Sentenza ex art. 281 - sexies C.p.c.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CATANIA SEZIONE LAVORO
in composizione monocratica, nella persona del Magistrato ordinario Dott. Mario Fiorentino, in funzione di Giudice del Lavoro, nella causa civile iscritta al n. R G.L. 2695/2007 avente ad oggetto indennità di disoccupazione agricola - lavoro in agricoltura, promossa da S. A. (con l'Avv. G. M.), contro INPS (con l'Avv. A. F.), emette la seguente sentenza, che costituisce parte integrante del verbale di udienza al quale viene allegata.

Motivazione

1. Parte ricorrente ha adito la presente sede (con ricorso che deve intendersi richiamato e trascritto) per l'accertamento del diritto all'indennità di disoccupazione agricola spettante per l'anno 2005 in relazione alle 80 giornate di lavoro effettuate "alle dipendenze" dell'azienda "P. Soc. Coop. La r. a.r.l.", quale bracciante agricolo addetto alla raccolta di agrumi.
L'INPS si è costituita come memorie (che parimenti devono intendersi richiamate e trascritte) eccependo l'intervenuto annullamento degli accreditamenti contributivi relativi al rapporto dedotto dall'attore, in forza degli accertamenti effettuati nei confronti della azienda datoriale, in relazione al fenomeno del lavoro "fittizio" in agricoltura e alle indagini penali che hanno coinvolto i titolari dell'azienda medesima.
Nel corso del processo, veniva disposta l'acquisizione degli atti del procedimento penale ove risultava coinvolta l'azienda suddetta.
All'odierna udienza, le parti hanno insistito come da verbale in atti e la causa, ritenuta matura per la decisione, viene definita nei termini che seguono.
2. Giova premettere che, come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, in materia di disconoscimento ovvero in materia di indennità di disoccupazione agricola (laddove debba preliminarmente accertarsi la sussistenza del rapporto subordinato in agricoltura, come nel caso di specie), grava sul lavoratore l'onere di provare la sussistenza del rapporto ex art. 2094 c.c.
In tal senso, la Suprema Corte ha affermato che "L'iscrizione di un lavoratore nell'elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria che viene meno una volta che l'INPS, a seguito di un controllo, disconosca l'esistenza del rapporto di lavoro ai fini previdenziali, esercitando una facoltà che
trova conferma nell'art. 9 del D.Lgs. n. 375 del 1993; ne consegue che in tal caso il lavoratore ha l'onere di provare l'esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto di carattere previdenziale fatto valere in giudizio"
(Cass., civ. sez. lav., 12 giugno 2000, n. 7995; Cass. Civ. sez. lav. 19 maggio 2003 n. 7845).
Anche laddove manchi un provvedimento di disconoscimento, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che "... nel settore dell'agricoltura, il diritto ... alle prestazioni previdenziali, al momento del verificarsi dell'evento protetto, è condizionato, sul piano sostanziale, dall'esistenza di una complessa fattispecie, che è costituita dallo svolgimento di un'attività di lavoro subordinato a titolo oneroso per un numero minimo di giornate in ciascun anno di riferimento, che risulti dall'iscrizione dei lavoratori negli elenchi nominativi di cui al r.d. 24 settembre 1940 n. 1949 e successive modificazioni e integrazioni o dal possesso del cosiddetto certificato sostitutivo (che, a norma dell'art. 4 d.lg.lt. 9 aprile 1946 n.212, può essere rilasciato a chi lo richiede nelle more della formazione degli elenchi)" (Cass. civ. sez. lav. 5.6.2003 n. 9004; conf. 23.8.2004 n. 16585).
La giurisprudenza ha evidenziato che “sul piano processuale, colui che agisce in giudizio per ottenere le suddette prestazioni ha l'onere di provare, mediante l'esibizione di un documento che accerti la suddetta iscrizione negli elenchi nominativi o il possesso del certificato sostitutivo (ed eventualmente, in aggiunta, mediante altri mezzi istruttori), gli elementi essenziali della complessa fattispecie dedotta in giudizio” (Cass. cit.), ricordando altresì che “il giudice del merito... non può limitarsi a decidere la causa in base al semplice riscontro dell'esistenza dell'iscrizione (anche perchè quest'ultima, al pari dei suddetti verbali ispettivi e alla stregua di ogni altra attività di indagine compiuta dalla p.a., ha efficacia di prova fino a querela di falso soltanto in ordine alla provenienza dell'atto dal pubblico funzionario e alla veridicità degli accertamenti compiuti, ma non in riferimento al contenuto di tali accertamenti, qualora questi siano basati su dichiarazioni rese da terzi o, addirittura, dall'interessato), ma deve pervenire alla decisione della controversia mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi probatori acquisiti alla causa (In applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che rigettava la domanda del lavoratore iscritto negli elenchi, rilevando l'esistenza di contraddizioni nelle dichiarazioni delle parti in merito al rapporto dedotto, idonee a vincere la presunzione di valore probatorio della certificazione amministrativa, dichiarazioni in relazione alle quali il lavoratore non solo non aveva fornito la prova della effettività del rapporto, ma non aveva svolto alcuna contestazione)” (Cass. civ. Sez. lav. 5.6.2003 n.9004; conf. 23.8.2004 n. 16585; da ultimo, cfr. Cass. civ. sez. lav., 02.6. 2012, n. 13877).
Ed infatti, la produzione dell'iscrizione nell'elenco costituisce prova sufficiente solo ove l'istituto previdenziale convenuto non ne contesti le risultanze (Cass. Civ. sez. lav., 02.6. 2012, n. 13877).
Or, in base agli ordinari principi processuali, e agli oneri di allegazione, contestazione e prova, appare chiaro che, sia che risulti emesso un provvedimento di disconoscimento, sia che detto provvedimento manchi (e, dunque, si reputi vigente l'iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli, che va in tal caso ritualmente documentata), gli oneri probatori in ogni modo gravanti sul lavoratore presuppongono, sul piano logico, un corrispondente onere di allegazione, in specie laddove l'Istituto previdenziale contesti il carattere fittizio del rapporto ovvero l'insussistenza della subordinazione (Cass. civ. sez. lav., 02.6. 2012, n.13877, cit.).
In particolare, in ossequio all'art. 414 c.p.c., appare necessario che l'attore indichi, in maniera quanta più dettagliata possibile (per quanto compatibile con la natura del rapporto controverso), i caratteri tipici del rapporto di lavoro subordinato, il cui accertamento è necessario ai fini previdenziali invocati, dovendosi rilevare che il lavoro subordinato in agricoltura è pienamente e direttamente riconducibile al “tipo” legale, di cui all'art. 2094 c.c., del lavoro subordinato nell'impresa (Cass., civ. sez. lav., 20 marzo 2001 n. 3975).
Alla luce dei summenzionati principi deve essere deciso l'odierno ricorso.
3.Il ricorso è infondato e va rigettato.
Non risulta specificamente contestato quanto dedotto dall'Istituto, e cioè che l'Istituto ha disposto l'annullamento dell'accreditamento contributivo in relazione al rapporto lavorativo per cui è causa.
Dalla relazione amministrativa prodotta dall'Istituto, contestualmente alle memorie di costituzione, si evince, inoltre, che il rapporto di lavoro relativo a parte ricorrente è stato oggetto di specifico provvedimento di disconoscimento (v. nota INPS, del 15.10.2007).
Parte ricorrente, inoltre, sulla quale incombe, preliminarmente, l'onere di dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, non ha documentato l'iscrizione nell'elenco dei lavoratori agricoli.
Or, tenuto conto degli oneri di allegazione gravanti sul lavoratore, come sopra specificati, va evidenziato come il ricorso si rilevi particolarmente generico, non allegando con sufficiente dettaglio, in punto di fatto, i caratteri tipici della subordinazione del rapporto, nè quegli elementi, c.d. “sintomatici”, che consentano
quantomeno di potere presumere la sussistenza di un siffatto tipo di rapporto (ad es., la predeterminazione di eventuali orari di lavoro, l'eventuale predeterminazione dei turni da parte del datore di lavoro, l'eventuale sottoposizione del lavoratore al potere disciplinare del datore di lavoro in caso di mancata osservanza degli stessi, l'assenza di autonomia organizzativa del prestatore, chi fosse colui il quale impartiva le direttive, chi controllava l'adempimento della prestazione o il rispetto dei turni orari, etc.).
Il ricorrente, infatti, si limita genericamente ad affermare di avere lavorato “alle dipendenze” dell'impresa indicata in atti, “quale bracciante agricolo addetto alla raccolta di agrumi”, per un totale di 80 giornate lavorative, senza nemmeno specificare l'eventuale orario di lavoro osservato.
Nessuna allegazione consente di comprendere se ci fossero dei turni di lavoro, se questi fossero predeterminati dal datore, chi fosse il soggetto deputato ad impartire eventuali direttive ovvero a controllare l'adempimento della prestazione, quali conseguenze scaturivano in caso di mancata osservanza dell'orario di lavoro (che, come detto, neppure viene specificato), se il lavoratore fosse assoggettato al potere disciplinare del datore di lavoro, chi gli corrispondeva la retribuzione, dove si svolgeva concretamente la prestazione, etc.
Tali gravi carenze non possono essere colmate dal giudice, nemmeno facendo ricorso ai propri poteri d'ufficio, atteso che questi ultimi non possono essere utilizzati per sopperire alle carenze in punto di allegazione, ”valendo il principio generale per cui il giudice - se può sopperire alla carenza di prova attraverso il ricorso alle presunzioni ed anche all'esplicazione dei poteri istruttori ufficiosi previsti dall'art. 421 cod. proc. Civ. - non può invece mai sopperire all'onere di allegazione che concerne sia l'oggetto della domanda, sia le circostanze in fatto su cui questa trova supporto” (Cass., civ., Sez. Unite, 24 marzo 2006, n. 6572).
Ad avviso di questo giudice la rilevata carenza in punto di allegazioni potrebbe giustificare, già di per sè la reiezione della domanda attorea,”dovendo il thema decidendum della controversia essere individuato, in ragione della prescrizione di cui ai n.3 e 4 dell'art. 414 c.p.c. e della circolarità degli oneri di allegazione, di contestazione e di prova, in forma esauriente e chiara sulla base del solo atto introduttivo della lite”, non potendo nemmeno “i documenti a esso allegati servire per supplirne le carenze, stante la loro natura di mezzi di prova, volti come tali ad asseverare la veridicità e validità degli elementi di fatto e di diritto allegati in ricorso” (Cass. Civ. sez. lav. 28 maggio 2008 n. 13989).
A tal riguardo deve ricordarsi che la subordinazione si sostanzia in un vincolo di assoggettamento gerarchico consistente nella sottoposizione a direttive impartite dal datore di lavoro, in conformità alle esigenze aziendali (o datoriali) tali da inerire all'intrinseco svolgimento della prestazione e che l'elemento decisivo che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro e il conseguente inserimento del lavoratore in modo stabile ed esclusivo nell'organizzazione aziendale (cfr. Cass., civ. sez. lav., 9/3/2009 n. 5645).
Pertanto, in punto di allegazione, ove la parte intenda dimostrare la sussistenza del rapporto subordinato, appare necessario che la stessa indichi in modo sufficientemente specifico quelle circostanze concrete, relative al rapporto per cui agisce in giudizio, che consentano di ritenere sufficientemente prospettati, in fatto, gli elementi tipici della subordinazione o quanto meno i c.d. elementi sintomatici della medesima.
Non appare sufficiente la mera generica allegazione di avere svolto attività lavorativa “alle dipendenze” di una determinata azienda per lo svolgimento dell'attività di bracciante agricolo addetto alla raccolta di agrumi, posto che tali allegazioni rivestono carattere neutro (quando non meramente valutativo) e comunque non appaiono determinanti per sostenere, anche ove risultino provate, l'effettiva natura subordinata del rapporto o l'effettivo svolgimento di lavoro agricolo.
Ne consegue che l'accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro in agricoltura subordinato (necessaria per l'iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli subordinati e ai fini previdenziali invocati) appare precluso alla luce delle stesse allegazioni della parte, non avendo questa dedotto sufficienti elementi che consentano di configurare, già in astratto, la sussistenza di un siffatto rapporto (o degli altri utili ai fini dell'iscrizione nei predetti elenchi).
Ma anche ove si ritenesse di potere superare tali rilievi, va evidenziato che nemmeno le prove acquisite nel corso del processo hanno potuto comprovare la sussistenza del rapporto genericamente rappresentato.
Innanzitutto, giova evidenziare l'inammissibilità delle prove orali dedotte, tenuto conto della genericità nonchè del carattere meramente valutativo delle circostanze rappresentate, che non appaiono preordinate a dimostrare la sussistenza dei caratteri tipici della subordinazione del rapporto.
Non appare invero sufficiente dedurre che il ricorrente ha lavorato "alle dipendenze---", atteso che tale deduzione implica un mero giudizio da parte del teste, mentre non reca alcun dato obiettivo, come tale concretamente verificabile, che consenta al giudice di effettuare gli accertamenti e le valutazioni e qualificazioni che gli competono nella materia.
Nemmeno la documentazione prodotta (v. fascicolo di parte, contenente fogli trimestrali, buste paga, fogli sezione paga, cud 2006, foglio sezione matricola) appare idonea a comprovare quanto reclamato in ricorso, trattandosi di documentazione di formazione unilaterale, rilasciata dal presunto datore di lavoro, di
dubbia attendibilità.
Orbene, in generale, questo giudice ritiene che la documentazione di formazione unilaterale, anche se proveniente dal presunto datore di lavoro, abbia scarsa rilevanza nelle controversie previdenziali laddove venga contestato il carattere fittizio del rapporto o l'insussistenza o l'assenza dei contenuti tipici di cui all'art. 2094 c.c., essendo evidente che in tali casi la documentazione rilasciata dal datore può rivestire solamente carattere indiziario (cfr. tra le tante, Cass. 10529/1996, nonchè Cass. 9290/2000), e risulta scarsamente attendibile, per il potenziale eventuale coinvolgimento (e/o per la potenziale eventuale complicità) del datore di lavoro all'opera simulatoria.
In tanto un rapporto può essere instaurato fittiziamente a scapito degli Istituti previdenziali, in quanto il datore di lavoro abbia concorso nell'attività simulatoria, attraverso il rilascio delle buste paga e degli altri modelli la cui redazione rientra nel suo esclusivo ambito di competenza.
Pertanto, nelle controversie in questione, la prova dell'effettività del rapporto o dei caratteri tipici della subordinazione non può essere desunta esclusivamente dalla documentazione predetta, alla quale, per le ragioni sopra esposte, non può che riconoscersi assai modesta rilevanza probatoria.
Altrimenti opinando, si consegnerebbe al datore di lavoro, che concorra nell'illecita opera simulatoria ai danni dell'Ente, il potere di precostituire addirittura le prove per il riconoscimento del rapporto in sede giurisdizionale.
Nel caso di specie, peraltro, diversi elementi fanno propendere per l'inattendibilità della documentazione rilasciata dal datore di lavoro.
Dagli atti acquisiti del procedimento penale (allegati alla relazione amministrativa dell'Istituto), a seguito del quale è stato disposto il rinvio a giudizio del l.r. della società datoriale per i reati di cui agli artt. 110, 81 n. 7, 640, comma 2, c.p, emerge che detta società è stata costituita da C. M. (rappresentante legale), B. V. (socia, moglie del C. M.), B. F. (fratello di B. V.).
Non risultano redditi percepiti dalla società, la quale, tuttavia, ha dichiarato 205 operai per complessivi 18256 giornate di lavoro dal 2003 al 2007, con una situazione debitoria nei confronti dell'INPS pari ad €.114.287,29.
Dal sopralluogo effettuato presso la sede della società (coincidente con l'abitazione del 1.r.), non sono state rilevate insegne, targhe o qualsiasi altro elemento che potesse segnalare la presenza della società ovvero di mezzi commerciali attinenti all'attività denunziata.
I sunti delle intercettazioni evidenziano l'esistenza di seri indizi in merito all'esistenza di un'organizzazione delinquenziale dedita alla truffa.
In definitiva, i documenti rilasciati dal datore di lavoro non possono assumere particolare rilevanza probatoria in quanto essi provengono da impresa di assai dubbia costituzione, tanto è vero che nemmeno parte ricorrente è in grado di descrivere con minimo dettaglio i caratteri del rapporto di lavoro asseritamente intrattenuto con l'impresa sottoposta ad accertamento, i soggetti che lo hanno concretamente reclutato, dove concretamente è stata resa la prestazione di lavoro, chi gli impartiva le direttive, chi gli pagava la retribuzione, etc.
Alla luce di quanto premesso, il ricorso appare infondato, perchè privo di sufficienti allegazioni (e, ad avviso di questo decidente, già basterebbe per la reiezione dello stesso), nonché privo di idoneo corredo probatorio.
Inoltre, alla luce della documentazione in atti, come sopra evidenziata, tenuto conto del grado di genericità delle allegazioni in fatto, deve ritenersi verosimile la tesi della natura fittizia del rapporto di lavoro dedotto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, dovendosi peraltro evidenziare l'assenza di dichiarazione ex art. 152 disp. Att. C.p.c. (sul punto, peraltro, cfr. Cass. civ. sez. lav., 4 aprile 2012, n. 5363).

PQM

Il Tribunale di Catania, disattesa ogni ulteriore istanza, difesa o eccezione, così statuisce:
RIGETTA il ricorso;
CONDANNA parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell'Istituto, che liquida in €.200,00, oltre IVA e CP, se dovute, come per Legge.
Così deciso e pubblicato, in Catania, il dì 6 febbraio 2013
IL GIUDICE
Dott. Mario Fiorentino


 

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