REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SEGRETO Antonio - Presidente -
Dott. CARLEO Giovanni - Consigliere -
Dott. D'AMICO Paolo - Consigliere -
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - rel. Consigliere -
Dott. VINCENTI Enzo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 23880/2008 proposto da:
S.M., S.S.A. , elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OSLAVIA 6, presso lo studio dell'avvocato PIERLUIGI ACQUARELLI, rappresentati e difesi dagli avvocati SOFIA FRANCESCO, GAMBIRASIO MONICA giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
COMPASS SPA, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DUILIO 13, presso lo studio dell'avvocato MANZINI RENATO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati SALAROLI STEFANO, NANNI GIUSEPPE giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1833/2007 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 27/06/2007, R.G.N. 3005/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/04/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l'Avvocato RENATO MANZINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per l'inammissibilità in subordine rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1.- S.M. e S.S.A. proposero opposizione al decreto ingiuntivo col quale il Tribunale di Milano, su ricorso di Compass S.P.A., aveva loro ingiunto il pagamento della somma di L. 31.503.519, oltre interessi convenzionali e moratori, a titolo di restituzione di un finanziamento per l'acquisto di un veicolo.
Svolte delle eccezioni in rito, gli opponenti, nel merito, dedussero l'avvenuta risoluzione del contratto di compravendita del veicolo, per inadempimento del venditore, S. Auto s.r.l., che non aveva mai consegnato l'autovettura. Sostennero che questa risoluzione avesse comportato il venir meno della causa del contratto di mutuo, da considerarsi come mutuo di scopo funzionalmente collegato al contratto di compravendita, con conseguente insussistenza dell'obbligazione restitutoria a loro carico e rimborso a carico, invece, del venditore, cui l'importo del finanziamento era stato direttamente versato.
Chiesero, pertanto, che fosse dichiarato nullo o revocato il decreto ingiuntivo. Svolsero domanda subordinata, chiedendo che, comunque, fosse dichiarato che gli interessi erano eccedenti il saggio ritenuto equo e che perciò fosse ridotta la somma dovuta.

1.1.- Si costituì Compass S.P.A., deducendo l'insussistenza di collegamento tra il finanziamento oggetto di causa e la compravendita stipulata dagli S. - Sc. con la S. Auto s.r.l., per quanto risultava dal testo del contratto di finanziamento.
Aggiunse che questo era soggetto alla disciplina del credito al consumo di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 121 e seg., e che, in base all'art. 125, comma 4, TUB, l'inadempimento del venditore non avrebbe potuto essere opposto a Compass S.P.A., poichè non vi era alcun accordo in esclusiva tra guest'ultima e la società venditrice, per la concessione del credito ai clienti.

1.2.- Con sentenza del 30 marzo 2005 il Tribunale di Milano accolse sia in rito (per ragioni qui non più rilevanti) che, nel merito, l'opposizione degli S. - Sc. e revocò il decreto ingiuntivo. Il Tribunale ritenne il collegamento negoziale tra il contratto di compravendita ed il contratto di finanziamento, qualificato come mutuo di scopo; reputò che, venuto meno il primo per mancata consegna dell'auto e successiva risoluzione del contratto, il mutuante avrebbe dovuto richiedere la restituzione della somma mutuata direttamente al venditore; dichiarò vessatoria la clausola di cui all'art. 6 del contratto di finanziamento (per la quale non potevano essere opposte a Compass S.P.A. le eccezioni relative al rapporto di compravendita), perchè comportante una limitazione della facoltà del mutuatario di opporre eccezioni, ai sensi dell'art. 1469 bis c.c., comma 3, n. 18 ; condannò la società opposta al pagamento delle spese di lite.
2.- La Compass S.P.A. ha proposto appello, chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo ed, in ogni caso, l'accertamento e la dichiarazione dell'inadempimento degli appellati all'obbligo di restituzione nascente dal contratto di finanziamento, con condanna degli stessi al pagamento della somma di Euro 16.270,21, oltre interessi.
2.1.- Gli appellati si sono costituiti chiedendo il rigetto del gravame e la conferma della sentenza di primo grado; in subordine, l'accoglimento delle domande già proposte, nell'ordine indicato nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo.
2.2.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 27 giugno 2007, la Corte d'Appello di Milano ha accolto parzialmente l'appello ed ha condannato gli appellati al pagamento in favore di Compass S.P.A. della somma di Euro 16.270,21, alla data del 31 gennaio 2001, oltre interessi al tasso legale in ragione d'anno, dal febbraio 2001 al saldo, sulla residua quota capitale di Euro 9.260,89; ha condannato gli appellati al pagamento della metà delle spese dei due gradi di giudizio, compensando tra le parti la restante metà.
La Corte ha escluso il collegamento negoziale e pertanto ha ritenuto non opponibile alla società mutuante la risoluzione del contratto di compravendita, con conseguente accoglimento della pretesa restitutoria avanzata da Compass S.P.A.
Ha, invece, accolto la domanda subordinata degli appellati relativa alla riduzione degli interessi moratori.

3.- Avverso la sentenza S.M. e S.S. A. propongono ricorso affidato ad un unico motivo.
La Compass S.P.A. si difende con controricorso.

Motivazione

1.- Con l'unico ed articolato motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 124, comma 3, e art. 10, dell'art. 1418 c.c., dell'art. 1469 bis c.c., n. 18, e degli artt. da 1362 a 1371 c.c.
Premessi i fatti, su cui si tornerà, i ricorrenti sostengono che l'operazione di finanziamento in oggetto si inquadra nell'ambito del credito al consumo, così come definito dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 121, comma 1; che il credito al consumo non è un'operazione finanziaria necessariamente finalizzata all'acquisto di beni e servizi determinati nella loro individualità, ma un genus nel quale rientrano una serie di operazioni accomunate dai caratteri indicati dalla norma citata; che tuttavia il terzo comma dell'art. 124 dello stesso decreto legislativo individua i contratti di credito al consumo che abbiano ad oggetto l'acquisto di determinati beni e servizi come una specie del più ampio genus, imponendo determinati requisiti a pena di nullità; che quindi è lo stesso legislatore a delineare un preciso e necessario collegamento -senza il quale il contratto sarebbe nullo- tra la concessione del credito e l'impiego della somma, tanto da occuparsi delle modalità del trasferimento del diritto di proprietà dei beni da acquistare con la somma finanziata; che tale impianto normativo realizza la penetrazione dell'acquisto nella causa del contratto di mutuo che vale ad integrare il collegamento funzionale con il contratto di vendita, affermato dalla giurisprudenza di legittimità e negato, invece, dalla Corte d'Appello di Milano. Aggiungono che una diversa interpretazione comporterebbe violazione dell'art. 10 dello stesso decreto legislativo poichè gli intermediari autorizzati all'esercizio del credito al consumo finirebbero col poter esercitare un'attività parallela a quella riservata alle banche.
Precisano che nel modulo a stampa predisposto dalla Compass S.P.A., il finanziamento risulta richiesto "per l'acquisto di quanto sotto specificato", vale a dire il veicolo Lancia Delta LX, identificato con la sigla del modello ed il numero di telaio e che perciò non vi potrebbero essere incertezze circa la collocazione del contratto nell'ambito dello schema legale tipizzato dal D.Lgs. n. 385 del 1993, citato art. 124, comma 3.
Svolgono quindi considerazioni consequenziali al ritenuto collegamento negoziale, ai sensi di quest'ultima norma, che comporterebbero che, avendo la Corte violato la previsione del T.U.B., non avrebbe tratto le dovute conseguenze sulla validità delle clausole di cui agli artt. 1 e 6 del contratto, da ritenersi nulle per violazione dell'art. 1418 c.c., ovvero contrarie all'art. 1469 bis c.c., n. 18.

2.- Il collegio ritiene che sia fondata la prima e pregiudiziale censura in cui il motivo si articola.
Giova premettere che sono infondate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla resistente.
In primo luogo, perchè, contrariamente a quanto sostenuto da Compass S.P.A., il motivo di ricorso è più che pertinente, in quanto colpisce il nucleo fondamentale dell'iter logico giuridico seguito dalla Corte d'Appello per addivenire alla propria decisione, vale a dire l'affermazione dell'insussistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di compravendita ed il contratto di finanziamento.
In secondo luogo, perchè, come si dirà, posizione di rilievo, ai fini dell'accoglimento del motivo di ricorso, va attribuita alla parte del contratto di finanziamento che contiene i requisiti previsti dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 124, comma 3; questa parte è riportata in ricorso in termini sufficienti a conoscerne del contenuto rilevante ai sensi di quest'ultima norma, nel rispetto dell'art. 366 c.p.c., n. 6, senza che quanto riportato sia stato contestato dalla resistente e con la possibilità di controllo assicurata dalla precisa indicazione, contenuta nel ricorso, del luogo del fascicolo di merito in cui reperire il documento.

2.1.- Peraltro, è la stessa società resistente che riconosce che, sin dalla propria costituzione nel procedimento di primo grado, ha inquadrato l'intera vicenda nella disciplina del credito al consumo, come inserita dapprima nel D.Lgs. n. 385 del 1993, e quindi nel D.Lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo), precisando che è iscritta negli elenchi degli intermediari autorizzati all'esercizio del credito al consumo e che non vi era alcun accordo di esclusiva tra la Compass S.P.A. e la S. Auto s.r.l. e che di ciò era stato informato il mutuatario. Aggiunge che la messa in mora del venditore non sarebbe mai stata provata dai signori S. - Sc. e che costoro si sarebbero "limitati ad asserire l'intervenuta risoluzione consensuale della compravendita".
2.2.- Quest'ultimo assunto non tiene conto della statuizione contenuta a chiare lettere nella sentenza impugnata, per la quale "... sulla circostanza, di fatto, che vi sia stata risoluzione del contratto di compravendita, si è formato il giudicato" (cfr. pag. 7). In mancanza di impugnazione, il dato fattuale in parola non è più contestabile.

In punto di fatto, inoltre, non sono contestate le seguenti circostanze:
- il contratto di finanziamento venne concluso mediante la sottoscrizione (dallo S., quale soggetto finanziato, e dalla Sc., quale garante), presso la sede della S. Auto s.r.l., in data 7 novembre 1996, di un modulo a stampa predisposto dalla Compass S.P.A. e contenente la richiesta di finanziamento;
- quest'ultima venne avanzata per l'acquisto di un bene determinato, cioè, per come esposto dai ricorrenti, dell'autoveicolo Lancia Delta LX descritto, con l'indicazione del numero del modello e del telaio, nello stesso contratto, nel quale venne indicato anche il prezzo di acquisto; la somma finanziata, da rimborsare in ventiquattro rate mensili, venne erogata direttamente alla società venditrice, Schiavone Auto s.r.l., impresa concessionaria della Lancia, convenzionata, anche se non in esclusiva, con la Compass S.P.A. per la concessione di credito ai propri clienti; la S. Auto s.r.l. non consegnò l'autoveicolo acquistato dallo S. e pagò le prime rate di rimborso del finanziamento, restando insolvente per il residuo, il cui pagamento venne allora richiesto da Compass S.P.A. al mutuatario S. ed alla garante Sc.

3.- Dato ciò, la questione posta dal ricorso è quella della configurazione del contratto di finanziamento e del suo inquadramento nella nozione di credito al consumo, nonchè delle conseguenze che ne derivano nel caso in cui si ritenga l'applicabilità della relativa disciplina. S'impongono due premesse.

La prima riguarda la disciplina di riferimento che, nel caso di specie, è quella, richiamata dalle parti, degli artt. 121 e seg. del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (T.U.B.). Tuttavia, nella disamina di questa, si terrà conto sia dell'intervento attuato successivamente con le previsioni del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, artt. da 40 a 43, (codice del consumo), che, sia pure a limitati fini interpretativi, dell'attuale disciplina risultante dalla sostituzione dell'intero capo II del titolo VI del T.U.B. attuata con il D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, art. 1, comma 1.
4.- La seconda riguarda gli orientamenti manifestati da questa Corte nell'esaminare casi analoghi al presente - ma non identici, per come invece erroneamente ritenuto dalla Corte d'Appello. Ed invero, questa Corte non si è mai occupata delle conseguenze dell'applicazione della disciplina sul credito al consumo, appena richiamata, bensì dell'istituto del mutuo di scopo e della sua configurazione, nei singoli casi concreti, in riferimento alla più ampia nozione del collegamento negoziale, cui lo stesso è stato ricondotto.
Pertanto, la diversità di soluzioni cui la Corte di Cassazione è pervenuta in casi apparentemente analoghi non è affatto espressione di un contrasto interno, sia pure diacronico, come sembra ritenere il giudice a quo (che ha reputato di non poter dare seguito al precedente di cui a Cass. n. 5966/01, accordando la propria preferenza alla decisione di cui a Cass. n. 12567/04, alla quale dichiara di voler prestare ossequio).
Con la prima, meno recente, presa di posizione (che, tuttavia, si rifa all'orientamento espresso da Cass. n. 474/94) si è affermato che "la concessione di un finanziamento per l'acquisto di un autoveicolo, attuata attraverso il pagamento diretto del venditore da parte del mutuante, da vita ad un collegamento negoziale tra il contratto di mutuo di scopo e quello di compravendita, a nulla rilevando che l'acquirente sia persona diversa dal mutuatario. Ne consegue che, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento del venditore, l'obbligo di restituzione al mutuante della somma ricevuta grava sul venditore e non sul mutuatario" (così Cass. n.5966/2001), in un caso, in cui, non essendo ancora entrata in vigore la normativa attuativa della direttiva 87/102/CEE, la fattispecie portata all'attenzione della Corte era quella del mutuo di scopo, così ritenuto dal giudice a quo, e non contestato dalla parte ricorrente.

E' seguita la pronuncia, solo apparentemente di segno opposto, fatta propria dalla Corte d'Appello, che ha escluso, invece, la configurabilità del mutuo di scopo, affermando il principio per il quale "affinchè possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico non è sufficiente un nesso occasionale tra i negozi, ma è necessario che il collegamento dipenda dalla genesi stessa del rapporto, dalla circostanza cioè che uno dei due negozi trovi la propria causa (e non il semplice motivo) nell'altro, nonchè dall'intento specifico e particolare delle parti di coordinare i due negozi, instaurando tra di essi una connessione teleologica, soltanto se la volontà di collegamento si sia obiettivata nel contenuto dei diversi negozi potendosi ritenere che entrambi o uno di essi, secondo la reale intenzione dei contraenti, siano destinati a subire le ripercussioni delle vicende dell'altro. (Cass. n. 12567/04). Sebbene nella massima ufficiale sia detto che "la S.C. ha in particolare escluso che la configurabilità di un mutuo di scopo derivasse dal semplice fatto della qualificazione del mutuo in termini di prestito al consumo e dalla circostanza dell'avvenuto versamento della somma dalla banca al venditore su delega irrevocabile del mutuatario", la lettura della motivazione consente di escludere che si trattasse di un caso di credito al consumo disciplinato dal T.U.B., essendosi in presenza di un mutuo di scopo a carattere volontario (così come nel caso di cui alla successiva Cass. n. 8253/03, espressione del medesimo indirizzo).

In tutti i precedenti su menzionati, questa Corte non ha fatto altro che applicare il principio, ripetutamente affermato in riferimento al collegamento negoziale, per il quale la sussistenza di un collegamento tra due negozi giuridici si desume dalla volontà delle parti e l'interpretazione di tale volontà costituisce quaestio facti insindacabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici e da violazione delle norme ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ. (cfr., tra le tante, Cass. n. 14611/05, n. 5851/06, n. 18884/08, n. 24792/08). Evidentemente, l'applicazione di questo principio ha portato a soluzioni differenti, poichè differentemente è stata interpretata dai giudici di merito la volontà delle parti espressa nelle diverse clausole contrattuali.

4.1.- Ciò è tanto vero che l'applicazione di detto principio ha condotto ad un approdo difforme dal precedente di cui a Cass. n. 12567/04, nella decisione di questa Corte n. 3589/2010, la quale - avendo anche questa ad oggetto un contratto di mutuo stipulato prima dell'entrata in vigore delle norme sul credito al consumo - si è soffermata sull'interpretazione della volontà contrattuale, riconoscendo peraltro, in quel caso, e sulla base della volontà delle parti come interpretata dal giudice a quo, il collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e quello di vendita, nel contratto di mutuo in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l'acquisto di un determinato bene, "con la conseguenza che la risoluzione della compravendita ed il correlato venir meno dello scopo del contratto di mutuo, legittimano il mutuante a richiedere la restituzione dell'importo mutuato non al mutuatario ma direttamente ed esclusivamente al venditore".
Nello stesso senso si è espressa la sentenza di cui a Cass. n. 12454/12, preceduta da Cass. n. 3392/11, che peraltro fanno leva sul principio della buona fede, in casi in cui si è ritenuta non applicabile la normativa sul credito al consumo.

4.2.- In effetti, le decisioni fin qui richiamate, pur costituendo, per come si dirà, precedenti utili per la decisione del presente ricorso, non risolvono affatto la questione di diritto posta da quest'ultimo.
Ed invero, non si tratta qui di dibattere della validità del principio sopra richiamato in tema di interpretazione della volontà contrattuale, onde configurare il tipo e gli effetti del collegamento negoziale. Detto principio - per il quale le parti, nell'esplicazione della loro autonomia negoziale, possono dare vita a più negozi distinti ed indipendenti, ovvero a più negozi tra loro collegati, rientrando nei compiti esclusivi del giudice di merito l'accertamento della natura, dell'entità, delle modalità e delle conseguenze del collegamento negoziale - va ribadito con riguardo al collegamento negoziale attuato per volontà delle parti. Si tratta piuttosto di verificare se questo stesso principio sia applicabile alla fattispecie di collegamento negoziale in oggetto.

5.- Per come rilevato col ricorso, il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 121, nel testo applicabile ratione temporis (essendo stato il contratto di finanziamento stipulato a seguito di richiesta del 7 novembre 1996), fornisce la seguente nozione di credito al consumo:
"per credito al consumo si intende la concessione, nell'esercizio di un'attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (consumatore)", prevedendo anche le categorie di soggetti cui è riservato il relativo esercizio. La disciplina del contratto si rinviene nell'art. 124. Questo, dopo aver previsto a pena di nullità la forma scritta, mediante rinvio all'art. 117, comma 1 e 3, ed aver previsto i requisiti del contratto in genere, differenzia, tra le possibili fattispecie contrattuali, quella prevista dal terzo comma, disponendo che "... i contratti di credito al consumo che abbiano a oggetto l'acquisto di determinati beni o servizi contengono a pena di nullità: a) la descrizione analitica dei beni e dei servizi; b) il prezzo di acquisto in contanti, il prezzo stabilito nel contratto e l'ammontare dell'eventuale acconto;
c) le condizioni per il trasferimento del diritto di proprietà, nei casi in cui il passaggio della proprietà non sia immediato". Nel recepire la direttiva comunitaria 87/102/CEE del 22 dicembre 1986, dapprima con la legge comunitaria 19 settembre 1992 n. 142, poi trasfusa nelle norme del T.U.B., il legislatore italiano, a differenza di quello di altri Paesi Europei, non ha espressamente ricondotto quest'ultima tipologia contrattuale alla nozione del collegamento negoziale, vale a dire che non ha espressamente qualificato il contratto di credito avente ad oggetto l'acquisto di determinati beni o servizi come contratto collegato al contratto di compravendita. Tuttavia il dato normativo sopra riportato, tanto più tenuto conto della normativa di fonte comunitaria con esso recepita e delle successive vicende di questa e della normativa interna derivata, di cui appresso, è inequivocabilmente nel senso di riconoscere l'esistenza di un collegamento tra il contratto di credito al consumo ed il contratto di acquisto; riconoscimento che, essendo di fonte legale, rileva in primo luogo per gli effetti previsti dalla stessa normativa che lo contiene, ma, come si dirà, non esclusivamente.

Non importa, in questa sede, ed ai fini della decisione, affrontare il tema, dibattuto in dottrina, della riconducibilità della figura tipica di credito al consumo delineata dall'art. 124 T.U.B., comma 3, al mutuo di scopo o di segnare i tratti distintivi tra le due figure.
E' invece rilevante evidenziare come sia la legge stessa a configurare un collegamento negoziale a carattere funzionale per il quale, a determinate condizioni (inserimento nel contratto dei requisiti di cui alle lettere a, b, e c), contratto di credito e contratto di acquisto vengono ad essere unitariamente considerati sotto il profilo giuridico (e non solo economico), onde tutelare la parte comune ai due contratti, cioè il consumatore, finanziato ed acquirente. Si tratta di un collegamento negoziale in senso proprio dal momento che il nesso tra i negozi non è affatto occasionale, bensì dipendente dalla genesi stessa del rapporto, dalla circostanza cioè che uno dei due negozi trova la propria causa nell'altro, sicchè è la legge stessa che coordina i negozi, facendo assurgere la connessione teleologica ad elemento della fattispecie.

5.2.- Il primo approdo interpretativo è quindi nel senso che le norme richiamate delineano un collegamento di fonte legale tra contratti, tale che, per definizione, non necessita di alcun intervento giudiziale di individuazione di un'(ulteriore) volontà dei contraenti volta a "collegare" il contratto di credito al consumo al contratto di compravendita, ogniqualvolta il contratto di credito al consumo, stipulato per iscritto, contenga, oltre ai requisiti di cui all'art. 124 T.U.B., comma 2, anche quelli di cui al comma 3, prevedendosi espressamente che abbia ad oggetto l'acquisto di determinati beni o servizi, analiticamente descritti nello stesso contratto.

5.3.- La tutela specifica, nell'ipotesi del detto collegamento negoziale di fonte legale, è assicurata dal quarto e dal quinto comma dell'art. 125, poi trasfusi nel D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 42, che prevedono: "Nei casi di inadempimento del fornitore di beni e servizi, il consumatore che abbia effettuato inutilmente la costituzione in mora ha diritto di agire contro il finanziatore nei limiti del credito concesso, a condizione che vi sia un accordo che attribuisce al finanziatore l'esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore. La responsabilità (prevista dal comma 4) si estende anche al terzo, al quale il finanziatore abbia ceduto i diritti derivanti dal contratto di concessione del credito". Così disponendo, il legislatore italiano ha dato attuazione alla previsione dell'art. 11 della direttiva, in termini strettamente conformi al dettato di quest'ultimo, senza avvalersi dello spazio che pure la norma comunitaria aveva lasciato agli Stati membri per garantire una tutela più ampia al consumatore.
Orbene, l'unitarietà della causa economica sottesa alla pluralità dei contratti (di finanziamento e di fornitura) consente di qualificare in termini di collegamento negoziale la fattispecie delineata dal legislatore nel precedente art. 124, comma 3, a prescindere dall'esistenza dell'accordo che attribuisca al finanziatore l'esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore, contemplato nel successivo art. 125. E' questa una delle due condizioni poste per consentire l'azione diretta del consumatore nei confronti del finanziatore, ma non è certo condizione necessaria per riconoscere l'esistenza di un contratto di credito al consumo, la cui nozione generale è delineata dall'art. 121. In particolare, la tipologia di contratto di credito al consumo prevista dall'art. 124, comma 3, prescinde dal rapporto tra finanziatore e fornitore, spesso peraltro presente in forma di convenzione (non esclusiva), essendo sufficiente che l'operazione di finanziamento risulti finalizzata all'acquisto di un bene (o servizio) determinato, scelto dal consumatore prima di accedere al finanziamento, e perciò individuato già nel contratto di finanziamento e pagato direttamente dal finanziatore al fornitore.

6.- Piuttosto, occorre verificare, per via di interpretazione sistematica, se il delineato collegamento negoziale di fonte legale possa produrre effetti diversi da quelli per i quali esso è stato normativamente previsto. In particolare, per quanto qui rileva, occorre delibare la questione, su cui si è in gran parte basata la difesa della resistente, anche nei gradi di merito, se l'unica possibilità di tutela offerta al consumatore sia quella prevista dal quarto comma dell'art. 125 T.U.B., che gli consente l'azione diretta nei confronti del finanziatore, in caso di inadempimento del fornitore di beni e servizi, soltanto in presenza di messa in mora e di patto di esclusiva; e che, alle stesse condizioni, è da ritenere consenta anche la sospensione del pagamento delle rate con l'exceptio inadimpleti contractus.

6.1.- La questione è stata affrontata dalla Corte di Giustizia.
Questa, dopo essersi pronunciata una prima volta con la sentenza del 4 ottobre 2007 in causa C - 429/05, con riferimento al diritto interno francese, nel senso dell'importanza accordata dal legislatore comunitario alle disposizioni di tutela poste dalla direttiva ed alla loro stretta applicazione, è stata investita del rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale di Bergamo. Quest'ultimo, in un caso del tutto analogo al presente, ha chiesto, con ordinanza del 4 ottobre 2007, se l'art. 11 n. 2 della direttiva 102/87/CEE debba interpretarsi nel senso che l'accordo tra fornitore e finanziatore in base al quale il credito è messo esclusivamente da quel creditore a disposizione dei clienti di quel fornitore, sia presupposto necessario del diritto del consumatore di procedere contro il creditore - in caso di inadempimento del fornitore - anche quando tale diritto sia: a) solo quello della risoluzione del contratto di finanziamento; oppure b) quello di risoluzione e di conseguente restituzione delle somme pagate al finanziatore.
Con la sentenza del 23 aprile 2009, emessa nella causa C-509/07, la Corte di Giustizia ha stabilito che "l'art. 11, n. 2, della direttiva del Consiglio 22 dicembre 1986, 87/102/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella della causa principale, l'esistenza di un accordo tra il creditore ed il fornitore, sulla base del quale un credito è concesso ai clienti di detto fornitore esclusivamente da quel creditore, non è un presupposto necessario del diritto per tali clienti di procedere contro il creditore in caso di inadempimento delle obbligazioni che incombono al fornitore al fine di ottenere la risoluzione del contratto di credito e la conseguente restituzione delle somme corrisposte al finanziatore".
Il giudice comunitario ha avuto modo di precisare che l'azione diretta di cui all'art. 11, n. 2, della direttiva 87/102 costituisce una protezione supplementare offerta dalla direttiva di cui trattasi al consumatore nei riguardi del creditore, che si aggiunge alle azioni che il consumatore può già esercitare sulla base delle disposizioni nazionali applicabili ad ogni rapporto contrattuale.
Conseguentemente, il soddisfacimento delle varie condizioni di cui a tale articolo può essere richiesto solo rispetto alle azioni proposte ai sensi di tale protezione supplementare.
La Corte ha rilevato che una siffatta interpretazione dell'art. 11 della direttiva 87/102 è in linea con il tipo di armonizzazione effettuata con tale direttiva, qualificata dalla stessa Corte come armonizzazione minima in materia di credito al consumo (sentenza 4 ottobre 2007, n. C-429/05), tale cioè, anche in ragione del considerando 25, che non possa essere escluso che gli Stati membri possano mantenere o adottare misure più severe per la protezione del consumatore. E' dunque consequenziale che il rapporto di esclusiva può e deve valere per eventuali pretese del consumatore non riconosciute a livello nazionale, fra le quali, a titolo esemplificativo, viene indicato il diritto al risarcimento del danno causato da un'inadempienza del fornitore dei beni o servizi in questione, ma non per quelle che sono meglio tutelate a livello interno.

6.2.- Si tratta di un autorevole avallo all'interpretazione già consentita, in ambito nazionale, dal coordinamento tra la normativa consumeristica di derivazione comunitaria e gli strumenti di tutela del consumatore individuabili in base al diritto interno.

Ed invero la direttiva 87/102 non può certo essere intesa come volta a derogare a disposizioni di diritto interno più favorevoli, per come d'altronde esplicitato oltre che nel citato considerando 25, anche nel considerando 21, che sancisce che il consumatore deve godere, nei confronti del creditore, di diritti che si aggiungono ai suoi normali diritti contrattuali nei riguardi di questo e del fornitore dei beni e servizi.
Lo stesso legislatore comunitario ha così introdotto una riserva, non solo in favore del legislatore nazionale, ma anche del giudice nazionale, cui peraltro la Corte di giustizia affida "in via esclusiva" l'individuazione della tutela più efficace per il consumatore.
Tutela interna potiore ben può essere assicurata, nell'ordinamento nazionale, dal ricorso allo schema del collegamento negoziale, che, non a caso, è stato invocato dagli odierni ricorrenti, i quali non hanno affatto dichiarato di agire o comunque di fondare le loro eccezioni nei confronti della resistente sull'art. 125 del T.U.B.
D'altronde i precedenti di legittimità sopra richiamati, hanno riconosciuto, in caso di accertato collegamento negoziale, sia pure di fonte volontaria, specificamente il diritto di richiedere la risoluzione del contratto di finanziamento in caso di risoluzione del contratto di compravendita collegato. Individuato come sussistente un collegamento negoziale derivante da una fonte legale, la diversità della fonte non osta certo a trarre da quel collegamento sia gli effetti espressamente previsti dalla legge che quel collegamento prevede, sia tutti gli altri che, in materia di contratti collegati, la normativa contrattuale consente di riconoscere, sia quanto alla delibazione di validità delle clausole del contratto di finanziamento sia quanto alla regolamentazione delle patologie dello stesso rapporto e di quello derivante dal contratto collegato.

7.- Riscontro normativo della soluzione interpretativa raggiunta si rinviene, a parere del Collegio, nella normativa comunitaria ed interna sopravvenuta.
Con la direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito "ai consumatori", il collegamento negoziale tra il contratto di credito al consumo ed il contratto di fornitura di beni o servizi ha trovato definitivo espresso riconoscimento, sia nell'art. 3, lett. n), che individua le condizioni per la sussistenza del "contratto di credito collegato", sia nell'art. 15 che fissa le conseguenze di tale collegamento, relativamente al caso di recesso del consumatore dal contratto finanziato e - per quanto qui più rileva- al caso di inadempimento da parte del fornitore. Con la normativa di attuazione di cui al decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 141, che ha sostituito l'intero capo del T.U.B. dedicato, nel testo attuale, al "credito ai consumatori", è stato dato espresso riconoscimento, anche nel diritto interno, al "contratto di credito collegato". Questo è definito, dall'art. 121, comma 1, lett. d), come "contratto di credito finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici se ricorre almeno una..." delle due condizioni ivi previste, tra cui quella - già presente nel testo dell'art. 124, comma 3, oggi abrogato - che "il bene o il servizio specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito".
Gli effetti del collegamento negoziale nel caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi sono disciplinati dall'art. 125 quinquies che, nei primi due comma, innova la disciplina abrogata assicurando una maggiore tutela del consumatore, tra l'altro escludendo la necessità del patto di esclusiva per l'azione diretta e prevedendo il diritto del finanziatore di ripetere l'importo del finanziamento direttamente dal fornitore, pur mantenendo il meccanismo della sussidiarietà. Quest'ultimo, peraltro, nella norma attuale è attenuato rispetto a quanto previsto nella direttiva in quanto è sufficiente, così come nella norma precedente, la messa in mora del fornitore e la sussistenza, rispetto al contratto di fornitura, delle condizioni di cui all'art. 1455 c.c., (non anche la relativa azione giudiziaria).

7.1.- Escluso che tale normativa sopravvenuta sia applicabile nel caso di specie, essa tuttavia corrobora la lettura che della previgente disciplina si è inteso dare in termini di riconoscimento implicito di un collegamento negoziale di fonte legale tra credito al consumo e contratto di acquisto di bene determinato.
Parimenti, esclusa, nel caso di specie, l'operatività degli effetti del collegamento negoziale come positivamente disciplinati dal D.Lgs. n. 141 del 2010, è significativo che questi finiscano per coincidere con gli effetti del collegamento negoziale, riconoscibili alla stregua dei principi elaborati in materia contrattuale.

8.- In conclusione, si ritiene di affermare i seguenti principi di diritto.

In materia di contratto di credito al consumo, nella vigenza della disciplina del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 121 e ss., la norma dell'art. 124, comma 3, va interpretata come previsione di un collegamento negoziale di fonte legale tra i contratti di credito al consumo che abbiano a oggetto l'acquisto di determinati beni o servizi, contenenti i requisiti ivi indicati, ed i contratti di acquisto degli stessi beni o servizi, a prescindere dalla sussistenza di un accordo che attribuisca al finanziatore l'esclusiva per la concessione di credito ai clienti dei fornitori.

Nei casi di inadempimento del fornitore di beni e servizi l'azione diretta del consumatore contro il finanziatore prevista dall'art. 125, comma 4, si aggiunge alle azioni che il consumatore può già esercitare sulla base delle disposizioni applicabili ad ogni rapporto contrattuale. Conseguentemente, il soddisfacimento delle condizioni di cui a tale articolo può essere richiesto solo rispetto alle azioni proposte ai sensi di detta disposizione. In ogni altro caso, spetta al giudice di merito individuare le conseguenze, in riferimento al contratto ed al rapporto di finanziamento, del collegamento negoziale istituito per legge tra il contratto di finanziamento e quello di vendita, secondo i principi vigenti in materia contrattuale.


8.- Le norme dell'art. 121, comma 1, e art. 124, comma 1, del T.U.B. sopra richiamate sono applicabili al caso di specie, dato che sono indiscusse le qualità di consumatore del mutuatario S. (e della garante Sc.) e di intermediario finanziario abilitato all'esercizio del credito al consumo della Compass S.P.A. (come dalla stessa ribadito anche nel controricorso); che il contratto di finanziamento, stipulato per iscritto, conteneva le indicazioni previste dall'art. 124, commi 2 e 3; che non ricorreva alcuna ipotesi ostativa.
E' quindi configurabile, alla stregua del principio di cui sopra, un collegamento negoziale tra il contratto di credito al consumo ed il contratto di compravendita dell'autoveicolo. Pertanto, è errata e va cassata la sentenza impugnata che ha escluso l'esistenza di questo collegamento negoziale sulla base di un procedimento ermeneutico non conforme alle previsioni del menzionato D.Lgs. n. 385 del 1993, artt. 121 e 124. L'operazione logico-giuridica corretta nell'interpretazione del contratto è esattamente quella seguita dal Tribunale e che la Corte d'Appello ha ribaltato.

In base ai principi sopra esposti, il giudice del rinvio, presupponendo come dato acquisito l'esistenza di un collegamento negoziale di fonte legale tra il contratto di compravendita ed il contratto di finanziamento, dovrà procedere all'esame delle clausole di quest'ultimo contratto, per verificarne la liceità, e trarre comunque le conseguenze, in concreto, dell'incidenza sul contratto collegato di finanziamento della già accertata risoluzione contrattuale del contratto di compravendita.
Va rimessa al giudice di rinvio anche la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2014


 

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