REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRANCO Amedeo - Presidente -
Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere -
Dott. GENTILI Andrea - Consigliere -
Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere -
Dott. ANDRONIO Alessandro Mario - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
sentenza
sul ricorso proposto da:
- H.J.;
avverso la sentenza del Tribunale di BOLZANO - sez. dist. BRUNICO in data 5 25/06/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

Svolgimento del processo

1. - H.J. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di BOLZANO - sez. dist. BRUNICO del 25/06/2013 che l'ha ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 110 c.p., D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 212, e art. 256, comma 1, lett. a), per non essersi avvalso delle prestazioni di imprese esercenti servizi di smaltimento regolarmente autorizzate, in particolare cedendo gratuitamente, quale titolare dell'omonima officina, rifiuti non pericolosi costituiti da materiale ferroso (marmitte ed altro), a soggetto non iscritto all'Albo gestori e sprovvisto di autorizzazione all'esercizio dell'attività in forma ambulante (fatto contestato come commesso in data _____).

2. Con l'atto di appello, erroneamente proposto dal difensore fiduciario avverso sentenza inappellabile (l'imputato è stato condannato alla sola pena dell'ammenda) e quindi trasmesso per competenza a questa Corte, vengono dedotti due motivi: a) erronea applicazione della legge penale, in quanto il materiale ferroso ceduto non costruirebbe rifiuto, con conseguente violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 183, 212 3 256, (l'imputato si duole per aver il giudice di merito ritenuto che la cessione gratuita dei tubi di scarico e del blocco motore all'abusivo raccoglitore non rientrassero nella nozione di "disfarsi" cui si riferisce la definizione di rifiuto; sarebbe poi tautologica l'affermazione del giudice secondo cui tale materiale costituiva rifiuto trattandosi di oggetti di cui il detentore si era disfatto, in quanto secondo tale interpretazione tutti i beni ceduti gratuitamente, anche riutilizzabili, dovrebbero considerarsi rifiuti; non sarebbe poi condivisibile l'affermazione secondo cui non troverebbe applicazione nel caso in esame il Reg. UE n. 33/11 del 31 marzo 2011, vigente dal 9 ottobre 2011, atteso che detto regolamento stabilisce che i rottami di ferro cessano di essere considerati rifiuti, sicchè trattandosi di norma penale più favorevole, le disposizioni sarebbero retroattive e quindi escluderebbero la sussistenza del fatto; non sarebbe sul punto corretta l'affermazione del giudice di merito secondo cui non sarebbero state rispettate le prescrizioni aggiuntive di cui agli artt. 5 e 6 del predetto Regolamento, in quanto le norme regolamentari sono finalizzate a favorire il recupero dei rottami di ferro ed acciaio, sottraendo detti rottami dalla disciplina dei rifiuti); b) erronea valutazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato (il fatto non sarebbe ascrivibile nemmeno a titolo di colpa all'imputato, in quanto, non essendo la prima volta che questi cedeva gratuitamente a terzi alcuni scarti della sua attività per essere riutilizzati, questi non si sarebbe stupito dalla richiesta del raccoglitore, regalandogli il materiale; la cessione gratuita al terzo che aveva riferito di riutilizzare il materiale non integrerebbe reato, tanto più che l'imputato non ricava nessun utile economico dalla cessione del rifiuto, atteso che anche se avesse consegnato il materiale ad un raccoglitore autorizzato, non avrebbe dovuto corrispondere alcunchè).

3. Con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte in data 21/09/2015, il difensore ha poi sviluppato quattro motivi nuovi, due dei quali, il primo ed il secondo, risultano sostanzialmente sovrapponibili ai corrispondenti primi due motivi del ricorso originario (denunciando, con il primo motivo aggiunto, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), per l'inosservanza e l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 212 e 256, in combinato disposto con l'art. 3 Reg. UE n. 33/2011 e dell'art. 2 c.p., non potendo qualificarsi rifiuti i materiali ceduti e, con il secondo motivo aggiunto, deducendo il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo dell'inosservanza ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 212, e art. 256, comma 1, lett. a), e degli artt. 192 e 533 c.p.p., e correlati vizi motivazionali, quanto alla mancata valutazione dell'insussistenza dell'elemento psicologico del reato); quanto agli altri due motivi, con il terzo motivo aggiunto, la difesa deduce il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, affermando che nel caso di specie si sarebbe trattato di una condotta assolutamente occasionale, in quanto unica in un contesto di regolare vita individuale e sociale di un uomo incensurato, di regola uso a consegnare a ditte specializzate per lo smaltimento i rifiuti speciali prodotti nell'ambito della sua professione; con il quarto ed ultimo motivo aggiunto, infine, chiede applicarsi ex art. 609 c.p.p., comma 2, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p., rilevando la sussistenza delle condizioni di legge, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte.

Motivazione

4. L'appello, da qualificarsi come ricorso per cassazione, essendo esaminabili da questa Corte le doglianze in quanto contenenti censure di legittimità, è fondato solo nella parte in cui chiede valutarsi l'applicabilità del disposto dell'art. 131 bis c.p.

5. Ed invero, per quanto concerne gli ulteriori profili, deve evidenziarsi come la decisione impugnata chiarisce, con motivazione assolutamente corretta in diritto e coerente sotto il profilo logico - argomentativo, le ragioni per le quali il fatto contestato doveva considerarsi correttamente qualificato; in particolare, emerge che l'imputato, titolare di un'autofficina, aveva consegnato gratuitamente al coimputato D. un blocco motore e diversi tubi di scarico di auto fuori uso, senza preventivamente verificare se questi fosse o meno iscritto all'Albo gestori, come prescritto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 212, comma 5, per effettuare l'attività di raccolta e trasporto dei rifiuti e senza essere in possesso dell'abilitazione all'esercizio dell'attività in forma ambulante D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 266, comma 5; la cessione, per come riferito dall'imputato, era avvenuta in quanto questi si sarebbe fidato delle parole del raccoglitore, che gli aveva riferito che il materiale sarebbe stato reimpiegato nell'esecuzione di varie opere che intendeva realizzare, quali non meglio specificati interventi di saldatura, stabilizzazione, di un parapetto, di una ruota a vento, etc; premesso ciò in fatti, il giudice: a) aveva ritenuto integrata l'ipotesi di reato contestata, sia per la natura di rifiuto del ferro vecchio ceduto, essendo evidente che questi aveva la volontà di disfarsene; b) aveva escluso l'applicabilità del Reg. UE n. 333/11, sia perchè entrato in vigore nell'ottobre 2011 in data successiva al fatto, sia perchè non sarebbero state rispettate comunque le prescrizioni di cui agli artt. 3 e 5 del predetto Regolamento (dichiarazione di conformità e gestione di qualità); c) aveva infine escluso la buona fede dell'imputato, sia perchè era al medesimo chiaro che il materiale non sarebbe stato avviato dal raccoglitore al regolare smaltimento, sia perchè i vari moduli di identificazione dei rifiuti prodotti dalla difesa al fine di dimostrare di regola la cessione a soggetti autorizzati alla raccolta, di rifiuti speciali prodotti o meno dall'imputato dimostravano che l'imputato fosse ben conscio degli obblighi di legge sul medesimo gravanti, non potendo quindi sostenersi che la cessione del ferro vecchio al soggetto non autorizzato alla raccolta fosse pienamente lecita, avendogli quest'ultimo dichiarato di volerlo riutilizzare e non a sua volta disfarsene.

6. A fronte di tale apparato argomentativo, del tutto coerente con le emergenze processuali e giuridicamente corretto quanto alla disciplina applicabile, l'imputato ha dedotto censure prive di pregio.

6.1. Ed invero, quanto alla esclusione della natura di rifiuto del materiale ferroso ceduto, lo stesso ricorrente nel primo motivo di appello originario, ammette - come del resto si legge in sentenza - che questi era solito consegnare "alle ditte specializzate per lo smaltimento i rifiuti speciali prodotti nell'ambito della sua professione" (v. pag. 3 atto di appello), sicchè è lo stesso imputato a descrivere il materiale in questione come rifiuto; la circostanza, poi, che il materiale fosse stato ceduto gratuitamente a soggetto autorizzato, fidandosi della dichiarazione che lo avrebbe riutilizzato è motivo al limite dell'inammissibilità in quanto scade in deduzioni di mero fatto ed, è comunque, giuridicamente priva di pregio quanto alla presunta mancanza dell'elemento psicologico, posto che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di gestione dei rifiuti, l'affidamento di rifiuti a soggetti terzi al fine del loro smaltimento comporta per il soggetto che li conferisce precisi obblighi di accertamento (in particolare, la verifica sia dell'affidabilità del terzo che dell'esistenza in capo al medesimo delle necessarie autorizzazioni e competenze per l'espletamento dell'incarico), la cui violazione giustifica l'affermazione della responsabilità penale per il mancato controllo a titolo di "culpa in eligendo" (v., da ultimo: Sez. 3, n. 6101 del 19/12/2007 - dep. 07/02/2008, Cestaro, Rv. 238991).

6.2. Quanto, poi, alla censura secondo cui nel caso in esame sarebbe applicabile il regime introdotto dal Reg. UE n. 333 del 2011, è sufficiente a destituire di fondamento il relativo motivo, richiamare quanto già recentemente affermato da questa Corte, nel senso che in materia di rifiuti, l'entrata in vigore del regolamento UE' del 31 marzo 2011, n. 333 - recante i criteri che determinano quando alcuni tipi di rottami metallici possono cessare di essere considerati rifiuti - non determina il venir meno della rilevanza penale delle precedenti condotte di abusiva gestione, in quanto la perdita della qualità di rifiuto deriva non solo dalla natura, consistenza e trattamento dei rottami, ma anche dal rispetto delle prescrizioni e dal positivo esito delle procedure preliminari previste dalla disciplina comunitaria la cui attuazione può trovare applicazione solo per il futuro (Sez. 3, n. 43430 del 10/06/2014 - dep. 17/10/2014, Paolini, Rv. 260975); nel caso in esame, pertanto, la circostanza che i fatti siano antecedenti all'entrata in vigore del predetto Reg. UE' e che, comunque, non fossero state rispettate le prescrizioni di cui agli artt. 5 e 6 del Regolamento medesimo, rende privo di pregio il motivo di ricorso.

6.3. Quanto, poi, al rilievo, contenuto nel terzo motivo aggiunto, secondo cui il fatto non sarebbe stato penalmente perseguibile attesa l'occasionalità della condotta, si tratta di censura manifestamente infondata, atteso che è contestato nel caso in esame il concorso nell'attività di gestione abusiva dell'attività di raccolta dei rifiuti posta in essere dal terzo cessionario, reato per il quale questa Corte ha più volte ribadito che ai fini della configurabilità del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), è sufficiente anche una sola condotta di trasporto non autorizzato di rifiuti da parte dell'impresa che li produce (Sez. 3, n. 8979 del 02/10/2014 - dep. 02/03/2015, Pmt in proc. Cristinzio e altro, Rv. 262514); del resto, si osserva, la previsione sanzionatoria di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, non differenzia a seconda dell'occasionalità o meno dell'atto di gestione abusiva (nella specie, l'aver consegnato il rifiuto speciale a titolo gratuito ad un raccoglitore abusivo), donde anche chi consegna occasionalmente ad un soggetto non autorizzato rifiuti speciali ricade nel campo di applicazione della norma in esame; il principio affermato dalla sentenza di questa Corte richiamata dal ricorrente, del resto, è stato erroneamente inteso, avendo invero questa Corte sì affermato che la condotta sanzionata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, è riferibile a chiunque svolga una attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli artt. 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216, del medesimo decreto, svolta anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all'esercizio di una attività primaria diversa che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità, ma precisando che ciò è riferibile a chiunque detta attività svolga abusivamente (ossia, in assenza del prescritto titolo abilitativo), laddove, diversamente, nel caso in esame, viene in rilievo il concorso del detentore del rifiuto nell'attività abusiva di raccolta e trasporto rifiuti da terzi svolta per essersi avvalso il primo della prestazione di un'impresa esercente servizio di smaltimento regolarmente autorizzata. Ed è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che colui che conferisce i propri rifiuti a soggetti terzi per il recupero o lo smaltimento ha il dovere di accertare che questi ultimi siano debitamente autorizzati allo svolgimento delle operazioni, con la conseguenza che l'inosservanza di tale regola di cautela imprenditoriale è idonea a configurare la responsabilità per il reato di illecita gestione di rifiuti in concorso con coloro che li hanno ricevuti in assenza del prescritto titolo abilitativo (Sez. 3, n. 29727 del 04/06/2013 - dep. 11/07/2013, Amadardo e altri, Rv. 255876, relativa a fattispecie - identica a quella in esame - nella quale è stata ritenuta la responsabilità del produttore dei rifiuti che aveva fatto colpevole affidamento sulle sole rassicurazioni verbali del trasportatore di avere regolare autorizzazione allo svolgimento dell'attività; in senso conforme: Sez. 3, n. 18038 del 27/03/2007 - dep. 11/05/2007, Angelillo e altri, Rv. 236499).

7. A diverso approdo deve invece pervenirsi quanto alla richiesta di valutare la sussistenza della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto. Ed invero, dalla lettura dell'impugnata sentenza emerge effettivamente che il primo giudice ha ritenuto concedibili all'imputato le circostanze attenuanti generiche, ha valutato lo stato di incensuratezza, ha concesso i doppi benefici di legge, ha dato atto che il materiale era stato smaltito dall'imputato nelle forme di legge dopo essergli stato riconsegnato dai carabinieri, ha sostanzialmente escluso che si trattasse di comportamento abituale nel momento in cui ha riconosciuto che l'imputato conduceva apparentemente una regolare vita individuale e sociale, anche in considerazione dell'assenza dei precedenti. Va, infine, rilevato che il reato per cui si procede rientra nei limiti di pena indicati dal nuovo art. 131 bis c.p..
L'istanza è ammissibile in quanto il ricorrente ha enunciato specificamente gli elementi dai quali si debba desumere la particolare tenuità del fatto e, in particolare, i seguenti: a) si tratta di contravvenzione punita con pena detentiva inferiore nel massimo a cinque anni, oltre alla pena pecuniaria; b) il comportamento addebitato all'imputato non risulta abituale; c) la minima offensività del fatto è stata ritenuta dal giudice di primo grado, che ha determinato la pena sostanzialmente nel minimo edittale, ha applicato le attenuanti generiche sia in ragione dell'incensuratezza dell'imputato sia in ragione della conduzione di un'apparente regolare vita individuale e sociale (Sez. 5, n. 20994 del 17/04/2015, Losi; Sez.5, n.20986 del 17/04/2015) e, infine, concesso i doppi benefici di legge.

Ne discende, pertanto, che - intendendo darsi continuità all'interpretazione giurisprudenziale di legittimità secondo cui l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis c.p., ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Suprema Corte può rilevare di ufficio ex art. 609 c.p.p., comma 2, la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata e, in caso di valutazione positiva, deve annullare la sentenza con rinvio al giudice di merito (Sez. 3, n. 15449 del 08/04/2015 - dep. 15/04/2015, Mazzarotto, Rv. 263308) -, nel caso concreto s'imponga l'annullamento della decisione impugnata in ragione della sopravvenuta disciplina più favorevole. La motivazione offerta dal giudice di merito, valutata unitamente all'applicazione della pena in misura pari sostanzialmente al minimo edittale (a fronte di una pena edittale dell'ammenda da duemilaseicento Euro a ventiseimila Euro, se si tratta di rifiuti non pericolosi, come nel caso in esame, il giudice ha determinato la p.b. in Euro 2700,00 di ammenda), nel concorso degli altri presupposti di legge concernenti la pena edittale e l'abitualità, rappresentano indici significativi, nel senso della possibile sussunzione del fatto nell'ipotesi di particolare tenuità, che dovranno essere valutati dal giudice del rinvio.

8. Conclusivamente, rigettato il ricorso nel resto, la sentenza va annullata limitatamente alla verifica delle condizioni di applicabilità dell'art. 131 bis c.p., con rinvio al tribunale di BOLZANO, altro giudice, per nuovo esame.

PQM

La Corte annulla la sentenza impugnata, limitatamente all'applicabilità dell'art. 131 bis c.p., con rinvio al tribunale di BOLZANO, altro giudice.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, nella sede della Suprema Corte di Cassazione, il 7 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2015


 

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