo, in quanto intervenuto su di un rapporto ormai esaurito (cfr., Cass. 4 gennaio 2013, n. 106, Cass., 20 gennaio 2011, n. 1244 Cass., 6 marzo 2008, n. 6055), con la conseguenza che non possono riconoscersi al lavoratore le retribuzioni per i mesi intercorsi tra il secondo recesso e l'ordine di reintegrazione in servizio: l'ordine ha, infatti, perso ogni effetto, con l'ulteriore conseguente insussistenza del diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni (Cass., 9 agosto 2013, n. 19104). Le stesse ragioni valgono anche con riguardo al provvedimento di sospensione dal servizio. Gli effetti della sospensione cautelare dal servizio - strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento risolutivo del rapporto poichè meramente cautelare in attesa del secondo - permangono fino all'esito del procedimento penale o disciplinare, il cui esito favorevole condiziona il diritto del lavoratore alla percezione delle retribuzioni non corrisposte. La sospensione, invero, si salda con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto e legittimando la perdita "ex tunc" del diritto alle retribuzioni, a far data dal momento della sospensione medesima (Cass., 12 maggio 2015, n. 9618; Cass. 7 luglio 2014, n. 15444). Ne consegue che correttamente tali questioni sono state ritenute assorbite dal rigetto delle censure relative al primo licenziamento.

2.3. Il motivo di ricorso riguardante la domanda avente ad oggetto il diritto al risarcimento dei danni da preteso mobbing è invece inammissibile. Nel ricorso per cassazione il D. ha trascritto pedissequamente i motivi di appello proposti contro la parte della sentenza del tribunale in cui è stata trattata la questione: tuttavia, la parte non fornisce alla Corte elementi sicuri per consentire l'individuazione e il reperimento dell'atto, non rispettando il disposto previsto dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso) e così di fatto non consentendo il raggiungimento dello scopo previsto da tale norma, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la veridicità delle asserzioni senza compiere indagini affidate alla sua discrezionalità e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (Cass. sez. un., 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. sez. un., 3 novembre 2011, n. 22726).

Le Sezioni unite di questa Corte hanno altresì precisato (Cass., sez. Un., ord. 7 novembre 2013, n. 25038) che l'onere di deposito degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o degli accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso, sancito, a pena di sua improcedibilità, dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, è soddisfatto: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di quelle fasi, mediante il deposito di quest'ultimo, specificandosi, altresì, nel ricorso l'avvenuta sua produzione e la sede in cui quel documento sia rinvenibile; b) se il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l'indicazione che lo stesso è depositato nel relativo fascicolo del giudizio di merito, benchè, cautelativamente, ne sia opportuna la produzione per il caso in cui quella controparte non si costituisca in sede di legittimità o la faccia senza depositare il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all'ammissibilità del ricorso, oppure attinente alla fondatezza di quest'ultimo e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l'esaurimento della possibilità di produrlo, mediante il suo deposito, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell'ambito del ricorso.

Nel caso in esame, la parte non offre precise indicazioni sull'attuale collocazione del ricorso in appello (ovvero dell'atto difensivo o del verbale di causa in cui sarebbero stati esposti i motivi di appello della cui omessa valutazione si duole), nè, nell'elenco degli atti depositati posto in calce al ricorso risulta il suo deposito o la richiesta, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, di trasmissione del fascicolo d'ufficio che lo contiene, dovendosi peraltro ritenere del tutto generico, e quindi inadeguato allo scopo, il riferimento al deposito del "fascicolo di parte", senz'altra indicazione. Il motivo è pertanto inammissibile.

3. Con il primo motivo del ricorso incidentale l'Azienda Ospedali Riuniti Marche Nord censura la sentenza per non aver dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva, in violazione della L.R. Marche 22 settembre 2009, n. 21, nonchè delle deliberazioni della Giunta regionale attuative del trasferimento dei rapporti dalle preesistenti aziende ospedaliere all'ente di nuova costituzione.

4. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell'art. 92 c.p.c., comma 2, nella parte in cui la Corte d'appello ha omesso di specificare le gravi ed eccezionali ragioni che hanno indotto alla compensazione delle spese di lite.

5. questo secondo motivo è oggetto anche del ricorso incidentale dell'ASUR.
6. Il primo motivo del ricorso incidentale dell'Azienda Marche Word è inammissibile per difetto di interesse. Ed invero, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni preliminari di merito (quale, quella di specie, riguardante il difetto di titolarità passiva del rapporto controverso) o pregiudiziali di rito, ha natura di ricorso condizionato all'accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, sicchè, laddove le medesime questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte solo in presenza dell'attualità dell'interesse, ovvero unicamente nell'ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass., sez. Un., 25 marzo 2013, n. 7381; Cass., 6 marzo 2015, n. 4619). Nel caso in esame, il rigetto del ricorso principale e l'assenza nella sentenza impugnata di affermazioni, pure implicite, suscettibili di passare in giudicato che possono ridonare in danno dell'Azienda, escludono la sua soccombenza e, di conseguenza, ogni interesse all'impugnazione.

7. Sono invece infondati i motivi di ricorso che riguardano la regolamentazione delle spese di lite. Premesso che al giudizio in esame trova applicazione l'art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo precedente alla modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, (applicabile, ai sensi dell'art. 58, comma 1, della predetta legge, ai giudizi instaurati successivamente al 4 luglio 2009, ovvero alla data della sua entrata in vigore), essendo stato introdotto prima della detta data, ai fini del provvedimento sulla compensazione è sufficiente che il giudice ravvisi la sussistenza di giusti motivi, esplicitamente indicate nella motivazione (v. Cass., 29 maggio 2015, n. 11284). La Corte di merito ha adeguatamente motivato sulle ragioni della compensazione, con riferimento alla complessità e opinabilità della vicenda processuale, e tali ragioni assurgono a giusti motivi, come da giurisprudenza di questa Corte (v. Cass., 22 febbraio 2012, n. 2572).

10. In definitiva, tutti i ricorsi devono essere rigettati e le spese compensate in ragione della reciproca soccombenza.

Poichè i ricorsi sono stati notificati in data successiva al 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i ricorsi incidentali, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, il quale non presuppone la condanna alle spese, ma solo il rigetto del ricorso per motivi di merito o processuali (Cass., ord. Ord., 13 maggio 2014, n. 10306). Non sussistono invece i presupposti per l'analogo versamento da parte del ricorrente principale, in quanto risulta essere stato ammesso al gratuito patrocinio (Cass., 2 settembre 2014, n. 18523).

PQM

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti incidentali dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi incidentali, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2015.
Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2015


 

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