REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIANDANESE Franco - Presidente -
Dott. TADDEI M. - Consigliere -
Dott. ALMA Marco - Consigliere -
Dott. CARRELLI PALOMBI Roberto - Consigliere -
Dott. RECCHIONE Sandra - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
L.L.G.;
avverso la sentenza n. 568/2011 CORTE APPELLO SEZ. DIST. di TARANTO, del 28/11/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/09/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Antonio Gialanella, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermava la sentenza con la quale l'imputato era stato condannato per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (ulteriormente aggravata ai sensi dell'art. 61 c.p., n. 7).
Il L.L.G. (ricorrente) veniva condannato alla pena di un anno e mesi sei di reclusione: gli si contestava di avere raggirato l'Inps inducendo l'Ente a versare le agevolazioni contributive previste in favore dei dipendenti collocati in mobilità all'esito del licenziamento collettivo, malgrado gli stessi fossero stati immediatamente riassunti da ditta solo formalmente diversa da quella che li aveva licenziati.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato che deduceva:
2.1. violazione di legge. Si deduceva che era stata illegittimamente ritenuto il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche poichè le somme contestate inquadrabili come sovvenzioni INPS non sarebbero assimilabili ai contributi, finanziamenti o mutui agevolati descritti nella fattispecie astratta prevista dall'art. 640 bis c.p..
2.2. I fatti contestati non sarebbero nemmeno inquadrabili nella fattispecie prevista dall'art. 640 c.p., in quanto il licenziamento collettivo con successiva "messa in mobilità" dei lavoratori sarebbe il frutto di una scelta imprenditoriale legittima, indotta dalla crisi aziendale.
Infine: non si rinverrebbero gli elementi richiesti dalla fattispecie astratta, assenti gli artifici ed i raggiri ed il corrispondente elemento soggettivo. Il fatto che i lavoratori messi in mobilità siano stati riassunti dal L.G. non realizzerebbe (come ritenuto dalla Corte territoriale) una ipotesi di cessione simulata di azienda, poichè tra le due imprese non ci sarebbe alcuna continuità.

2.3. In ogni caso, assente l'induzione in errore il reato ascrivibile all'imputato non sarebbe quello di truffa, ma piuttosto quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato poichè l'erogazione contestata conseguirebbe automaticamente alla richiesta mentre i controlli sarebbero intervenuti solo in un momento successivo.

Motivazione

1. Il ricorso è infondato.

1.1. La doglianza che assume la non riconducibilità delle agevolazioni contributive concesse dall'INPS in relazione ai dipendenti sottoposti alla procedura di mobilità ai contributi indicati dalla fattispecie astratta descritta dall'art. 640 bis c.p., è manifestamente infondato.
Le agevolazioni contestate non possono che inquadrarsi, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, nella nozione di "altre erogazioni comunque denominate" indicate dalla fattispecie astratta. Sotto diverso e più radicale profilo, la invocata violazione di legge non essendo stata proposta con l'atto di appello si presenta come inammissibile.

1.2. Infondata è invece la doglianza che nega la riconducibilità delle condotte contestate agli artifici e raggiri richiesti dalla fattispecie astratta della truffa aggravata di cui all'art. 640 bis c.p. e la residuale riconducibilità della condotta alla fattispecie prevista dall'art. 316 ter c.p..

In materia il collegio condivide l'orientamento secondo cui la produzione all'ente erogatore di una falsa autocertificazione finalizzata a conseguire indebitamente contributi previdenziali integra il reato di cui all'art. 316-ter c.p., anzichè quello di truffa aggravata, qualora l'ente assistenziale non venga indotto in errore, in quanto chiamato solo a prendere atto dell'esistenza dei requisiti autocertificati e non a compiere una autonoma attività di accertamento (Cass. sez. 2, n. 49642 del 17/10/2014, Rv. 261000).

Nel caso di specie, tuttavia, la condotta contestata non si limita alla presentazione di una autocertificazione, ma si sostanzia in una attività complessa che prevede il concerto tra i due imputati diretto ad organizzare il trasferimento da una azienda all'altra, al fine di lucrare agevolazioni contributive conseguenti alla cessione simulata di azienda ed al trasferimento "fittizio" dei lavoratori messi in mobilità. Si tratta di una attività complessa che si connota per la sua natura truffaldina, ovvero idonea a manipolare la realtà percepita e a trarre in inganno Inps, che si differenzia dalla mera ostensione di certificazioni non veritiere che, di regola, è alla base delle condotte inquadrate nella fattispecie astratta prevista dall'art. 316 ter c.p..

2.3. La richiamata complessità della condotta contestata (con "messa in mobilità" funzionale alla riassunzione immediata) rende infondata anche la censura che mira a svalutare l'esistenza degli elementi costitutivi della truffa. Il fittizio passaggio dei lavoratori da una azienda all'altra, con la previa messa in mobilità, risulta invece legittimamente ascritta alla fattispecie prevista dall'art. 640 bis c.p., nella misura in cui risulta univocamente mirato a lucrare i benefici Inps non dovuti. Si tratta di una condotta volta ad immutare la percezione dei dati di realtà necessari all'Inps per la valutazione della erogazione dei benefici contributivi che ha avuto come effetto sia di danneggiare l'ente pubblico (che ha concesso sgravi non dovuto) sia di produrre in capo al ricorrente il corrispondente ingiusto profitto.
La motivazione offerta sul punto dalla Corte territoriale si presenta ancorata alle emergenze processuali e priva di fratture logiche, non prestandosi ad alcuna censura in sede di legittimità.

2. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2015


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.