IL TRIBUNALE DI PERUGIA
SECONDA SEZIONE CIVILE
in composizione collegiale, nelle persone dei magistrati
dr.ssa M. Letizia Lupo PRESIDENTE
dr.ssa Stefania Monaldi GIUDICE REL.
dr. Fabrizio Pieschi GIUDICE
riuniti in camera di consiglio,
sciogliendo la riserva ed esaminati gli atti, ha reso la seguente
ORDINANZA
nella causa iscritta al n.2798/2014 RGAC promossa da:
_________________________ - RECLAMANTE -
nei confronti di
_________________ (AVV. Corrado V. Giuliano) -RESISTENTI-
avente ad oggetto: reclamo al collegio

Motivazione

1. Il reclamo ha ad oggetto l'ordinanza depositata in data 8 aprile 2014 con la quale, il giudice monocratico della ex-sezione distaccata di Todi aveva ordinato alla società reclamante, in accoglimento del ricorso d'urgenza proposto da alcuni dei ricorrenti, ossia le parti corrispondenti alle parti reclamate costituite nel presente procedimento, con il patrocinio del medesimo difensore indicato in epigrafe (laddove non hanno proposto reclamo i soggetti nei cui confronti era rigettata la domanda possessoria e, del pari, le Associazioni di cui era stato dichiarato ammissibile l'intervento), di "modificare l'inclinazione dei pannelli fotovoltaici in modo da evitare il fenomeno di riflessione della luce solare verso le abitazioni dei medesimi”.
Non essendovi ragione per ripercorrere le argomentazioni dell'ordinanza resa dal primo giudice con riferimento al rigetto della domanda cautelare nei confronti degli intervenuti _______ ed alla declaratoria di inammissibilità degli interventi delle Associazioni ambientali, deve rilevarsi come i motivi di reclamo proposti dalla società ____ riguardino:
- la censura dell'impugnata decisione in ordine alla mancata prova del possesso in capo ai ricorrenti, attuali reclamanti, non desumibile dalla proprietà degli immobili;
- l'inammissibilità della consulenza tecnica disposta dal primo giudice in carenza di prova del lamentato fenomeno di abbagliamento;
- l'erroneità delle conclusioni rassegnate dal consulente tecnico d'ufficio per aver condotto l'indagine su un unico immobile (ossia quello in proprietà ____); per aver utilizzato una metodologia di indagine non corretta, non avendo verificato la sequenza con la quale gli asseriti abbagliamenti colpirebbero le abitazioni dei ricorrenti e avendo impiegato, nell'applicazione della “Cornell formula”, un coefficiente moltiplicatore erroneo (ossia il membro della formula indicato con il valore di 11 invece che con quello
di 0,48 di diffusa applicazione nella letteratura scientifica) oltre che per l'inidoneità della suddetta formula in quanto relativa alla valutazione di fenomeni luminosi uniformi;
- l'irrilevanza della mancanza dei dati relativi ai pannelli solari installati, sia in quanto dati non forniti dal produttore, sia perchè la carenza di tali dati non poteva essere posta a carico della società reclamante formando oggetto dell'onere dei reclamati/ricorrenti al fine di dimostrare la intollerabilità dell'abbagliamento;
- la non condivisibilità delle argomentazioni svolte dal primo giudice laddove aveva condiviso le conclusioni della consulenza tecnica fondate su dati parziali e inesatti (accessi compiuti solo nei mesi estivi; mancata considerazione del moto apparente del sole; diversa angolazione degli immobili rispetto agli impianti; erroneità della tesi dell'intollerabilità dell'abbagliamento, fondata sulla maggior quota degli edifici rispetto agli impianti).
Deduceva ancora la società reclamante come mancasse la prove dell'elemento psicologico della molestia e che l'ordinanza reclamata non avesse considerato il necessario contemperamento, imposto dall'art. 844 c.c., tra il fenomeno di riflessione e le esigenze della produzione in ragione dell'ingente costo preventivabile per la modifica dell'inclinazione dei pannelli, essenziale per la produttività dell'impianto medesimo.
Concludeva quindi per la revoca dell'ordinanza impugnata e comunque chiedeva che venisse disposta la rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio.

I reclamati si costituivano in giudizio e, sostenendo la correttezza dell'ordinanza impugnata, chiedevano il rigetto del gravame depositando documentazione attinente a fatture di lavori svolti negli immobili e certificati di residenza, in replica all'eccepito difetto di prova del possesso.
Nelle note autorizzate le parti ripercorrevano i rispettivi scritti difensivi e contestavano le deduzioni di controparte.

2. Dato atto della natura del procedimento di reclamo, che consente alla parte interessata di chiedere un riesame dell'attività compiuta dal giudice della prima istanza, censurando non solo vizi di legittimità da cui sarebbe affetto il provvedimento cautelare, ma anche la valutazione dei presupposti compiuti dal giudice di prima istanza, deve rilevarsi quanto segue.
L'insegnamento tralatizio secondo cui la tutela possessoria viene accordata allo ius possessionis, in quanto esercizio effettivo del potere di fatto sulla cosa, indipendentemente dalla circostanza che alla base vi sia un titolo (ius possidendi), vale essenzialmente alla realizzazione della volontà legislativa di accordare tutela alla situazione di fatto anche laddove illegittima, arbitraria o di mala fede, escludendo rilevanza ad ogni questione relativa alla legittimità del possesso con riferimento alla titolarità di un titolo corrispondente.
L'esame del titolo è quindi preclusa allorquando è diretta a far valere il diritto a possedere e non quando - come è nel caso in esame sia diretto alla prova della situazione di possesso.
Sul punto, osserva la giurisprudenza di legittimità: ”la produzione del titolo da cui il deducente trae lo "ius possidendi" può solo integrare la prova del possesso, al fine di meglio determinare e chiarire i connotati del suo esercizio" (cfr. Cass. 2004/24026).

Pertanto, poichè nel caso che occupa il diritto di proprietà degli odierni reclamati non si contrappone alla protezione di una situazione di fatto corrispondente all'esercizio del possesso da parte di un diverso soggetto, ma al contrario "contiene” fisiologicamente tale medesimo ius possessionis, bene ha motivato il giudice di prime cure, ritenendo che, in assenza di specifiche contestazioni sul punto, ovvero sulla mancata coincidenza in concreto (e non meramente in astratto) tra ius possidendi e ius possessionis, il secondo si possa e si debba ritenere compreso nel primo, quale sua naturale manifestazione.
In tal senso, infatti, lungi dal richiedere al reclamante una sorta di probatio diabolica volta a smentire la qualifica di possessore affermata da controparte (qualifica comunque corroborata da elementi di prova quali le diffide prodotte in atti nella precedente fase di giudizio, atti volti appunto a dimostrare un innegabile e concreto esercizio delle facoltà possessorie), non appare in ogni caso meritevole di accoglimento una generica e tautologica negazione della qualifica di possessori in capo ai proprietari degli immobili, così come invece risultante dalle attività da questi intraprese (e documentate), sia in fase precontenziosa che in occasione del ricorso d'urgenza ex art. 703 c.p.c, da essi esperito, per cui è da ritenersi superflua qualsivoglia integrazione probatoria sul punto, pure richiesta da parte reclamata.

Parimenti non fondato appare il secondo motivo di doglianza lamentato dalla società reclamante, ovvero l'inammissibilità della consulenza tecnica eseguita nel corso del procedimento, in quanto la medesima sarebbe stata da considerarsi “meramente esplorativa”.
A ben ritenere, l'atto introduttivo del ricorso d'urgenza, conclusosi con l'ordinanza poi impugnata, risulta corredato di documentazione fotografica attestante il fenomeno di riflessione luminosa che i soggetti ricorrenti hanno posto a fondamento delle proprie istanze, come pure dedotto dalla difesa di questi ultimi: la CTU richiesta ed effettuata nella fase precedente del procedimento, pertanto, non appare da considerarsi volta all'ottenimento della ricerca di una prova dell"an" dell'immissione lamentata quale turbativa possessoria (il cui onere, correttamente, è stato adempiuto da parte ricorrente) bensì intesa solamente a fornire una indispensabile valutazione tecnica, da parte di un soggetto terzo, del fenomeno medesimo, onde fornire al giudice gli elementi necessari e indefettibili per le proprie determinazioni: elementi peraltro particolarmente significativi nel caso di specie, ove si consideri che una verifica dell'intensità delle immissioni luminose e della loro tollerabilità o meno è riscontro che, per non lasciare aperto un margine di opinabilità, deve essere demandato ad un accertamento tecnico dotato di adeguata e sufficiente base scientifica che sia il fondamento del ragionamento giudiziale.
Analizzando, appunto, tali aspetti, onde proseguire nell'esame dei motivi addotti dall'odierno reclamante, questo collegio non ritiene siano emerse ragioni per censurare la motivazione del giudice di prima istanza, nell'aderire ai percorsi logico-argomentativi illustrati dal predetto CTU nella depositata perizia i quali, al vaglio di un riesame nel merito, tuttora appaiono congruamente e adeguatamente motivati, pur a fronte delle contestazioni avanzate dal reclamante.
Il consulente d'ufficio ha invero esaurientemente documentato l'utilizzo, all'interno della letteratura scientifica, della formula da egli utilizzata nel calcolo dell'intensità del fenomeno di riflessione luminosa (ovvero la “Cornell formula”), che, sebbene elaborata per la fase progettuale è strumento utilizzabile, come adeguatamente argomentato dal CTU, anche in sede di verifica ex post.
A seguito delle soddisfacenti precisazioni e delle repliche fornite dal CTU, che ad ogni modo evidenziava come non fossero disponibili, allo stato della migliore scienza ed esperienza, differenti e più consolidati criteri di calcolo, si noti del resto (anche a riprova di ciò) come nessuna alternativa alla formula proposta venisse suggerita neppure dalla parte all'epoca resistente all'attenzione del giudice monocratico, il quale altro non poteva fare che prendere atto delle risultanze emerse dall'impiego di una magari perfettibile (ma pur sempre degna di documentata considerazione accademica) legge scientifica.

In tal senso, le medesime considerazioni valgano in merito alla mancata documentazione delle specifiche caratteristiche dei pannelli solari installati dalla società ____ : premesso che in base agli ordinari criteri di riparto dell'onere probatorio incombeva sulla reclamante la produzione in giudizio di tale documentazione (attenendo la stessa non già al fatto costitutivo della molestia bensì alla prova ad essa contraria), ciò che vale, ai fini del vaglio delle conclusioni a cui è giunto il CTU, è che il grado di incertezza scientifica derivante dall'impiego della Cornell formula, pur in mancanza di tale parametro circa le caratteristiche tecniche dei pannelli, non può che ripercuotersi in danno della parte che era tenuta a dimostrare l'insussistenza della concreta molestia causata dal fenomeno di riflessione comunque empiricamente osservato e rilevato.
Si rilevi poi, a tal proposito, come l'utilizzo della formula di calcolo sopra menzionata non si sia del resto risolto nell'unico mezzo di verifica impiegato dal CTU, il quale ha altresì provveduto, a seguito dell'accesso ai luoghi, oltre all'osservazione diretta del citato fenomeno, ad eseguire rilievi fotografici e filmati, mediante i quali ha adeguatamente potuto prendere contezza (sulla scorta dei quesiti formulati dal giudice) del grado delle immissioni di tipo luminoso insistenti sugli immobili dei ricorrenti, della loro apprezzabile intensità, nonchè della durata e degli effetti delle medesime, onde addivenire con cognizione di causa alle proprie determinazioni conclusive: ebbene, tutti i dati raccolti (e non, dunque, il solo calcolo eseguito tramite la Cornell formula) appaiono invero aver confermato la sussistenza di immissioni luminose al di là della soglia di normale tollerabilità a cui fa riferimento il dettato normativo dell'art. 844 c.c., considerando che, per tutto quanto esposto nella relazione di consulenza d'ufficio, è stata verificata la presenza di un notevole effetto di riflessione luminosa (tale da comportare l'inevitabile chiusura delle persiane onde evitare l'abbagliamento), tra l'altro protraentesi per svariate ore al giorno durante l'orario pomeridiano. Nè l'aver limitato la valutazione delle immissioni al solo periodo estivo appare ridimensionare la portata afflittiva delle medesime, considerato comunque che il non poter usufruire, per più ore al giorno, durante la stagione estiva, delle luci e delle vedute di un immobile, comporta un innegabile grave detrimento nel godimento dello stesso bene, suscettibile perciò di travalicare sensibilmente quella "tolleranza" che il legislatore impone al privato.

Sul punto, inoltre, e come pure già anticipato, non si rilevano motivi per censurare le scelte concretamente operate dal CTU nell'eseguire i menzionati rilievi, atteso che il consulente medesimo ha saputo convenientemente e convincentemente motivare ciascuna di tale scelte, talchè l'adesione ad esse del giudice monocratico, in sede di procedimento cautelare d'urgenza, non appare inficiata da alcun vizio logico confutabile in questa sede: dalla lettura dell'elaborato peritale del CTU emergono infatti delle congrue ispezioni e valutazioni dei luoghi di causa, attività perciò idonee a suffragare le relative opzioni adottate dal consulente stesso, all'atto delle proprie verifiche.
L'aver ritenuto di prendere in esame, solo ai fini dello sviluppo del calcolo secondo la “Cornell formula”, una sola delle abitazioni esposte al fenomeno, di riflessione non è, contrariamente a quanto dedotto da parte reclamante, circostanza tale da inficiare l'accertamento tecnico. Ed infatti il consulente ha dato atto, motivandolo in maniera convincente, che la conformazione dello stato dei luoghi e la loro posizione rispetto all'incidenza della fonte luminosa, non avrebbe comportato differenze significative nella ripetizione dello sviluppo del calcolo matematico nelle differenti abitazioni, in quanto ciò che poteva variare era solo la sequenza nell'esposizione al riflesso luminoso.

Anche per quanto concerne la rinvenibilità dell'elemento psicologico nell'operare le predette immissioni, si ritiene di confermare le argomentazioni logico-giuridiche sviluppate nella parte motiva della reclamata ordinanza: come correttamente illustrato in tale provvedimento e nella giurisprudenza di legittimità da esso richiamata, una volta appurata la sussistenza di azioni oggettivamente atte a configurare una molestia possessoria nonché la coscienza e volontarietà di dette azioni e, conseguentemente, della loro idoneità a ledere il godimento del bene da parte del possessore, alcuna altra indagine sul momento soggettivo della condotta è richiesto al giudicante, non essendo necessario rinvenire uno specifico fine del soggetto agente.

Neppure fondata si manifesta la doglianza in merito all'asserito, mancato contemperamento tra le esigenze produttive della società reclamante e le istanze dei privati, basate tra l'altro sulla tutela del proprio diritto alla salute, costituzionalmente garantito.
Come del resto riconosciuto dallo stesso soggetto reclamante e come pacifico in giurisprudenza, l'ambito applicativo dell'art. 844 c.c., prescinde da qualsivoglia valutazione di legittimità amministrativa dell'operato dell'agente, per operare invece una valutazione del tutto autonoma e autosufficiente. Nel caso che ci occupa, tale valutazione, operata in concreto dal giudice sulla base delle risultanze peritali in atti, per quanto già detto ha evidenziato un significativo e non tollerabile vulnus inflitto ai diritti dei possessori dei beni immobili oggetto di causa, estrinsecantesi sia nell'ambito del godimento dei medesimi, pure di per sé meritevole di tutela, sia sul versante di un potenziale danno alla salute: e infatti valutazione di immediato riscontro (peraltro utilizzabile dal giudicante ai fini del decidere, senza ulteriori supporti analitico-argomentativi di carattere prettameme scientifico) che l'esposizione prolungata a una fonte luminosa di intensità notevole possa comportare nel tempo un danno all'apparato visivo di un soggetto, determinando anche danno non reversibili: ciò, valutato nell'ottica di quanto emerso in sede di consulenza tecnica (ovvero la constatazione di un riflesso luminoso intenso, duraturo e persistente, tale da non poter essere sopportato in maniera diretta senza un conseguente abbagliamento), depone per la prevalenza del diritto dei ricorrenti ex art. 703 c.p.c. su quello pure tutelato del reclamante all'esercizio di un'attività produttiva. Né si manifestano apprezzabili le controproposte avanzate per conto della società _____, intese a munire le finestre dei soggetti interessati di vetri auto-oscuranti: non è infatti chi non veda come una tale soluzione non elimini la gravità del turbamento possessorio subito dagli inquilini degli immobili, comportando comunque una drastica riduzione dell'illuminazione naturale fisiologicamente garantita dalla disponibilità di finestre e terrazze (considerato comunque come queste ultime resterebbero ad ogni modo inutilizzabili, a causa del riverbero luminoso).

Sono altresì da respingersi le considerazioni del reclamante in merito all'indebito ampliamento del “thema decidendum” che il primo giudice avrebbe operato col proprio dispositivo: si ricorda a tal proposito che, nel ricorso cautelare ex art. 703 c.p.c., tra le proprie richieste parte ricorrente aveva comunque formulato in via principale quella della rimessa in pristino dei luoghi di causa, tramite eliminazione tout court dei pannelli fotovoltaici installati dalla resistente, in subordine domandando l'adozione di quelle misure che allo stato riteneva potessero attenuare le lamentate immissioni.
Orbene, l'aver mitigato la principale richiesta dei ricorrenti, ordinando alla società resistente la semplice modifica dell'inclinazione di detti pannelli (ritenuta dal CTU in una valutazione ex ante l'unica misura idonea a escludere la molestia), rientra senz'altro tra le possibilità del giudice adito in sede cautelare, proprio in virtù di quel contemperamento degli interessi che parte reclamante ha, del resto, essa stessa invocato nei propri scritti, come sopra pure riferito.
Pertanto, la scelta di tale opzione non potrebbe in alcun modo considerarsi, per quanto detto, quale decisione ‘”ultra petitum", dovendosi respingete la relativa doglianza rappresentata in merito.
In virtù del principio generale sulla soccombenza, il soggetto reclamante andrà condannato a rimborsare a parte avversa le spese dell'odierna fase di giudizio, così come liquidate infra nel dispositivo che segue

PQM

Rigetta il reclamo;
condanna parte reclamante alla refusione delle spese della presente fase, liquidate in euro 3.4000,00 per compenso professionale, oltre IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Perugia.
Il presente provvedimento è redatto con la collaborazione del MOT in tirocinio dr. Andrea pastori
Depositato in cancelleria il 14 ottobre 2014


 

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