REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI CATANIA
Sezione Lavoro
In persona del giudice unico, dott.ssa Patrizia Mirenda, in funzione di giudice del lavoro, dando pubblica lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, all’udienza del 18 gennaio 2018, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. R.G. 6933/2016
promossa da
P. G., rappresentata e difesa, per procura resa su separato foglio allegato al ricorso, dall’avvocato Orazio Stefano Esposito;
-ricorrente-
contro
Riscossione Sicilia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura rilasciata su separato foglio materialmente congiunto alla memoria difensiva, dall’avvocato Giuseppa Vecchio;
-resistente-
Conclusioni: all’udienza di discussione del 18 gennaio 2018 le parti discutevano la causa e concludevano come da verbale in atti.

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 18 luglio 2016 la ricorrente in epigrafe indicata proponeva opposizione avverso l’intimazione di pagamento numero 29320169000146979 notificata l’11 luglio 2016 con la quale il concessionario della riscossione le aveva intimato di pagare la somma di € 3.450,68 portata dalla cartella di pagamento numero 29320030020186303 emessa per la riscossione di somme iscritte a ruolo dall’INPS che questo Tribunale aveva annullato con la sentenza n. 1702/2014 del 14 maggio 2014 a conclusione di un giudizio nel quale il concessionario della riscossione era stata parte costituita.
Assumeva l’illegittimità della intimazione di pagamento impugnata in quanto fondata su una cartella ormai annullata ed instava per la condanna del concessionario della riscossione al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata.
Resisteva il concessionario della riscossione chiedendo dichiararsi cessata la materia del contendere in quanto, “preso atto dell’avvenuto annullamento con sentenza, [aveva] già provveduto ad annullare l’intimazione di pagamento impugnata” in relazione alla cartella menzionata. Chiedeva disporsi la compensazione delle spese legali.
Parte opponente, a fronte della riferita adozione di un provvedimento di annullamento, aderiva alla richiesta di dichiararsi cessata la materia del contendere ma insisteva, secondo il principio della soccombenza virtuale, nella condanna alle spese di lite.
All'udienza odierna, sulle conclusioni delle parti comparse, la causa veniva decisa con la presente sentenza con motivazione contestuale.

Motivazione

Ciò posto, e venendo alle ragioni della decisione, va evidenziato come successivamente al deposito del ricorso sia, in effetti, emersa una circostanza -l’annullamento della intimazione di pagamento da parte del concessionario della riscossione in relazione alla parte di essa che trova fondamento sulla cartella annullata da questo Tribunale- che ha determinato il venire a mancare della posizione di contrasto tra le parti. È evidente, pertanto, atteso che le ragioni poste a fondamento del ricorso hanno trovato riscontro nel disposto annullamento, che risulta impossibile procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale conclusione del processo in relazione alla sopra detta pretesa.

Resta ferma, in ogni caso, la necessità di provvedere sulla pronuncia riguardante le spese sulla base del principio della soccombenza virtuale.
Con la sentenza resa da questo Tribunale il 14 maggio 2014, n. 1702/2014, in sede di opposizione avverso il ruolo portato dalla cartella numero 29320030020186303 sottesa alla intimazione di pagamento qui impugnata la detta cartella è stata annullata.
La doglianza con la quale la ricorrente ha lamentato la illegittimità dell’intimazione di pagamento, in quanto fondata su una cartella recante somme per contributi IVS che questo Tribunale, con la sentenza numero 1702/2014 resa all’udienza del 14 maggio 2014, ha dichiarato non dovute per aver ritenuto estinta per prescrizione la pretesa contributiva nella detta cartella cristallizzata ed oggi sottesa -insieme ad altre due cartelle estranee al giudizio- all’intimazione di pagamento, è fondata.
L’opponente ha dedotto l’insussistenza in capo all’agente della riscossione del diritto di preannunciare in suo danno l’esecuzione forzata per l’intervenuta caducazione del titolo portato dalla cartella indicata in ricorso.
In ossequio al principio nulla executio sine titulo, ai fini della legittimità di ciascun atto della riscossione occorre che il titolo esecutivo sussista nel momento in cui l’esecuzione è minacciata, come nella specie, o intrapresa. Ed invece, attesa la dichiarata non debenza delle somme per contributi portate dalla cartella sottesa all’intimazione di pagamento (cfr. la sentenza all. 2 al ricorso dalla quale risulta che il concessionario della riscossione è stato parte di quel giudizio, ove si è costituito con l’avvocato R. Jamiceli), nessuna esecuzione, in quanto non sorretta da alcun titolo, poteva essere preannunciata dall’agente della riscossione con la notifica dell’intimazione di pagamento. Ne consegue che, ove non fosse stato necessario dichiarare cessata la materia del contendere, si sarebbe dovuto dichiarare insussistente il diritto del concessionario della riscossione e, tramite esso, dell’INPS, di preannunciare l’esecuzione forzata in danno dell’opponente per il soddisfacimento della pretesa avente ad oggetto contributi IVS di cui alla cartella di pagamento numero 29320030020186303 sottesa all’intimazione di pagamento e che la detta intimazione si sarebbe dovuta dichiarare nulla, sia pure limitatamente alla parte di essa sulla detta pretesa fondata.

Quanto alle spese di lite, che si liquidano come in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55/2014, esse devono farsi gravare sul concessionario della riscossione atteso che lo stesso era parte costituita nel giudizio conclusosi con l’annullamento della cartella. Nessun rilievo assume nella regolamentazione delle spese la sollecitazione fatta al contribuente nella intimazione di pagamento di segnalare l’eventuale sospensione o annullamento del titolo, specialmente ove si consideri che lo stesso concessionario della riscossione, nel sollecitare in tale senso il destinatario della intimazione, ha fatto specifico riferimento all’ipotesi di “una sospensione giudiziale oppure [..] una sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell’Ente creditore, emesse in un giudizio al quale il concessionario per la riscossione non ha preso parte”. Nella specie la circostanza che il concessionario della riscossione si sia costituito nel giudizio conclusosi con l’annullamento della cartella rende ingiustificata la intimazione di pagare anche quanto risulta dalla cartella annullata; ne consegue che non vi sono ragioni per compensare, neppure parzialmente, le spese.

Deve invece rigettarsi la richiesta di condanna ex art. 96 comma 2 c.p.c.
Parte opponente non ha indicato quali conseguenze dannose avrebbe subìto, diverse dal doversi rivolgere ad un difensore per impugnare l’intimazione di pagamento, sostenendone i costi.
L’unico danno astrattamente risarcibile concerne i costi di tutela legale sopportati dall’opponente e la rifusione delle spese processuali è idonea a coprire tale danno.
Neppure sembrano ricorrere i presupposti per giustificare l’esercizio del potere discrezionale di cui all’articolo 96 comma 3 c.p.c.

PQM

Il Tribunale di Catania, in persona del giudice unico, dott.ssa Patrizia Mirenda, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente decidendo nella causa iscritta al n. 6933/2016 R.G., disattese ogni ulteriore domanda, eccezione e difesa, così statuisce:
Dichiara cessata la materia del contendere sulla intimazione di pagamento numero 29320169000146979 avente ad oggetto la pretesa portata dalla cartella numero 29320030020186303.
Condanna Riscossione Sicilia s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a rifondere le spese del giudizio che liquida in complessivi € 843,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15%, CPA e IVA come per legge, disponendone la distrazione in favore del procuratore antistatario avvocato Orazio Stefano Esposito.
Così deciso in Catania all’udienza del 18 gennaio 2018.
Il giudice del lavoro
dr. Patrizia Mirenda


 

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