TRIBUNALE DI CATANIA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice Unico in funzione di giudice del lavoro dott.ssa Floriana Gallucci, visto l'art. 281-sexiex c.p.c., viste le conclusioni delle parti precisate all'odierna udienza e sentita la discussione orale, pronuncia, all'esito della camera di consiglio, allegandola al verbale di udienza, di cui deve considerarsi parte integrante, la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n.2441/2007 R.G. previdenza tra M********* - ricorrente
e I.N.P.S. (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) - resistente
e Ministero dell'Economia e delle Finanze - resistente

Oggetto: Assegno invalidità

Svolgimento del processo

Con ricorso ritualmente notificato la ricorrente in epigrafe esponeva di aver presentato alla competente commissione sanitaria domanda di riconoscimento della prestazione in oggetto in qualità d'invalido civile e che la domanda era stata rigettata non essendo stata riconosciuta la sussistenza del requisito sanitario.
Dedotto che gli stati patologici denunciati danno diritto alla prestazione negata, l'istante ha chiesto l'accertamento del diritto alla prestazione richiesta e la condanna al pagamento dei ratei scaduti e relativi accessorri a decorrere dalla domanda amministrativa.
L'INPS si costituiva eccependo l'inammissibilità e l'infondatezza della domanda. il Ministero dell'Economia e delle Finanze si costituiva eccependo l'inammissibilità e l'infondatezza della domanda.
In assenza di istruttoria, all'udienza odierna la causa veniva discussa e decisa

Motivazione

Nel merito il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Invero, oltre lo stato invalidante, il soggetto interessato, per poter beneficiare dell'assegno di invalidità civile, deve avere: 1) una età compresa tra i diciotto ed i sessantaquattro anni; 2) un reddito annuonon superiore all'importo fissato con cadenza annuale da Decreto del Ministero dell'Interno; 3) e deve essere incollocato al lavoro.
Quanto all'incollocamento, va precisato che l'invalido è da ritenersi incollocato al lavoro non per effetto del mero stato di disoccupazione o non occupazione ma solo quando, essendo iscritto (o avendo presentato domanda d'iscrizione) nelle speciali liste degli aventi diritto al collocamento obbligatorio di cui alla L.482/68, non abbia conseguito un'occupazione in mansioni compatibili (Cass. SS.UU. 203/92).
Ciò premesso, va rilevato che non risulta tempestivamente provato nè il requisito reddituale nè l'elelmento costitutivo dell'incollocamento mediante l'iscrizione o la domanda d'iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio.
Sul punto, va osservato che, nel vigente ordinamento del processo del lavoro, è posto il principio fondamentale per cui i fatti devono essere introdotti in giudizio ad opera delle parti, essendo vietato al giudice di utilizzare per la decisione altri fatti.
Questo monopolio delle parti per la delimitazione dell'ambito di fatto della lite costituisce essenziale proiezione dei principi della domanda (art. 99 c.p.c.) e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.)
Si parla, in proposito, di onere di allegazione, detto anche di affermazione o di deduzione, nel senso che la parte interessata all'accertamento di un fatto, e quindi il ricorrente per i fatti costitutivi ed il convenuto per i fatti impeditivi, deve introdurlo in giudizio. L'onere di allegazione non è affatto incompatibile con l'attribuzione al giudice del lavoro di poteri istruttori, poichè questa scelta determina un processo semplicemente a metodo inquisitorio e non inquisitorio in senso sostanziale, investendo il problema della modalità di accertamento dei fatti che è logicamente successivo e distinto rispetto a quello della introduzione dei fatti in giudizio. Pertanto anche per il giudice del lavoro è vietato istruire e, poi, se provati, utilizzare per la decisione fatti ulteriori rispetto a quelli affermati dalle parti (Cass. SU n.1099 del 1998).
Anzi la caratteristica essenziale del processo del lavoro riguarda proprio l'allegazione dei fatti, che deve essere immediata, con conseguente assoluta preclusione di allegazioni tardive (artt. 414, n4 e 416 c.p.c.), risultando così immodificabile l'ambito di fatto della lite definito dal primo scritto difensivo di ciascuna parte.
In questo quadro relativo all'onere di allegazione tempestiva, si inserisce il problema, logicamente successivo, dell'onere della prova dei fatti ritualmente dedotti dalle parti. La Suprema Corte giunge,infatti, ad individuare una intima connessione, una necessaria circolarità tra i vari oneri posti a carico delle parti nel processo del lavoro (onere di allegazione, onere di contestazione e onere di prova), dalla quale discende l'impossibilità di contestare o richiedere prove - oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito - su fatti non allegati nonchè su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano stati esplicitati in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo del giudizio (Cass SU 11353/2004).
Pertanto, il convenuto nel giudizio di primo grado, deve indicare a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed in particolar modo i documenti che deve contestualmente depositare, ne consegue che "l'omessa indicazione, nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi della vicenda processuale successivamente alricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo)" (Cass. SS. UU. 8202/2005).

Nel caso concreto la ricorrente nulla ha dedotto in seno al ricorso in merito alla sussistenza dei requisiti socio-economici.
La produzione del certificato dell'Agenzia delle Entrate e della domanda di iscrizione alle liste del collocamento obbligatorio e, invece, ingiustificatamente tardiva.
Alla luce di tali premesse, deve rigettarsi la domanda.
Le spese di lite vanno compensate, ma le stesse vanno liquidate (con la riduzione prevista dall'art. 130 del DPR 30 maggio 2002 n.115) in favore del procuratore del ricorrente, ammesso al patrocinio a spese dello Stato

PQM

Il Tribunale di Catania, in funzione di giudice del lavoro, ogni diversa istanza e deduzione disattesa, così orovvede:
- rigetta il ricorso;
- compensa le spese di lite;
- liquida in favore dell'avv. G******, procuratore della parte ricorrente, la somma di Euro 350,00, di cui Euro 150,00 per onorari (oltre IVA e CPA), ponendone il pagamento a carico dell'Erario;
Così deciso in Catania, il 14 luglio 2010


 

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