REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio - Primo Presidente f.f. -
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente di sez. -
Dott. RORDORF Renato - Presidente di sez. -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
Dott. CAPPABIANCA Aurelio - Consigliere -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 3120-2011 proposto da:
M.A., M.M., M.B., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI 209, presso lo studio dell'avvocato BUZZI ALBERTO, rappresentati e difesi dall'avvocato SCANCARELLO ANGELO, per delega a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente -
avverso il decreto della CORTE D'APPELLO di TORINO depositato il 26/07/2010 v.g. 1547/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/09/2013 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
udito l'Avvocato Alessandra BRUNI dell'Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. - Con decreto del 26 luglio 2010, la Corte di appello di Torino accolse solo in parte la domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 avanzata da A. e M.M., liquidando la somma di Euro 4.416,66 in favore del primo e di Euro 2.666,65 in favore della seconda, per aver sofferto una durata processuale eccedente quella ragionevole rispettivamente di cinque anni e mesi due e di anni tre e mesi cinque.
La Corte territoriale evidenziò che il ristoro richiesto spettava ai predetti solo dal momento in cui essi avevano assunto la qualità di parte del processo presupposto, rispettivamente dal 15 ottobre 2003 e dal 12 luglio 2005, mentre, per il periodo precedente, essendo stato detto processo - avente ad oggetto un'azione di danno temuto per il pericolo incombente sull'edificio del quale i ricorrenti erano condomini - intentato, con ricorso dell'11 ottobre 1989, dal Condominio di ____, in persona del suo amministratore, soltanto costui avrebbe potuto richiedere il danno non patrimoniale per la durata irragionevole del processo, previa autorizzazione dell'assemblea condominiale, cosi come riconosciuto anche da talune pronunce di legittimità (Cass. n. 3396 del 2005 e Cass. n. 25981 del 2009, nonchè, analogicamente, Cass. n. 17111 del 2005). La Corte rigettò, invece, le domande di equa riparazione proposte da B., M. e M.A. quali eredi di M.S. e dalla prima in proprio. Costoro, in qualità di eredi di M.S., non avevano diritto, secondo il giudice di merito, ad alcun indennizzo, essendo il dante causa deceduto appena quattro giorni dopo il suo intervento nel giudizio presupposto, mentre nulla spettava a M.B. in proprio non essendo mai la stessa divenuta parte del giudizio presupposto, intentato, come chiarito, dal Condominio.

3. - Per la cassazione di tale decreto hanno proposto ricorso M., B. e M.A., affidando le sorti dell'impugnazione ad un unico motivo di censura, illustrato da memoria.
Con detto motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 dell'art. 12 preleggi, comma 1, degli artt. 1117 e 1131 cod. civ., singolarmente e/o in combinato disposto con l'art. 6 CEDU e artt. 10 e 117 Cost., in quanto la Corte territoriale avrebbe errato nel non considerare parti del processo presupposto i ricorrenti, in proprio o iure successionis, sul presupposto che lo stesso era stato intentato da Condominio di cui essi stessi erano condomini, cosi interpretando il citato L. n. 89 del 2001, art. 2 in modo illegittimamente riduttivo, nel senso di dar rilievo soltanto alla parte formale e non già a quella sostanziale, come era da considerarsi il condomino rispetto al Condominio, privo di soggettività giuridica e soltanto ente di gestione delle cose comuni.
Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

4. - La Sezione Sesta - 1 civile della Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 21062 depositata il 27 novembre 2012, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per la eventuale assegnazione del ricorso a queste Sezioni Unite. Il Primo Presidente ha disposto in tal senso.
Le parti hanno depositato memorie.

Motivazione

1. - Il ricorso pone la questione relativa alla legittimazione dei singoli condomini ad agire in giudizio per far valere il diritto alla equa riparazione per la durata irragionevole del processo presupposto intentato dal Condominio, in persona dell'amministratore, del quale i condomini stessi non siano stati parti.

1.1. - Al riguardo, l'ordinanza interlocutoria n. 21062/2012 rileva che questa Corte, con sentenze della Prima sezione civile n. 22558 del 23 ottobre 2009, n. 21322 del 14 ottobre 2011 e n. 21461 del 17 ottobre 2011, nell'affermare il difetto di potere rappresentativo in capo all'amministratore del condominio in ordine al diritto fatto valere in giudizio concernente l'equo indennizzo ai sensi della L. n. 89 del 2001, ha osservato, anzitutto, che il condominio è privo di personalità giuridica in quanto unicamente ente di gestione delle cose comuni e l'amministratore può agire in virtù della sola Delib. assembleare anche non totalitaria a tutela della gestione delle stesse mentre, per quanto concerne i diritti che i condomini vantano unicamente uti singuli, è necessario lo specifico mandato da parte di tutti i condomini (mandato che, nella fattispecie oggetto dell'allora cognizione, è risultato essere insussistente).
In base a siffatta premessa si è quindi ritenuto non esservi dubbio sul fatto che il diritto all'equo indennizzo per la irragionevole durata di un processo non spetti all'ente condominiale, che è preposto unicamente alla gestione della cosa comune, in quanto l'eventuale patema d'animo conseguente alla pendenza del processo incide unicamente sui condomini che quindi sono titolari uti singuli del diritto a risarcimento.

1.2. - Si tratta di indirizzo che, al fondo, è permeato dei contenuti di quella giurisprudenza che ha avuto modo di affermare che nel condominio di edifici, che costituisce un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, l'esistenza dell'organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, nè, quindi, del potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall'amministratore e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio (v., tra le altre, Cass., 4 luglio 2001, n. 9033; si veda anche Cass., 16 maggio 2002, n. 7119, per cui il singolo condomino deve sempre considerarsi parte nella controversia tra il Condominio e altri soggetti, anche se rappresentato ex mandato dell'amministratore: principio, codesto, enunciato, significativamente, in una controversia tra un Condominio ed un soggetto che asseriva di aver svolto attività di portiere, essendosi riconosciuto, ai fini della competenza territoriale ex art. 30-bis cod. proc. civ., come "parte" nel processo un giudice condomino del suddetto Condominio).
Tuttavia, precisa la predetta ordinanza interlocutoria, detto orientamento trova specificazione nella posizione, anch'essa fatta propria da una consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., 4 maggio 2005, n. 9213; Cass., 19 ottobre 2010, n. 21444; Cass., 21 settembre 2011, n. 19223), secondo cui il principio di diritto anzidetto non trova applicazione relativamente alle controversie che, avendo ad oggetto non diritti su un servizio comune ma la sua gestione, sono intese a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale o l'esazione delle somme dovute in relazione a tale gestione da ciascun condomino; pertanto, poichè in tali controversie non vi è correlazione immediata con l'interesse esclusivo di uno o più partecipanti, bensì con un interesse direttamente collettivo e solo mediatamente individuale a funzionamento e al finanziamento corretti dei servizi stessi, la legittimazione ad agire e ad impugnare spetta esclusivamente all'amministratore, sicchè la mancata impugnazione della sentenza da parte di quest'ultimo esclude la possibilità per il condomino di impugnarla.

1.3. - L'enunciato principio di esclusività della titolarità del diritto all'equa riparazione in capo ai condomini uti singoli è contrastato da altro indirizzo, che invece ammette la legittimazione del Condominio ad agire in base alla L. n. 89 del 2001. Di siffatto ultimo indirizzo (in relazione alla fattispecie propria del Condominio) sono espressione, segnatamente, Cass., 18 febbraio 2005, n. 3396, Cass., 24 novembre 2005, n. 24841 e Cass., 17 aprile 2008, n. 10084, le quali adducono a sostegno della propria tesi la posizione assunta dalla giurisprudenza della Corte EDU (si veda, in particolare, sebbene in dette pronuncia non sia esplicitamente citata, la sentenza Comingersoll SA c. Portugal, del 6 aprile 2000, secondo cui anche per le persone giuridiche (e, più in generale, per i soggetti collettivi) il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, è ..., e non diversamente da quanto avviene per gli individui persone fisiche, conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri. La richiamata ordinanza interlocutoria precisa, peraltro, che la citata Cass. n. 10084 del 2008 (seguita poi da Cass., 11 dicembre 2009, n. 25981) esclude che in capo all'amministratore del Condominio, in difetto di mandato assembleare, sussista il potere di intraprendere azioni non conservative quale quella relativa al diritto all'equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, il quale è ancorato all'accertamento della violazione dell'art. 6 della Convenzione CEDU, e cioè di un evento autonomo e diverso da quello oggetto del giudizio presupposto, ex se lesivo di un diritto della persona alla definizione di detti procedimenti in una durata ragionevole, ed avente per oggetto un indennizzo per il pregiudizio sofferto dal soggetto per il periodo eccedente tale durata.

1.4. - Il principio della spettanza ai soggetti collettivi del danno non patrimoniale da durata irragionevole del giudizio si è andato consolidando nella giurisprudenza di questa Corte con specifico riferimento alle società, sìa di capitali (Cass., 22 dicembre 2004, n. 23789; Cass., 23 agosto 2005, n. 17111; Cass., 12 luglio 2011, n. 15250; Cass., 8 maggio 2012, n. 7024), che di persone (Cass., 10 aprile 2003, n. 5664; Cass. 30 settembre 2004, n. 19647; Cass., 16 febbraio 2005, n. 3118; Cass., 2 febbraio 2007, n. 2246; Cass., 14 maggio 2010, n. 11761). La medesima giurisprudenza appena richiamata ha, peraltro, puntualizzato che il diritto alla trattazione delle cause entro un termine ragionevole è riconosciuto dall'art. 6, p. 1, della Convenzione, specificamente richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 solo con riferimento alle cause "proprie" e, quindi, esclusivamente in favore delle "parti" della causa nel cui ambito si assume avvenuta la violazione e non anche di soggetti che siano ad essa rimasti estranei, essendo irrilevante, ai fini della legittimazione, che questi ultimi possano aver patito indirettamente dei danni dal protrarsi del processo; ciò al fine di escludere detto diritto in capo ai soci che non siano stati parti del giudizio al quale abbia partecipato soltanto la società (di capitali o di persone).

1.5. - Analoga affermazione di principio ha regolato fattispecie diverse dalle anzidette, ma che presentavano la comune peculiarità della richiesta del danno non patrimoniale da parte di soggetto non altrimenti partecipe al giudizio presupposto; trattasi, segnatamente, del caso dell'erede che voglia far valere iure proprio il diritto all'indennizzo per irragionevole durata del giudizio presupposto intentato dal dante causa, che può conseguire soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte; non assume, infatti, alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall'art. 110 cod. proc. civ., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull'automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparazione a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l'interesse alla sua rapida conclusione (Cass., 23 giugno 2011, n. 13803; Cass., 4 novembre 2009, n. 23416; Cass., 7 febbraio 2008, n. 2983; Cass., 13 dicembre 2006, n. 26686). Analogamente è da dirsi quanto alla posizione della persona offesa dal reato, che al fine di conseguire il risarcimento del danno, si sia costituita parte civile nel processo penale, ha diritto alla ragionevole durata del processo, con le connesse conseguenze indennitarie in caso di violazione, soltanto dal momento di detta costituzione, mentre non rileva la precedente durata del procedimento (Cass., 3 aprile 2012, n. 5294; Cass., 29 aprile 2010, n. 10303; Cass., 10 febbraio 2006, n. 2969; Cass., 29 settembre 2005, n. 19032). Nella stessa ottica si colloca anche la posizione del minorenne, al quale spetta il danno non patrimoniale ex lege per la sua partecipazione al processo presupposto debitamente rappresentato, fino al momento della maggiore età, al raggiungimento della quale, avendo acquistato il libero esercizio dei propri diritti ed avendo la facoltà di costituirsi nel processo quale parte autonoma, lo stesso soggetto perde da tale momento detto diritto, ove a ciò non abbia provveduto (Cass., 23 maggio 2011, n. 11338).

2.1. - Secondo la concezione tradizionale, per condominio negli edifici dovrebbe intendersi sic et simpliciter la "proprietà comune" di alcune parti dell'edificio, poste a servizio di altre parti dell'edificio (i piani o le porzioni di piano: ossia, normalmente, gli appartamenti) e a queste ultime legate da un rapporto necessario e perpetuo di accessorietà e di complementarietà a senso unico.
Così configurato, il condominio si risolve in una comunione meramente strumentale rispetto all'esercizio dei singoli diritti di proprietà esclusiva sui diversi appartamenti: i quali, dal canto loro, seguirebbero "un proprio destino individuale e autonomo", al di fuori della disciplina speciale del condominio e in armonia con la definizione generale della proprietà come diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo (art. 832 cod. civ.).
In dottrina però si è delineata anche un'altra definizione, più ampia, di condominio negli edifici come "situazione mista, di comproprietà e di concorso di proprietà solitarie": l'una legata alle altre da un intimo nesso di reciproca complementarietà e funzionalità. Con lo straordinario diffondersi dei fenomeno, è emerso sempre più chiaramente che, se la comproprietà delle parti comuni dell'edificio è funzionale alle proprietà solitarie degli appartamenti, queste ultime a loro volta vanno incontro, nel loro esercizio da parte dei singoli condomini, a una serie di limiti diversi da quelli ricordati in termini generali dall'art. 832 cod. civ. e desumibili, direttamente o indirettamente, dai principi espressi dalla normativa speciale sul condominio: limiti che, così come sono stati enucleati in concreto dalla giurisprudenza, rispondono all'esigenza di rendere funzionale l'esercizio della proprietà sui singoli appartamenti con la destinazione delle parti comuni dell'edificio a una utilizzazione collettiva e conforme alle caratteristiche naturali dell'edificio stesso. Pertanto, secondo una parte della dottrina, il condominio si configura come una struttura organizzativa che riproduce, sia pure in embrione, il modello tipico delle associazioni, provvedendo a un'attività di gestione che, in quanto affidata a organi dotati ex lege di poteri essenzialmente inderogabili (art. 1138 c.c., comma 4), tende ad attribuire all'interesse del condominio una rilevanza oggettiva, distinguendolo dagli interessi soggettivi dei singoli condomini.

2.2. - Per evidenziare la tendenziale "oggettivizzazione" di un interesse proprio del condominio, la giurisprudenza suole definire quest'ultimo come "ente di gestione", sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli partecipanti. La definizione, pur efficace, rischia però di ingenerare equivoci circa la possibilità di attribuire al condominio una soggettività paragonabile a quella correttamente ricollegata agli enti collettivi non riconosciuti come persone giuridiche. Un indirizzo minoritario della dottrina riconosce al condominio la personalità giuridica riconducendo il rapporto anzidetto nell'ambito del rapporto organico, e qualificando l'amministratore come un organo della collettività, munito di un potere di rappresentanza che discende dalla specifica funzione della quale è investito. Alla stregua di tale concezione l'ufficio dell'amministratore avrebbe carattere necessario con estensione della rappresentanza anche ai condomini dissenzienti e con facoltà di agire contro il mandante.
Tale indirizzo ha ricevuto nuova linfa dalla legge di riforma del condominio (L. 11 dicembre 2012, n. 220, recante Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici). Infatti, se è pur vero che nel corso dei lavori preparatori di tale legge si era tentato senza successo di introdurre la previsione espressa del riconoscimento della personalità giuridica del condominio, e che l'art. 1139 cod. civ. rinvia, per quanto non espressamente previsto, alle norme in tema di comunione, per contro, è da sottolineare l'obbligo dell'amministratore, posto dall'art. 1129, comma 12, n. 4, nella formulazione risultante dalle modifiche apportate dalla citata L. n. 220 del 2012, art. 9 di tenere distinta la gestione del patrimonio del condominio e il patrimonio personale suo o di altri condomini, così come la costituzione di un fondo speciale, prevista dall'art. 1135 c.c., n. 4, come sostituito dall'art. 13 della cit. legge, e, soprattutto, la previsione, di cui all'art. 2659 cod. civ., comma 1 come riformulato dall'art. 17 della cit. stessa, in tema di note di trascrizione, secondo la quale, per i condomini è necessario indicare l'eventuale denominazione, l'ubicazione e il codice fiscale.
Ebbene, se pure non è sufficiente che una pluralità di persone sia contitolare di beni destinati ad uno scopo perchè sia configurabile la personalità giuridica (si pensi al patrimonio familiare o alla comunione tra coniugi), e se dalle altre disposizioni in tema di condominio non è desumibile il riconoscimento della personalità giuridica in favore dello stesso, riconoscimento dapprima voluto ma poi escluso in sede di stesura finale della L. n. 220 del 2012, tuttavia non possono ignorarsi gli elementi sopra indicati, che vanno nella direzione della progressiva configurabilità in capo al condominio di una sia pure attenuata personalità giuridica, e comunque sicuramente, in atto, di una soggettività giuridica autonoma.

3. - Dalla concezione del condominio come ente sprovvisto di personalità giuridica, discende la qualificazione dell'amministratore come mandatario, con conseguente configurabilità nel rapporto tra lo stesso ed i condomini di una rappresentanza volontaria conseguente ad un mandato collettivo. Nei limiti di tali attribuzioni, o dei maggiori poteri eventualmente conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, egli ha la "rappresentanza" dei condomini e può stare in giudizio sia per essi contro terzi sia contro alcuno di essi per tutti gli altri (art. 1131, commi 1 e 2).
3.1. - Ma la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il singolo condomino debba sempre considerarsi parte nella controversia tra i condominio e altri soggetti, anche se rappresentato ex mandato dell'amministratore: ciò proprio nella prospettazione della mancanza di soggettività del condominio. Così, in una controversia tra un condominio ed un soggetto che asseriva di aver svolto attività di portiere, la Corte ha ritenuto, ai fini della competenza territoriale ex art. 30-bis cod. proc. civ., "parte" nel processo un giudice condomino del suddetto condominio (Cass., sent. n. 7119 del o 2002).
Si legge nella motivazione di Cass. sent. n. 9213 del 2005 che, essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, l'esistenza dell'organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa dei diritti connessi alla detta partecipazione, nè, quindi, del potere di intervenire nel giudizio per il quale tale difesa sia stata legittimamente assunta dall'amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti dell'amministratore stesso che non l'abbia impugnata.
Tale principio, affermato in materia di controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota di ciascun condomino in ordine alle parti comuni, o lato sensu tali, od esclusivo sulla singola unità immobiliare, o anche personali, ove incidenti in maniera immediata e diretti sui loro diritti, non trova applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto non i diritti su di un servizio comune, bensì la gestione di esso, ed intese, dunque, a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale, o l'esazione delle somme dovute in relazione a tale gestione da ciascun condomino, nelle quali non vi è correlazione immediata con l'interesse esclusivo d'uno o più partecipanti, bensì con un interesse direttamente collettivo e solo mediamente individuale al funzionamento ed al finanziamento corretti dei servizi stessi, onde in tali controversie la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all'amministratore, la mancata impugnazione della sentenza da parte del quale esclude la possibilità d'impugnazione da parte del singolo condomino (cfr. Cass. civ., Sez. 2, n. 6480 del 3 luglio 1998; n. 8257 del 29 agosto 1997).

3.2. - La predetta impostazione, che considera il condomino sempre parte nella controversia tra il condominio e gli altri soggetti entra in crisi ove ci soffermi sulla autonomia del condominio come centro di imputazione di interessi, di diritti e doveri, cui corrisponde una piena capacità processuale. In tal caso, infatti, se il condominio - e cioè l'amministratore sulla base della Delib. autorizzativa dell'assemblea salvo che si tratti di azione collegata al potere del primo di esercitare gli atti conservativi sui beni di proprietà comune del condominio - il singolo condomino può essere considerato "parte" in quel processo solo se vi intervenga.

4. - Per quanto concerne, poi, specificamente le controversie L. n. 89 del 2001, art. 2 deve aggiungersi che il diritto alla trattazione delle cause entro un termine ragionevole è riconosciuto dall'art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, specificatamente richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 solo in relazione alle cause proprie e quindi esclusivamente in favore delle parti della causa nel cui ambito si assume avvenuta la violazione e non anche in favore dei soggetti che siano ad essa rimasti estranei (v. Cass., sent. n. 23173 del 2012). Al riguardo, si è sottolineato che il pregiudizio risarcibile si ricollega non alla situazione soggettiva che costituisce l'oggetto del processo presupposto, ma alle sofferenze correlate alla protrazione ingiustificata dello stesso; in tale ambito appare imprenscindibile la partecipazione a tale causa, che, per altro, soprattutto nel giudizio civile, è sempre sorretta da un interesse non di mero fatto, ma giuridico, che sussiste anche in relazione al c.d. intervento adesivo o dipendente (Cass., sent. n. 23173, cit.).
Secondo la dottrina la risarcibilità del danno morale resta ancorata saldamente alla qualità di parte processuale, pena la possibile duplicazione dei risarcimenti, come ritenuto da quella giurisprudenza che giudica irrilevante il disagio patito dai soci o dall'amministratore della società, anche se ai limitati effetti dell'accoglimento della ulteriore pretesa di indennizzo da questi azionata in proprio. Il che deve naturalmente valere anche per i soci delle società di persone le quali, pur essendo prive di personalità giuridica, costituiscono un autonomo centro di imputazione soggettiva di rapporti giuridici, anche agli effetti della Legge Pinto (v. Cass., sent. n. 3118 del 2005).

4.1.- Ne consegue che il singolo condominio non può essere ritenuto parte qualora sia rappresentato dall'amministratore. Sicchè, posto che comunque, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 anche per le persone giuridiche e i soggetti collettivi il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, è, non diversamente da quanto avviene per gli individui persone fisiche, conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri (v., ex plurimis, Cass., sent. n. 13986 del 2013), deve, perciò, da un lato, ammettersi la legittimazione del condominio ad agire in base alla legge, sia pure solo in presenza di mandato assembleare, non sussistendo in capo all'amministratore il potere di intraprendere azioni non conservative quale quella relativa al diritto all'equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001.

4.2. - Per altro verso, ed in particolare per ciò che maggiormente rileva ai fini della soluzione della presente controversia, deve escludersi che il singolo condominio che non sia stato parte in senso formale nei processo presupposto sia legittimato ad agire per la equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo ex L. n. 89 del 2001.
Siffatta soluzione è, del resto, coerente - come segnalato anche nella ordinanza interlocutoria n. 21062 del 2012 - con gli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità con riferimento al caso dell'erede che voglia far valere iure proprio il diritto all'indennizzo, in relazione al quale si è affermato che ciò può avvenire solo per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, quegli abbia assunto a sua volta la qualità di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della stessa posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall'art. 110 cod. proc. civ., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull'automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo ha ricevuto danni patrimoniali e non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione in relazione al concreto patema subito, che presuppone la conoscenza del processo e l'interesse alla sua rapida conclusione (v. Cass.; sent. n. 13803 del 2011). Analogo discorso deve farsi anche con riferimento alla posizione della persona offesa dal reato, che, al fine di conseguire il risarcimento del danno, si sia costituita parte civile nel processo penale, e che ha diritto alla equa riparazione soltanto dal momento di detta costituzione, mentre non rileva la precedente durata del procedimento (Cass., sent. n. 5294 del 2012).
Parimenti, al minorenne spetta il danno non patrimoniale ex lege per la sua partecipazione al processo presupposto "debitamente rappresentato, fino al momento della maggiore età, al raggiungimento della quale, avendo acquistato il libero esercizio dei propri diritti ed avendo la facoltà di costituirsi nel processo quale parte autonoma, lo stesso soggetto perde detto diritto, ove a ciò non abbia provveduto" (Cass., sent. n. 11338 del 2011).

4.3. - Mette conto, infine, richiamare sul punto, ad ulteriore suffragio della tesi qui accolta, la sentenza di queste Sezioni Unite n. 6072 del 2013, con la quale è stata risolta in senso negativo la questione della legittimazione degli ex soci di società che, parte in un giudizio di durata irragionevole, volontariamente si sia cancellata dal registro delle imprese senza aver agito per l'accertamento e la liquidazione del diritto all'equo indennizzo, a succedere alla società estinta nella titolarità del credito indennitario. In tale pronuncia si è rilevato che il credito oggetto del processo presupposto, sorto originariamente in capo alla società, che era parte di detto giudizio lungamente protrattosi, risultava controverso e perciò richiedeva l'accertamento e la liquidazione nel momento in cui la società aveva deciso di farsi cancellare dal registro delle imprese: siffatta scelta aveva implicato la tacita rinuncia della società al credito in questione, manifestandosi incompatibile con la volontà di pervenire al concreto accertamento ed alla liquidazione del credito stesso, per poter poi provvedere all'eventuale ripartizione del ricavato tra i soci.

5. - Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, alla luce del seguente principio di diritto: Nel caso di giudizio intentato dal Condominio e del quale, pur trattandosi di diritti connessi alla partecipazione di singoli condomini al condominio, costoro non siano stati parti, spetta esclusivamente al Condominio, in persona del suo amministratore, a ciò autorizzato da Delib. assembleare, far valere il diritto alla equa riparazione per la durata irragionevole di detto giudizio.

Nella novità e complessità della questione le ragioni della compensazione delle spese del giudizio.

PQM

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Dispone la compensazione integrale tra le parti delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 24 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2014


 

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