REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio - Presidente -
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - rel. Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -
Dott. FERRO Massimo - Consigliere -
Dott. TERRUSI Francesco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11493/2010 proposto da:
STUDIO BASSO & DAL CIN - DOTTORI COMMERCIALISTI E REVISORI ASSOCIATI (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso l'avvocato CESARE PERSICHELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato SILVIO FRANCESCHINIS, giusta procura a margine del ricorso;
PUBBLICO MINISTERO, in persona del PROCURATORE GENERALE presso la SUPREMA CORTE di CASSAZIONE;
- ricorrenti -
contro
FALLIMENTO IMPRESA DI COSTRUZIONI P.A. & C. S.A.S., P.A.;
- intimati -
avverso il decreto del TRIBUNALE di PORDENONE, depositato il 23/03/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/02/2016 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;
udito, per il ricorrente STUDIO BASSO, l'Avvocato CESARE PERSICHELLI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per l'accoglimento dei motivi quinto e sesto e rigetto del resto.

Svolgimento del processo

Con decreto del 23/3/2010, il Tribunale di Pordenone ha respinto l'opposizione L. Fall., ex art. 90, dello Studio Basso & Dal Cin, dottori commercialisti e revisori associati, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo del Fallimento dell'Impresa di Costruzioni P.A. s.a.s., che aveva ammesso parzialmente ed in chirografo il credito vantato per prestazioni professionali (attività di consulenza ed assistenza contabile, amministrativa, tributaria, di rappresentanza tributaria in sede contenziosa).
Il Tribunale ha ritenuto infondato il vizio di ultrapetizione, per essere stato escluso il privilegio ex art. 2751 bis c.c., basandosi su motivi non dedotti dal curatore; ritenuta non controversa la titolarità del credito in capo direttamente all'associazione, ma solo il riconoscimento del privilegio, ha concluso per la non riferibilità dell'attività svolta allo schema normativo dell'art. 2751 bis c.c., ed alla peculiare tutela accordata dalla norma.
Ha ritenuto infine congrua rispetto all'attività prestata la riduzione del credito.
Lo Studio Basso & Dal Cin ha proposto ricorso avverso detta pronuncia, strutturato su sette motivi.
Il Fallimento non ha svolto difese.
Il relatore ha depositato la relazione ex art. 380 bis c.p.c.
Lo Studio ha depositato memoria.
Il Collegio ha disposto la rimessione alla pubblica udienza, non ritenendo sussistenti gli estremi per la decisione in camera di consiglio.
L'associazione professionale ha depositato ulteriore memoria, ex art. 378 c.p.c.

Motivazione

1.1.- Col primo mezzo, lo Studio Basso & Dal Cin si duole della violazione della L. Fall., art. 95, per essere stato escluso il privilegio ex art. 2751 bis c.c., sulla base della natura associativa dello studio professionale, questione non fatta valere in via di eccezione dal curatore.

2.1.- Il motivo è infondato.
Il Tribunale, nel ritenere che allo studio professionale non potesse riconoscersi il privilegio in oggetto, non ha accolto un'eccezione della Curatela, o di altri creditori, ma ha negato la spettanza del privilegio, siccome non riconoscibile alla stregua del disposto normativo all'associazione professionale.

1.2.- Con i motivi secondo, terzo, quarto e settimo, che siccome strettamente collegati vanno valutati unitariamente, lo Studio Basso e Dal Cin si duole nell'ordine: della violazione dell'art. 2751 bis c.c., n. 2, sostenendo che il vincolo associativo non incide sulla personalizzazione della prestazione, che rimane riferibile al professionista; della motivazione contraddittoria, per il rilievo attribuito dal Tribunale al "contesto" in cui viene svolta l'attività professionale, identificato con la "entità soggettiva dell'associazione"; della falsa applicazione dell'art. 2751 bis c.c., atteso che il Tribunale avrebbe dovuto valutare nel caso concreto le effettive dimensioni dello Studio ricorrente (formato da due soli dottori commercialisti, senza dipendenti) e l'incidenza della struttura associativa in cui è inserito il professionista; della mancata, immotivata ammissione delle istanze istruttorie avanzate, intese a provare che tutte le attività di cui al doc. all. 2 dell'insinuazione al passivo sono state svolte direttamente e personalmente dal Dott. B.P. dello Studio associato.

2.1.- I motivi sono fondati, nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.
Come affermato, tra le altre, nelle pronunce 15694/2011, 17683/2010 e 22439/09, l'art. 36 c.c., stabilisce che l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all'associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati; ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d'imputazione di rapporti giuridici - rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l'incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi.

Quanto al riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis c.c., n. 2, nella recente pronuncia 443/2016, questa Corte, in relazione allo studio associato tra avvocati, ha affermato che la richiesta di insinuazione di un credito al passivo fallimentare, se proveniente da uno studio associato, lascia presumere l'esclusione della personalità del rapporto d'opera professionale da cui quel credito è derivato, e, dunque, l'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio in oggetto, salva l'allegazione e la prova di un accordo tra gli associati che, in deroga al modello normativo previsto del D.Lgs. n. 96 del 2001, art. 25, comma 1, preveda la cessione all'associazione del credito al compenso per la prestazione professionale svolta dal singolo associato, che ha, in tal caso, natura personale e, quindi, privilegiata.

Il profilo della cessione del credito era stato in precedenza valutato nella sentenza 18455/2011, sia pure a livello esemplificativo, e ribadito nella successiva 11052/2012.
Tale profilo, evidentemente, non esaurisce la questione di cui si tratta, ovvero, in altri termini, la mancanza della cessione non comporta di per sè la non riconoscibilità del privilegio, costituendo solo una delle ipotesi che possono ricorrere nel caso di insinuazione al passivo dello studio associato in via privilegiata.

In termini più generali, la pronuncia 4485/2015, richiamata dalla successiva 443/2016, ha appuntato la riconoscibilità del privilegio in oggetto al conferimento dell'incarico al singolo professionista, da cui la remunerazione prevalente della prestazione lavorativa svolta dallo stesso personalmente, "che rimane unico titolare dell'attività affidatagli ed esclusivo responsabile della stessa nei confronti del cliente", mentre nel caso di incarico all'entità collettiva nella quale il professionista è inserito, il credito ha natura chirografaria, in quanto "ha ad oggetto un corrispettivo riferibile al lavoro del professionista solo quale voce del costo complessivo di un'attività che è essenzialmente imprenditoriale".
Nell'argomentazione seguita, la pronuncia 4485/2015 ha richiamato come precedente la sentenza 22439/09, che invero non ha attribuito valenza dirimente al "conferimento d'incarico", ma al "rapporto professionale".
Ancora più nello specifico, la pronuncia 17207/2013, nel richiamare il principio espresso nella sentenza 22439/2009, ha preso le mosse dall'orientamento secondo cui la proposizione della domanda d'ammissione allo stato passivo da parte dello studio professionale pone una mera presunzione d'esclusione della personalità del rapporto professionale, che può essere superata in presenza di prova che consenta d'individuare i compensi riferiti alle prestazioni direttamente e personalmente svolte dal singolo associato allo studio, e, in simile evenienza, non può precludere ex se il riconoscimento della prelazione a quel singolo personale credito.

Detta pronuncia ha ritenuto ben possibile l'interpretazione estensiva dell'art. 2751 bis c.c., n. 2, oltre il mero dato letterale, alla stregua della stretta correlazione posta da detta norma tra il privilegio e la causa del credito, operazione ermeneutica avvalorata dalle stesse S.U. che, con la sentenza 11930/2010, hanno ritenuto possibile l'interpretazione estensiva delle norme in materia di privilegio, volta che sia "diretta ad individuarne il reale significato e la portata effettiva in modo da delimitare il loro esatto ambito di operatività, anche oltre il limite apparentemente segnato dalla formulazione testuale, tenendo in considerazione l'intenzione del legislatore e la causa del credito che, ai sensi dell'art. 2745 c.c., rappresenta la ragione giustificatrice di qualsiasi privilegio".

Ciò posto, si deve rilevare che, per le più recenti pronunce sopra citate, il dato organizzativo ed economico (il credito professionale, per il fatto di essere inserito nello studio associato, verrebbe a confondersi con la remunerazione dell'attività organizzata, sì da perdere il carattere originario tanto da divenire credito d'impresa) comporta il venire meno ex se della causa del credito, da cui la perdita della ragione giustificatrice del privilegio; il che determina che, a ragione della legittimazione spettante allo studio associato, viene a mutare la causa stessa del credito, che invece costituisce una condizione originaria dello stesso.
A tale approdo interpretativo non può prestarsi adesione: ed infatti, come evidenziato da attenta dottrina, alla legittimazione ad agire non può riconoscersi l'idoneità ad incidere in maniera così determinante sulla causa del credito, che è e resta ancorata, nella specie, all'attività riferibile direttamente al professionista.

Nel tentativo di ricomporre i principi normativi nella fattispecie, deve ritenersi, nel rispetto dei limiti dell'interpretazione estensiva dell'art. 2751 bis c.c., n. 2, che la domanda di insinuazione al passivo in via privilegiata da parte dello studio associato faccia presumere che non spetti il privilegio, a meno che l'istante non provi che il credito si riferisca alla prestazione svolta personalmente dal professionista in via esclusiva o prevalente e sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesto dall'associazione.

Ne conseguirà la rigorosa indagine sul concreto espletamento della prestazione professionale, tenendosi anche conto della dimensione dell'associazione professionale, ed il riconoscimento del privilegio in oggetto limitatamente al credito o alla parte di esso per il quale sarà stata data dalla parte la prova rigorosa in oggetto.
E nella specie, la parte ha formulato istanze istruttorie a riguardo, sulle quali il Tribunale non si è espresso.

2.2.- I motivi quinto e sesto, da valutarsi congiuntamente in quanto collegati, sono fondati.
Il Tribunale è incorso nei due vizi denunciati, ritenendo che "la riduzione e la conseguente rideterminazione del credito apportata in sede di ammissione al passivo fallimentare pare congrua rispetto all'attività prestata dall'opponente senza applicare i criteri di cui all'art. 2233 c.c. e senza valutare che le condizioni economiche erano state concordate per iscritto con le lettere di incarico.

3.1.- Conclusivamente, va respinto il primo motivo di ricorso, accolti gli altri motivi; va cassata la pronuncia impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio al Tribunale di Pordenone in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra rilevato, e che provvederà anche alla statuizione delle spese relative al presente giudizio.

PQM

La Corte respinge il primo motivo di ricorso, accoglie gli altri motivi; cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Pordenone in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2016.


 

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