REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI CATANIA
PRIMA SEZIONE CIVILE
COMPOSTA DAI MAGISTRATI
dott. Domenico Motta -Presidente -
Dott. Roberto Cordio -Consigliere-
Dott. Monica Zema -Consigliere relatore -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n.r.g. 1678/2013
Oggetto: opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento
promossa da:
Si.Gen.Co. Sistemi Generali Costruzioni Spa in liquidazione, in persona del liquidatore Perna Teodoro
con il patrocinio dell'avv. Zappalà Salvatore e dell'avv. Di Cataldo Vincenzo
Viale XX Settembre 43 Catania; elettivamente domiciliato nel suo studio in viale XX Settembre 43 Catania
- RECLAMANTE -

contro
FALLIMENTO DELLA S.P.A.A SI.GEN.CO. SISTEMI GENERALI COSTRUZIONI
con il patrocinio dell'avv. Santangeli Fabio elettivamente domiciliato in Corso Italia n.171 Catania presso il difensore avv. Santangeli Fabio
- RECLAMATO -

SICILFERRO TORRENOVESE S.R.L.
Con il patrocinio dell'avv. Scurria Marcello elettivamente domiciliato in via Aloi 46 presso il difensore avv. Scurria Marcello
- RECLAMATO -

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI CATANIA
- RECLAMATO CONTUMACE -

All'udienza del 19/03/2014, la Corte poneva la causa in decisione

Svolgimento del processo

Con reclamo depositato il 18.12.2013, la SI.GEN.CO. Sistemi Generali Costruzioni s.p.a. in liquidazione impugna la sentenza n.197 del 2013, depositata il 21.11.2013, con cui il Tribunale di Catania ha revocato l'ammissione della stessa al concordato preventivo e, su istanza del Pubblico Ministero e della Sicilferro Torrenovese srl, ne ha dichiarato il fallimento.
In particolare, il Tribunale, "Visto il ricorso depositato il 13 maggio 2013 da SI.GEN.CO. Sistemi Generali Costruzione s.p.a. (di seguito SIGENCO), avente per oggetto una proposta di concordato preventivo, nonchè il piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta, la relazione del professionista attestatore e i documenti allegati; visto il decreto, reso dall'intestato Tribunale in data 20 maggio 2013, che ha ammesso SIGENCO alla procedura di concordato, fissando l'adunanza dei creditori; vista la relazione del Commissario Giudiziale depositata il 3 ottobre 2013, come successivamente integrata in data 14 ottobre 2013;
viste le istanze di fallimento avanzate dal Pubblico Ministero e dalla Sicilferro Torrenovese S.r.l., sentiti la società proponente, il commissario giudiziale e i creditori intervenuti all'udienza in camera di consiglio del 11 novembre 2013 e udito il Giudice Delegato; ritenuto che nella richiamata relazione del Commissario Giudiziale, come successivamente integrata, l'ausiliario della procedura ha inteso segnalare al Tribunale fatti di rilievo, accertati nel corso della stessa, sulla scorta delle relazioni provenienti dai consulenti nominati dal Giudice Delegato e degli approfondimenti autonomamente svolti, così compendiabili: a) l'omessa esposizione di taluni rilevanti crediti vantati nei confronti della società proponente, nonchè di importanti contenziosi pendenti; b) l'esposizione in chirografo di crediti previdenziali, discendenti da indebita compensazione con crediti tributari inesistenti; c) l'esistenza di un attivo patrimoniale assai inferiore a quello indicato nella proposta (c1: per effetto del venire meno delle garanzie offerte da un terzo debitore della proponente, c2: per l'impossibilità di fare affidamento sul valore di un bene immobile concesso alla SIGENCO in leasing, c3: per l'inserimento nell'attivo di riserve sui lavori appaltati e crediti in conseguenza di assai dubbio fondamento); d) l'esistenza di passività superiori a quelle esposte nella proposta (d1: per maggiori oneri di gestione, d2: per le ricordate passività non esposte in proposta); e) una falcidia per i creditori chirografari, per effetto dei rilievi indicati sub c) e d), tale da esporre il detto ceto creditorio al rischio di non ricevere alcun apprezzabile soddisfacimento in sede di liquidazione dei beni ceduti"


sulla base dei rilievi formulati dal Commissario sub a), ha revocato l'ammissione della Sigenco Spa al concordato preventivo ai sensi dell'art. 173, comma 1 e 3 l.f., affermando la sussistenza di gravissime e reiterate omissioni all'interno della proposta concordataria, del relativo piano e della relazione dell'esperto, sia in relazione a poste creditorie neppure contestate, sia a poste contestate, che rendevano manifeste, da un lato, la dolosa volontà di SIGENCO di occultare parte del passivo, inducendo il ceto creditorio chirografario a confidare, erroneamente, in percentuali di soddisfacimento apprezzabili (risultando dalla relazione del commissario, all'udienza fissata per l'adunanza dei creditori, che il passivo chirografario, sulla base delle sole dichiarazioni di credito, risultava asceso ad oltre 96 milioni, rispetto ai 76 milioni indicati nel piano), e, dall'altro, l'inidoneità della relazione del professionista attestatore - per la sua oggettiva portata decettiva – a consentire il superamento del vaglio di ammissibilità ai sensi dell'art. 161 l.fall., e, "assorbito l'esame degli ulteriori rilievi spiccati dal Commissario nella relazione in atti", ha dichiarato il fallimento della Sigenco Spa, ritenendo lo stato di insolvenza della stessa ex art. 5 l.f.

Innanzi a questa Corte si sono costituiti la curatela del Fallimento Sigenco spa e la Sicilferro Torrenovese srl che hanno chiesto il rigetto del reclamo.
La Procura della Repubblica, nonostante la regolarità della notifica, è rimasta contumace.
All'udienza del 19/03/2014, la Corte poneva la causa in decisione.

Motivazione

TEMPESTIVITà RECLAMO
Preliminarmente, va dichiarata la tempestività del presente reclamo.
Ed invero, lo stesso è stato proposto nel termine di 30 giorni dalla notificazione della sentenza dichiarativa di fallimento, così come previsto dall'art. 18 legge fall.
Il reclamo è stato, infatti, depositato il 18.12.2013, mentre la sentenza dì fallimento è stata depositata il 21.11.2013.

ECCEZIONI INAMMISSIBILITÀ RECLAMO
Sempre in via preliminare, va rigettata l'eccezione di inammissibilità del reclamo sollevata dalla curatela del fallimento secondo cui, nonostante la sentenza si fondi su due ragioni di revoca (1° fraudolenta omissione dell'esposizione debitoria complessiva e 2° inidoneità della relazione dell'attestatore a superare il vaglio di ammissibilità della proposta), è stato impugnato solo il primo motivo di revoca e non anche il secondo, non avendo la società ricorrente dedotto nulla in ordine alla rilevata inidoneità della relazione, con la conseguenza che la sentenza impugnata è passata in giudicato.
Il rilievo non può essere condiviso. Non può, quindi, ritenersi che vi sia un capo della decisione reclamata passato in giudicato in quanto non impugnato.
Invero, pur se la sentenza si basa su due ragioni di revoca – la prima, per atti in frode, ai sensi del primo comma dell'art. 173 lo.f., e, la seconda per inattendibilità della relazione dell'attestatore, ai sensi del secondo comma del medesimo articolo in combinato disposto con gli artt. 161 e 162 l.f., con conseguente inammissibilità della proposta – sussiste, come dedotto dalla difesa della Sigenco, un inscindibile collegamento tra la ritenuta omissione di alcune voci di debito e l'inattendibilità della relazione del professionista: non vi sono ragioni di inattendibilità di quest'ultima che si fondano su omissioni diverse da quelle qualificate da Tribunale come in atti in frode ovvero da quelle non ritenute fraudolente ma gravide "di sicure refluenze sulla sostenibilità dell'intera proposta concordataria" (v. pag. 4 della sentenza impugnata).

La reclamante, contestando la portata decettiva della relazione, il carattere fraudolento delle contestate omissioni e il sindacato effettuato dal Tribunale sulla sostenibilità della proposta, ha impugnato tutte le argomentazioni utilizzate dal primo giudice per giungere alla decisione di revocare l'ammissione al concordato preventivo.
Ne consegue che non può neppure ritenersi, come vorrebbe il fallimento, con l'ulteriore eccezione di inammissibilità sollevata, che il reclamo sia privo del requisito della specificità in quanto ha "omesso di formulare uno specifico motivo di gravame su un punto decisivo della sentenza" (v. pag. 6 della comparsa di costituzione della curatela).
Com'è pacifico, infatti, in dottrina ed in giurisprudenza, il grado di specificità dei motivi, non potendo essere stabilito in termini generali ed assoluti, va valutato in correlazione con il tenore della motivazione della sentenza impugnata e deve considerarsi integrato quando, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengono contrapposte quelle dell'appellante in modo da incrinare il relativo fondamento logico giuridico, come nell'ipotesi in cui, pur non procedendo all'esplicito esame dei passaggi argomentativi della sentenza, l'appellante svolga i motivi di impugnazione in termini incompatibili con il complessivo iter logico giuridico della decisione impugnata, atteso che, in tale caso, l'esame dei singoli passaggi argomentativi risulta in effetti inutile (Cass. 2012/16262).

PRIMO MOTIVO DI RECLAMO di cui al punto 2 dell'atto di reclamo:
assenza di istanza di fallimento, rinvio dell'esame

Con il primo motivo di doglianza, indicato al punto 2.1 del reclamo, la Sigenco spa sostiene che il Tribunale non poteva dichiarare il suo fallimento stante l'assenza di apposite istanze da parte di soggetti legittimati; più precisamente, la reclamante sostiene che il pubblico ministero, dopo aver depositato istanza di fallimento, non si è successivamente presentato all'udienza dell'11.11.2013 in cui il Tribunale si è riservato di decidere, e che il creditore Sicilferro - il cui avvocato non aveva la procura ed aveva proposto verbalmente l'istanza di fallimento all'udienza del 4.11.2013 -, a quella medesima udienza dell'11.11.2013, non ha insìstito nella richiesta di fallimento ed, anzi, ha formulato istanze diverse (di acquisizione del contratto di vendita di due appalti): entrambe le parti avrebbero, così, rinunciato implicitamente all'istanza (a prescindere dal fatto che, in ogni caso, l'avvocato del creditore non era legittimato a proporla per mancanza dì procura né l'aveva ritualmente proposta).

L'esame della presente doglianza va rinviata all'esito dell'esame degli ulteriori motivi di reclamo con i quali la Sigenco spa chiede l'annullamento della decisione del Tribunale di revocare la sua l'ammissione alla procedura di concordato preventivo. Ed infatti, nell'ipotesi di accoglimento dei detti motivi e di conseguente annullamento della disposta revoca, verrebbe meno anche la dichiarazione di fallimento. Ne conseguirebbe, pertanto, l'inutilità di stabilire se le istanze di fallimento proposte dovevano ritenersi rinunciate o no.

MOTIVO DI RECLAMO di cui al punto 3:
Giudizio sulla sostenibilità della proposta
Omissione Crediti Italcemente Spa, Banca Ifis Spa, Saint Gobain Pam Italia Spa, Simas, Caprari Spa

La sentenza impugnata ritiene che vi sia stata l'omessa indicazione, nel piano allegato alla proposta e nell'elenco dei creditori, ma non anche nella relazione dell'attestatore, "dei crediti vantati da Italcementi s.p.a, Banca IFIS s.p.a., Saint Gobain PAM Italia s.p.a., SIMAS e CAPRARI s.p.a., per importi complessivamente superiori a circa dieci milioni di euro, tutti peraltro fondati su decreti ingiuntivi, in alcuni casi anche provvisoriamente esecutivi (Italcementi S.p.a. e Caprari S.p.a), ovvero addirittura divenuti definitivi per mancata opposizione nei termini (Banca IFIS s.p.a.)" e ritiene che, pur dovendosi escludere l'atto in frode, essendo stati i crediti de quibus esposti nella relazione dell'attestatore, le suddette omissioni incidono "sulla sostenibilità dell'intera proposta concordataria, trattandosi di crediti, come visto, in alcuni casi muniti di titolo giudiziale definitivo, ovvero di ipoteca giudiziale (idonea a mutarne il rango da chirografario ad ipotecario) e per importi complessivamente idonei, da soli, ad assorbire integralmente il c.d. fondo rischi (pari a 10 milioni di euro) stanziato proprio per far fronte (tra gli altri oneri imprevisti) anche agli effetti del rilevante contenzioso pendente" (v. pag. 4).

La Sigenco spa, al punto 3.1.1. del reclamo, preso atto che il Tribunale, con riferimento ai crediti in esame, ha escluso l'atto in frode, spiega la loro mancata contabilizzazione nella determinazione del debito complessivo con la circostanza che trattasi di crediti contestati (con esclusione, evidentemente, del credito Banca Ifis spa per € 325.588,68, oltre ad accessori, portato, come si legge in sentenza, da un decreto ingiuntivo divenuto definitivo); evidenzia che degli stessi si è tenuto conto attraverso l'appostazione del fondo rischi nel quale sono stati inseriti solo i crediti contestati "probabili", con possibilità di riconoscimento superiore al 50%, e, ciò, in applicazione di criteri contabili, espressione di un principio di ragionevolezza.

Deduce che, dei 22 giudizi passivi pendenti, solo 7 possono essere classificati, in virtù dei pareri legali posti a base delle valutazioni effettuate dall'asseveratore, con esito negativo probabile, con un presumibile aggravio del passivo di soli € 212.150, 58, importo inferiore al fondo richi di € 10 milioni; deduce, altresì, che detto fondo copre il valore dell'intero contenzioso passivo di Sigenco (pari ad € 10.277.264,14), inclusi pure i giudizi con esito negativo solo "possibile" ed esclusi solo i "remoti".

La reclamante ha, poi, contestato il giudizio sulla sostenibilità della proposta effettuata dal Tribunale - il quale ha ritenuto che le posizioni debitorie in esame incidono su quest'ultima perché azzerano il fondo rischi - affermando che detto giudizio, oltre ad essere erroneo, non potendosi tenere conto dei giudizi passivi con esito positivo solo remoto, non rientra nelle valutazioni affidate all'autorità giudiziaria (punti nn. 3.1.2, 3.2. 3.3 e 8 del reclamo).
Più precisamente, la Sigenco spa deduce: che il Tribunale non può utilizzare diversi criteri di valutazione della fondatezza del contenzioso passivo e della congruità del fondo rischi come ragione di revoca del concordato in quanto ciò si tradurrebbe in una valutazione della fattibilità della proposta preclusa all'organo giudiziario, spettando solo ai creditori decidere se approvare o meno la proposta; che l'intervento del Tribunale ha nociuto ai creditori ai quali soltanto spettava un giudizio di convenienza economica della proposta, giudizio che presuppone una valutazione prognostica in ordine alla fattibilità del piano; che le Sez. Unite, con la sentenza 2013/15221, affermano che, nel caso di concordato con cessione integrale dei beni, come quello de quo, solo ove via sia l'impossibilità di una sia pure minima soddisfazione dei creditori mancano i presupposti di ammissibilità e che il potere di autodeterminazione dei creditori rimane integro attraverso il voto; che il controllo del giudice riguarda solo l'effettiva realizzabìlità della causa concreta che attiene al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore ed al soddisfacimento sia pure modesto dei creditori; che, peraltro, lo stesso Commissario nella relazione integrativa (v. pag.12) aveva concluso affermando che, nonostante tutto, residuava un attivo sufficiente al pagamento integrale dei creditori privilegiati ed al pagamento in percentuale dei creditori chirografari.
Sul punto il fallimento replica che il Tribunale deve dare un giudizio relativo alla fattibilità giuridica della proposta e verificare se vi sia la possibilità di assicurare una soddisfazione anche solo minimale ai creditori chirografari; che, nel caso di specie, non c'è la suddetta possibilità e, cioè, il pagamento di una quota anche minima in tempi ragionevoli ai creditori chirografari e che ciò esclude la fattibilità giuridica; che la stima degli impianti e dei macchinari effettuata da Sigenco in € 3.535.050, e non modificata dal commissario, è, invece, risultata, nella stima del consulente della procedura, inferiore di oltre il 50%; che l'importo dei crediti stimati dalla proponente in € 9.896.775,64 è stato stimato dal commissario in misura inferiore; che la Corte potrebbe modificare il calcolo delle sanzioni da indebite compensazioni tributarie iscritte dal commissario prudenzialmente al 50% del loro ammontare e collocare le stesse tutte al privilegio (come ipotizzato dal commissario nella relazione del 12.10.2013): che ciò comporterebbe un aumento del montante dei crediti privilegiati a € 4.000.000,00 circa e dunque l'azzeramento delle risorse disponibili per i chirografari indicate dal commissario nella relazione del 12.10.2013 in € 2.680.168,47.

Va premesso che il fallimento non ha proposto reclamo incidentale avverso la parte della sentenza che esclude la natura di atti in frode delle omissioni in esame (e, cioè, dei crediti Italcementi Spa, Banca Ifis Spa, Saint Gobain Pam Italia Spa, Simas, Caprari Spa) e che tale punto non può essere rivisitato da questa Corte e, ciò, in quanto, il reclamo, com'è oramai pacifico in giurisprudenza, non ha una natura pienamente devolutiva, ma resta vincolato ai motivi di gravame.
Ciò posto, in questa sede di reclamo, con riguardo alle dette omissioni, può solo stabilirsi se il giudizio sulla sostenibilità della proposta effettuato dal Tribunale rientri o no nei suoi poteri.

Si ritiene di dover dare sul punto una risposta negativa.
Il Tribunale ha affermato che l'omessa indicazione nel piano allegato alla proposta e nell'elenco dei creditori di crediti certi (Banca Ifis spa) ovvero assistiti da ipoteca giudiziale (Italcementi spa) ovvero contestati (Saint Gobain Pam Italia Spa, Simas, Caprari Spa) è ingiustificata e influisce sulla sostenibilità della proposta in quanto trattasi di crediti idonei da soli ad assorbire il fondo rischi stanziato per far fronte al rilevante contenzioso.
Ha, altresì, precisato che detta omissione non vi era nella relazione dell'attestatore che, anzi "(occupandosene in relazione ai vari contenziosi pendenti) ha consentito di estendere la notizia dell'esistenza di siffatti crediti" (v. pag. 4 sentenza).
Ciò vuol dire che l'informazione relativa all'esistenza delle suddette passività era stata fornita con la citata relazione dalla Sigenco spa al ceto creditorio il quale, pertanto, era stato messo in condizione di effettuare le sue valutazioni con riferimento alla congruità del fondo rischi.
Come affermato dalla Suprema Corte nella nota sentenza a Sezioni Unite, la n. 1521 del 2013, è "rimessa ai creditori la valutazione in ordine alla convenienza economica della proposta, mentre spetta al Tribunale il compito di controllare la corretta proposizione ed il regolare andamento della procedura, presupposto indispensabile al fine della garanzia della corretta formazione del consenso" del ceto creditorio (v. punto 15.1 della citata sentenza).
Più precisamente, la valutazone rimessa ai creditori, "perché venga espressa correttamente e determini il giusto esito della instaurata procedura concordatizia, presuppone che i creditori ricevano una puntuale informazione circa i dati, le verifiche interne e le connesse valutazioni, incombenti che assumono un ruolo centrale nello svolgimento della procedura in questione ed al cui soddisfacimento sono per l'appunto deputati a provvedere dapprima il professionista attestatore ..., in funzione dell'ammissibilità al concordato (L. Fall., art. 161), e quindi il commissario giudiziale prima dell'adunanza per il voto (L. Fall., art, 172)" (v. punto 13.1 delle Sez. Unite; v. pure Cass., 2011/13817 che ha precisato che in sede di riesame della proposta ex art. 173 fall, è "vero che, a differenza di quanto avviene in occasione dell'esame di ammissibilità della proposta, il Tribunale avrebbe il conforto dell'apporto conoscitivo e valutativo del commissario giudiziale, ma questo in realtà non è destinato al giudice ma alla platea dei creditori che possono così comparare la proposta e le valutazione dell'esperto attestatore con la relazione redatta da un organo investito di una pubblica funzione; resta sempre, infatti, insuperabile il rilievo secondo cui il Tribunale è privo del potere di valutare d'ufficio il merito della proposta, in quanto tale potere appartiene solo ai creditori così che solo in caso di dissidio tra i medesimi in ordine alla fattibilità, denunciabile attraverso l'opposizione all'omologazione, il Tribunale, preposto per sua natura alla soluzione dei conflitti, può intervenire risolvendo il contrasto con una valutazione di merito in esito ad un giudizio, quale è quello di omologazione, in cui le parti contrapposte possono esercitare appieno il loro diritto di difesa del tutto inattuabile, invece e almeno per quanto concerne i creditori, nella fase in esame)."

Il sindacato del giudice attiene, allora, al requisito di fattibilità giuridica del concordato e "deve essere esercitato sotto il duplice aspetto del controllo di legalità sui singoli atti in cui si articola la procedura e della verifica della loro rispondenza alla causa del detto procedimento" (punto n. 19), procedimento che persegue la duplice finalità del "superamento della crisi dell'imprenditore" e del "riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti" (v. punto 13.2); a tal ultimo fine il giudice "deve certamente esercitare sulla relazione del professionista attestatore un controllo concernente la congruità e la logicità della motivazione, anche sotto il profilo del collegamento effettivo fra i dati riscontrati ed il conseguente giudizio.
Peraltro è altrettanto certo che, proprio in ragione della diversità del ruolo del giudice cui si è sopra fatto cenno, questi non può esercitare un controllo sulla prognosi di realizzabilità dell'attivo nei termini indicati dall'imprenditore, esulando detta prognosi dalla causa del concordato come precedentemente delineata ed essendo la stessa rimessa alla valutazione dei creditori quali diretti interessati, una volta assicurata la corretta trasmissione dei dati ed acquisite le indicazioni del commissario giudiziale, nell'esercizio delle funzioni di controllo e di consulenza da lui svolte nella veste di ausiliario del giudice"
(v. punto 15.1 delle citate Sezioni Unite)

Ciò premesso, si ritiene che il Tribunale, nel caso in esame, pur verificando la corretta trasmissione dei dati da parte dell'attestatore (non ha, infatti, formulato, con riguardo alle omissioni de quibus, un giudizio negativo sulla completezza e congruità della relazione di cui al terzo comma dell'art. 161 l.f.) ed in presenza delle indicazioni del commissario giudiziale, ha esercitato un sindacato sulla fattibilità economica del piano e, precisamente, ha formulato una prognosi sul futuro che non gli competeva.
Erano i creditori a dover effettuare le vantazioni sul punto relativo alla sostenibilità della proposta concordataria in considerazione dei rilievi del commissario, dell'entità del crediti contestati indicati nella relazione dell'asseveratore, pur se non nel passivo, e della fondatezza di questi ultimi.


Il legislatore, invero, ha previsto, come evidenziato in dottrina, "in vista della puntuale informazione della collettività dei creditori e, quindi, in vista della ottimale ponderazione da parte della medesima collettività dei "margini di permanenza della causa", una duplice "garanzia", che si articola, dapprima, nella relazione ex art, 161, comma 3, legge fallim. del professionista attestatore, e poi, nella relazione particolareggiata ex art. 172, comma 1, legge fallim. - e nel parere -del commissario giudiziale".
E, nel caso di specie, la relazione ex art. 172, comma 1°, l.f., già menzionava i crediti contestati omessi.

Nelle ipotesi di pretermissione, peraltro non dolosa, come oltre si specificherà, di debiti nel piano allegato alla proposta e nell'elenco dei creditori, qualora, come nel caso in esame, non sia stata ancora tenuta l'adunanza, appare più congrua con la nuova fisionomia del concordato, rispetto al revoca dell'ammissione sic et simpliciter, l'illustrazione dei fatti accertati da parte del commissario al fine di consentire ai creditori di assumere consapevolmente l'ulteriore rischio del concordato.
In questa direzione, con riguardo al mutamento delle condizioni di fattibilità del piano, si è indirizzato il legislatore introducendo, come evidenziato pure dalle citate Sezioni Unite, un ulteriore comma all'art. 179 l.f., secondo cui "Quando il commissario rileva, dopo l'approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all'udienza di cui all'art. 180 per modificare il voto".

I rilievi del fallimento, sopra riportati, non possono, pertanto, essere condivisi.
Con gli stessi la curatela sostiene che rientra nel giudizio di fattibilità giuridica spettante al giudice verificare se vi è la possibilità di assicurare una soddisfazione sia pure minimale ai creditori chirografari, andando nel merito di contrario avviso rispetto a quanto sostenuto nel piano o anche nella relazione del commissario (per esempio aderendo alle stime più basse del valore degli impianti e dei macchinari effettuate dal consulente della curatela ovvero stimando l'importo dei crediti secondo le più basse valutazioni del commissario o modificando il calcolo delle sanzioni da indebite compensazioni tributarie iscritte, invece, dal commissario prudenzialmente al 50% del loro ammontare e collocando le stesse tutte al privilegio, come ipotizzato dal commissario nella relazione del 12.10.2013, con conseguente aumento del montante dei crediti privilegiati a € 4.000.000,00 circa e dunque l'azzeramento delle risorse disponibili per i chirografari, indicate, invece, dal commissario nella relazione del 12.10.13 in € 2.680.168,47).

Alla luce dei principi sopra esposti, appare evidente che il giudice non possa effettuare le valutazioni richieste dal fallimento in quanto le stesse rientrano nel sindacato della fattibilità economica della proposta e sono riservate al ceto creditorio che, con i dati messi a disposizione, è in grado di effettuarle.
Sul punto può rinviarsi a quanto sul punto ritenuto da Cass., 2011, n. 13817 in un caso analogo a quello in esame secondo cui non può "assumere rilievo la considerazione della Corte di merito secondo la quale, come avrebbe accertato il Tribunale, "i creditori chirografari non avrebbero ricevuto alcunché". ... ciò che rileva è che, dovendosi logicamente escludere che la stessa proposta non prevedesse alcun pagamento in favore dei chirografari, in quanto se così fosse l'inammissibilità sarebbe stata rilevata e pronunciata immediatamente in sede di esame della proposta stessa in quanto difforme dal modello legale, il giudizio della Corte d'Appello è frutto evidentemente di una diversa valutazione dell'esito della liquidazione dei beni e quindi ancora una volta di valutazione in concreto e di merito della fattibilità della proposta di concordato in modo difforme dal proponente, operazione, questa, che si è già rilevato non essere consentita al giudice prima del giudizio di omologazione e in assenza di esplicita richiesta di un creditore".
In conclusione, il motivo in esame appare fondato.

MOTIVO DI RECLAMO di cui al punto 7:
carattere fraudolento delle omissioni contestate

Preliminare all'esame dei motivi di doglianza di cui ai punti nn. 4, 5 e 6 dell'atto di reclamo, relativi alle ulteriori (rispetto a quelle esaminate nel paragrafo precedente) omissioni di crediti contestate (relative, precisamente, al credito del Banco Popolare Siciliano per € 8.819.723,95, nonché ai crediti, sub iudice, vantati da Saba Italia per 11 milioni di euro e da Gelar a rl e Tecnis spa per 31 milioni di euro), è l'esame del motivo di appello sub punto 7 dell'impugnazione nella parte in cui la Sigenco spa contesta che, in via generale, la mancata indicazione, pure nella relazione dell'asseveratore, di crediti possa essere qualificata come atto in frode.

Va premesso che non appare contestato da alcuna delle parti la definizione in astratto dell'atto in frode data dalla sentenza impugnata, secondo cui:
"a tenore di un orientamento della S. C., ormai in via di sicuro consolidamento, gli "atti di frode", presupposto della revoca dell'ammissione al concordato preventivo dopo la riformulazione della disciplina del concordato preventivo, da parte del d.l. 35/2005 prima e del d.lgs. 169/2007 poi, non possono essere più individuati semplicemente negli atti in frode ai creditori di cui agli artt. 64 e
segg. l.fall., ovvero comunque in pregressi comportamenti volontari idonei a pregiudicare le aspettative di soddisfacimento del ceto creditorio, ma esigono che la condotta del debitore sia volta ad occultare situazioni di fatto idonee a influire sul giudizio dei creditori, cioè situazioni che, da un lato, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una vantazione diversa e negativa della proposta e che, dall'altro, siano state "accertate" dal commissario giudiziale, cioè da lui "scoperte", essendo prima ignorate dagli organi della procedura o dai creditori (così Cass. 23.6.2011, n.13817; Cass. 15.10.2013, n. 23387);
che, in sostanza, alla luce dell'orientamento sopra descrìtto, in tanto i comportamenti del debitore anteriori alla presentazione della domanda di concordato possono essere valutati ai fini della revoca dell'ammissione al concordato, ìn quanto abbiano una valenza decettiva e quindi siano tali da pregiudicare un "consenso informato" dei creditori"
(v. pag. 3 della sentenza impugnata).

Pacifica appare tra le parti pure la necessità dell'elemento soggettivo e, cioè, del carattere doloso dell'atto (Cass., 2011/17038).
Ciò che parte reclamante contesta è la qualificazione, effettuata dal primo giudice, delle omissioni di passività quali atti in frode, omissioni che, secondo il Tribunale, avrebbero indotto "il ceto creditorio chirografario a confidare, erroneamente, in percentuali di soddisfacimento apprezzabili (si veda la relazione del commissario, all'udienza fissata per l'adunanza dei creditori, ove il passivo chirografario, sulla base delle sole dichiarazioni di credito, risulta asceso ad oltre 96 milioni, rispetto ai 76 milioni indicati nel piano)" (v. pag. 6 della sentenza impugnata).

Sostiene la Sigenco spa che gli "altri atti in frode" di cui all'art. 173 l.f. (non rientrando pacificamente le omissioni contestate negli atti di frode tipizzati dalla norma) non sarebbero configurabili in caso di esposizione di minori passività, ma solo, al contrario, in caso di aumento del passivo; sostiene, altresì, la reclamante che, come ritenuto da Cass., 2013/23387, per configurare l'atto di frode, il silenzio del debitore deve riguardare non qualsiasi operazione, ma operazioni suscettibili di assumere diverso rilievo, ai fini del soddisfacimento dei debitori, in caso di fallimento e di concordato preventivo (questo aspetto non ricorrerebbe nel caso di Sigenco, perché i crediti già oggetto di contenzioso riceverebbero il medesimo trattamento sia in sede di concordato che di fallimento).
A sostegno delle proprie affermazioni, la reclamante cita parti della motivazione di Cass., 2011/13817 secondo cui "il legislatore enuncia espressamente alcuni dei possibili comportamenti rilevanti (occultamento o dissimulazione di parte dell'attivo, dolosa omissione dell'esistenza di crediti, esposizione di passività inesistenti) e con una evidente disposizione di chiusura integra tale elencazione, indicativa e non tassativa, con il richiamo ad "altri atti di frode". Non pare contestabile, stante l'utilizzo dell'aggettivo "altri", che abbia inteso creare un collegamento con la precedente elencazione nel senso che i comportamenti espressamente indicati sono atti di frode e che nella stessa categoria rientrano quegli altri comportamenti che hanno le stesse caratteristiche distintive. E allora non può non rilevarsi che gli atti elencati non sono accomunati, ad esempio, dall'attitudine a creare un danno al patrimonio, posto che tale attitudine non ha l'esposizione di passività inesistenti, mentre invece un minimo comune denominatore è dato dalla loro attitudine ad ingannare i creditori sulla reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, sottacendo l'esistenza di parte dell'attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da far apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare".

Quanto sostenuto dalla Sigenco spa non può essere condiviso da questa Corte.
Secondo la stessa sentenza citata dalla reclamante, che peraltro precisa che l'elencazione di cui alla prima parte del primo comma dell'art. 173 l.f. è "indicativa e non tassativa", "si tratta di comportamenti volti a pregiudicare la possibilità che i creditori possano compiere le valutazioni di competenza avendo presente l'effettiva consistenza e la reale situazione giuridica degli elementi attivi e passivi del patrimonio dell'impresa. Ma se tale è la connotazione unificante degli atti espressamente individuati dal legislatore come fraudolenti la stessa connotazione debbono avere gli altri indefiniti comportamenti dell'imprenditore per poter essere qualificati atti di frode".
Si ritiene che non avrebbe avuto senso da parte del legislatore prevedere la categoria degli "altri atti di frode" se questi dovevano rientrare necessariamente nelle fattispecie tipizzate dalla norma e, cioè, nell'occultamento o dissimulazione dell'attivo, nella omessa denuncia di crediti e nell'esposizione di passività insussistenti (va precisato che non si ritiene di aderire alla tesi – pur autorevolmente sostenuta in dottrina - che ritiene che il legislatore sarebbe incorso in un lapsus calami, in quanto, nell'elencazione di cui alla prima parte dell'articolo in esame, intendeva riferirsi, più che all'omessa denunzia di crediti, all'omessa denuncia di debiti).

Inoltre, non si ritiene di poter condividere l'ulteriore argomentazione, pur se sostenuta in una sentenza della Suprema Corte, la n. 23387 del 2013, secondo cui, per configurare l'atto di frode, il silenzio del debitore deve riguardare non qualsiasi operazione, ma operazioni suscettibili di assumere diverso rilievo, ai fini del soddisfacimento dei debitori, in caso di fallimento e di concordato preventivo. Diversamente, infatti, si restringerebbero notevolmente, pur senza alcun riscontro nel dato letterale della norma, i casi in cui potrebbe disporsi la revoca dell'ammissione al concordato ex art. 173 legge fall.

In conclusione, in conformità all'orientamento giurisprudenziale prevalente, si ritiene che, in linea di principio, anche le omissioni di debiti, pur se contestati, possono integrare gli estremi dell'atto in frode se ricorre l'elemento soggettivo, e, cioè, l'intento fraudolento e decettivo, la cui sussistenza va, evidentemente, valutata caso per caso, tenendo conto pure del carattere eventualmente remoto della pretesa.

Il motivo di reclamo in esame va, invece, condiviso, seppure con diversa motivazione, nella parte in cui critica la sentenza laddove la stessa afferma che "la sussistenza di crediti oggetto di contestazione giudiziale non preclude il loro doveroso inserimento nella proposta (eventualmente in apposita classe ad essi riservata), assolvendo tale adempimento, ricadente sul debitore ed oggetto di controllo critico sulla regolarità della procedura assolto direttamente dal Tribunale, ad una fondamentale esigenza di informazione dell'intero ceto creditorio".
La Sigenco spa afferma che non "sarebbe stato corretto (come il Tribunale dice avrebbe dovuto farsi) configurare una "classe" per i crediti oggetto di contestazione. La suddivisione in classi è prevista per il caso in cui si prevedano trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse. E questo, con tutto evidenza, non è il caso della proposta di concordato di SIGENCO, neppure quanto ai creditori contestati, per i quali è previsto trattamento identico a quello di tutti gli altri creditori, fatta salva solo la distinzione, di legge, tra creditori privilegiati e creditori chirografari".

Sul punto questa Corte ritiene che i crediti contestati devono essere tutti indicati nella relazione di cui all'art. 161, comma 2°, lett.a) l.f. - che quindi deve contenere la stima degli effetti economici di passività potenziali anche solo remote al fine di informare i creditori -, poiché gli stessi sono suscettibili di incidere negativamente sul soddisfacimento pianificato dal debitore; ritiene, però, e in questo discostandosi da Cass., 2012 n. 13284 ed in conformità con quanto sostenuto da parte della dottrina, che il proponente non possa essere costretto ad inserire le dette passività in apposite classi o in classi omogenee.
Ed invero, non può imporsi al debitore di offrire un pagamento che non ritiene dovuto: saranno i creditori a decidere se assumere il rischio, nell'ipotesi di accertamento del credito contestato, di una minore soddisfazione per effetto dell'accettazione della proposta così come formulata.
Ne consegue che il motivo di reclamo dì cui al punto n. 7 dell'atto di reclamo va solo in parte condiviso e che i motivi di doglianza, oltre esaminati, verranno valutati alla luce di quanto sopra ritenuto.

MOTIVO DI RECLAMO di cui al punto 4:
omessa indicazione del credito del Banco Popolare Siciliano per € 8.819.723,95

La sentenza impugnata ha ritenuto che "non v'è traccia di sorta, né nel piano, né nell'elenco dei creditori e neppure nella relazione dell'attestatore, del credito per € 8.819.723,95 -si veda la dichiarazione di credito resa in data 7.10.2013 (in atti) -vantato da Banco Popolare Siciliano (in forza del conto corrente cointestato con TECNIS s.p.a), dovendosi decisamente escludere che siffatta posta sia quella inserita nell'elenco dei creditori tra i "debiti diversi chirografari" e denominata "debiti V/ATI Siciliacq. cooptata x caso Gelar", in quanto, per un verso, si riferisce genericamente ad un esposizione debitoria collegata all'appalto conferito dalla committente Sicilacqua s.p.a. -e quindi solo arbitrariamente riconducibile al debito nascente dal detto conto corrente bancario – e, per altro verso, la somma indicata nell'elenco dei creditori (€ 1.204.890,97) appare assai lontana da quella effettivamente vantata dall'istituto di credito, non potendosi neppure utilmente sostenere -perché si tratterebbe comunque di informazione gravemente errata, essendo la correntista comunque tenuta per l'intero saldo passivo verso la banca -che SIGENCO, poiché coobbligata in solido con altra correntista (la TECNIS), abbia inteso esporre un debito solo per la quota interna del 20% a lei spettante (senza considerare che il 20% di 8.819.723,95 è pari ad € 1.763.944,79, somma sensibilmente diversa da quella esposta nel cennato elenco dei creditori)" (v. pag. 4).

La reclamante evidenzia che, il conto corrente in questione, il n. 2397/48, non è cointestato a SIGENCO e Tecnis, come affermato in sentenza, ma è intestato all'ATi Sigenco & Tecnis, cioè, all'associazione temporanea di impresa (tra SIGENCO e Tecnis) costituita per l'espletamento dell'appalto di Siciliacque.
Inoltre, afferma che "non è vero che il credito della Banca è stato omesso, perché anche di esso la relazione dell'asseveratore ha dato conto (pag. 92- rectius 90 e 91-della relazione Virgillito), riferendo anche che il dato evidenziato era quello risultante dalla contabilità (come "debito verso ATI / Siciliacque cooptata per caso GELAR") e che era pendente il relativo contenzioso, con l'assistenza legale dell'avv. Di Cataldo.
Neppure è vero che SIGENCO risponde per l'intera esposizione del conto, perché tale conto non è (co)intestato a SIGENCO ... Le partecipanti all'ATI rispondono delle obbligazioni dell'ATI non in parti uguali, ma nella misura della loro partecipazione all'ATI stessa. SIGENCO, come già detto, partecipa all'ATI solo al 20% (atto costitutivo, doc. 10). Di conseguenza, SIGENCO non risponde in
misura superiore alla quota di partecipazione (20%)"
,

Il rilievo è fondato
La sentenza reclamata ha ritenuto che il conto corrente n. 2397/48, aperto presso il Banco Popolare Siciliano, fosse cointestato a Sigenco spa, come erroneamente riferito dal commissario giudiziale a pag. 11 della relazione integrativa del 12.10.2013.
In realtà, così come dedotto dalla reclamante, lo stesso è intestato all'associazione temporanea di impresa tra SIGENCO e Tecnis, come affermato dallo stesso creditore nella dichiarazione del 7/10/2013, laddove si legge che il citato conto corrente è "intestato all'ATI Sigenco & Tecnis".
Trattasi, pertanto, di un credito che la banca vanta verso un soggetto giuridico diverso dalla reclamante, la quale, pur tuttavia, afferma di averlo inserito tra i suoi debiti (alla posta "altri debiti", sotto ta voce "debiti v/ati siciliacq cooptata x caso gelar"), pur se in una percentuale pari circa al 13% rispetto all'importo risultante dalla dichiarazione del creditore.
Affermazione credibile considerato che il conto corrente era intestato all'Ati, a cui la reclamante partecipava, e che non sono emerse altre causali relative alla citata voce.
In ogni caso, trattandosi di un debito vantato nei confronti di un terzo, non può parlarsi di omissione di passività e, in ogni caso, non può ritenersi sussistente l'elemento soggettivo dell'intento fraudolento.

Alla luce di ciò, perdono di rilievo le argomentazioni sopra riportate che hanno indotto il Tribunale a ritenere l'omissione in esame, come le altre di cui oltre, priva "di qualsivoglia plausibile giustificazione" (v. pag. 5 della sentenza), nonché i rilievi sollevati dalla curatela in comparsa di costituzione (compreso il rilievo di cui alla nota 3 di pag. 16).
In conclusione, il motivo di reclamo in esame va ritenuto fondato e l'omissione del credito in esame non può essere considerata un atto in frode legittimante la revoca di cui all'art. 173 l.f.

MOTIVO DI RECLAMO di cui al punto 5:
omissione credito SABA Italia Spa per 11 milioni di euro

La sentenza impugnata alle pagg. 4 e 5 afferma: "neppure vi è traccia nella proposta, nel piano e nell'attestazione del professionista del credito vantato da SABA Italia s.p.a. per oltre 11 milioni di euro (si veda la nota trasmessa al Commissario in data 30.09.2013 dalla predetta, anch'essa in atti), pure oggetto di domanda riconvenzionale in seno ad un giudizio arbitrale promosso dalla medesima SIGENCO nel gennaio del 2013".

In vìa preliminare la reclamante rileva che "Il punto in questione non è mai stato sollevato dal Commissario nelle due relazioni ex art. 173 l. fall.; esso non è mai stato oggetto di contraddittorio nel procedimento ex art. 173 I.fall., e, per esso, SIGENCO non ha potuto esplicare il diritto di difesa che le spettava. Di conseguenza, tale rilievo non poteva essere preso in considerazione al fine della decisione in ordine al procedimento ex art. 173 l.fall.".
Il fallimento ha "evidenziato che il Commissario Giudiziale ha contestato l'omessa indicazione del credito della Saba Italia s.p.a. sin dalla relazione ex art. 172 l.f. (doc. 3, pag. 7); su tale indicazione la reclamante non ha inteso muovere alcun rilievo.
Ancora, il Commissario, unitamente alla seconda relazione depositata in data 12/10/2013 (e dunque due giorni prima dell'udienza del 14/10/2013, cfr. doc. 6) ha allegato la comunicazione inviata da Saba Italia s.p.a., all'interno della quale veniva data contezza del contenzioso attivo e passivo.
Anche su tale documento la reclamante non ha inteso prendere posizione, né nelle note depositate il 14/10/2013, né nelle successive del 4/11/2013 o all'udienza dell'11/11/2013.
È evidente che non sussiste alcuna violazione del diritto di difesa, essendo stata la ricorrente nelle condizioni di contestare l'indicazione del credito"
(v. pagg. 17 e 18 della comparsa di costituzione).

Tenuto conto anche delle ulteriori precisazioni effettuate sul punto dalla reclamante nelle memorie depositate in data 19.2.2014, si ritiene che non vi sia stata una violazione del diritto di difesa di Signeco spa in quanto, come affermato dal fallimento, quest'ultima ha avuto modo di interloquire sull'indicazione del credito in esame effettuata dal commissario giudiziale sia nella relazione ex art. 172 l.f. (pur se quest'ultima è un atto finalizzato alla sola adunanza dei creditori ed alla stessa pare estranea ogni segnalazione legata agli atti in frode di cui all'art. 173 l.f.) sia mediante allegazione, alla relazione integrativa depositata in data 12/10/2013, della comunicazione inviata da Saba Italia s.p.a.

Passando all'esame del merito, va evidenziato che vi è certamente un'omissione da parte della proponente del credito vantato dalla Saba Italia spa in quanto di esso non vi è alcuna traccia nella relazione dell'asseveratore, neppure, come sostenuto dalia Sigenco spa a pag. 22 della memoria datata 19.2.2014, alle pagg. 105 e 106 dove si fa riferimento solo al contenzioso attivo verso Saba Italia spa e si richiama il parere legale dell'avv. Frontoni solo con riferimento alla prognosi di realizzo di quest'ultimo. Nessun cenno si fa alla domanda riconvenzionale proposta da Saba nel medesimo giudizio arbitrate.
Né può ritenersi, come sostenuto da Sigenco alle pagg. 13 e 14 della memoria del 19.2.2014, che il citato parere legale prodotto in altro procedimento di concordato preventivo, conclusosi con una pronuncia di inammissibilità, debba considerarsi depositato anche nel procedimento di concordato preventivo de quo costituendo gli stessi "unico procedimento senza alcuna soluzione di continuità", rappresentata, invece, si ritiene, dall'intervenuta dichiarazione di inammissibilità.
Peraltro, sul punto la reclamante pare contraddirsi laddove, nella stessa memoria nonché nelle memorie del 10.3.2014, sostiene - con riferimento alla procura rilasciata al difensore della Sicilferro - che la presente fase di revoca (normalmente considerata un sub procedimento che si innesta in quello di concordato preventivo) costituisca, invece, un diverso procedimento rispetto a quello in cui si innesta.
Nè appare congruo il richiamo all'art. 69 bis, comma 2°, l.f. Effettuato dalla Sigenco spa nelle memorie del 19.2.2014.

Va allora verificata la sussistenza dell'elemento fraudolento e decettivo dell'omissione in esame. Si ritiene possa trattarsi di omissione meramente colposa: non pare, infatti, che fraudolentemente la reclamante abbia inteso occultare la domanda riconvenzionale de qua ed, infatti, questa era comunque indicata al punto 7 del parere Frontoni richiamato - con riguardo al solo contenzioso attivo - nella relazione dell'asseveratore, seppur non allegato alla stessa; ed invero, il Tribunale avrebbe potuto richiedere la produzione del medesimo, così come avvenuto nel precedente procedimento di concordato preventivo con decreto dell'll.4.2013 (v. doc. 6 prodotto da Sigenco spa in sede di reclamo).
Va pure tenuto conto del fatto che trattasi di richiesta di accertamento di credito formulata nell'ambito di un giudizio introdotto da Sigenco spa e che nasce, quindi, come reazione all'azione giudiziaria da quest'ultima intrapresa.

Ferma l'esclusione dell'elemento soggettivo, con riguardo all'argomentazione del primo giudice secondo cui Sigenco avrebbe indotto il ceto creditorio chirografario a confidare, erroneamente, in percentuali di soddisfacimento apprezzabili, si riporta quanto ritenuto da Cass., S. U., 2013/1521 secondo cui "La causa della procedura di concordato sopra richiamata esclude infatti che l'indicazione di una percentuale di soddisfacimento dei creditori da parte del debitore possa in qualche modo incidere sull'ammissione del concordato e d'altro canto, come questa Corte ha pure avuto modo di precisare con recente decisione, quando si tratti di proposta concordatizia con cessione dei beni la percentuale di pagamento eventualmente prospettata non è vincolante, non essendo prescritta da alcuna disposizione la relativa allegazione ed essendo al contrario sufficiente "l'impegno a mettere a disposizione dei creditori i beni dell'imprenditore liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la liquidazione o ne alterino apprezzabilmente il valore", salva l'assunzione di una specifica obbligazione in tal senso (C. 11/13817).
D'altro canto, a voler ragionare diversamente (e cioè a ritenere sindacabile dal giudice la percentuale di soddisfacimento del credito indicata) si verrebbe a determinare una sottrazione ai creditori della valutazione circa la fattibilità della proposta di concordato, e ciò in contrasto con l'intenzione del legislatore, oltre che con il contenuto delle modifiche dallo stesso apportate."

In conclusione, il motivo di appello in esame va ritenuto fondato.

MOTIVO DI RECLAMO di cui al punto 6:
omissione credito Gelar e Tecnis spa per 31 milioni di euro

La sentenza impugnata, a pag. 5, afferma "che nulla, poi, si dice negli atti depositati dalla proponente e nella relazione del professionista sui crediti vantati dalla GELAR, a r.l. (oggi dichiarata fallita) e da TECNIS s.p.a., oggetto di una citazione innanzi al Tribunale di Catania spiccata nel dicembre del 2012 ed avente un petitum di ben 31 milioni di euro".
La reclamante evidenzia che la suddetta pretesa di Gelar e Tecnis spa ricomprende le pretese di Saint Gobain Pam Italia e Banco popolare Siciliano.
Più precisamente, afferma, senza essere sul punto contraddetta dalle controparti, che "la voce passiva Banco Popolare Siciliano, come la voce Saint Gobain, afferisce al contenzioso complessivo tra Sigenco e la consortile Gelar in dipendenza dell'appalto verso Sicilìacque. Tale appalto è affidato ad una ATI tra Tecnis (capogruppo) e Sigenco ...
Alla vicenda GELAR appartiene anche un altro contenzioso passivo (la cui sentenza qui reclamata pure si riferisce, rimproverando a SIGENCO di non averne tenuto conto all'interno del proprio passivo), avente ad oggetto una domanda proposta congiuntamente contro SIGENCO da GELAR e Tecnis per circa 30 milioni di euro.
In realtà, questa somma (chiesta a titolo di risarcimento del danno) "ricomprende" (l'atto di citazione lo evidenzia chiaramente. Doc. 9) gli stessi importi relativi alle domande dei due giudizi su discussi: €. 8.0000.000,00 circa relativi al contenzioso Saint Gobain, ed € 7.000.000,00 circa relativi al contenzioso Banco Popolare Siciliano. Già solo per questo, sarebbe assurdo "sommare" il quantum di queste tre cause passive.
La differenza, pari a circa €. 16.000.000,00 è costituita dal preteso danno risarcìbile motivato da una azione di responsabilità promossa da GELAR nei confronti dell'Avv. Santo Campione (quale preteso amministratore di fatto di GELAR). Le società attrici hanno ritenuto, non è dato capire sulla base di quali norme, che la responsabilità sorta in capo all'avv. Campione (ovviamente, tutta da dimostrare in giudizio) si "estenderebbe" anche a SIGENCO (per il semplice fatto di essere società posseduta e amministrata dall'avv. Campione). Lo si deve dire con la massima chiarezza: nessuna norma vigente giustifica detta "estensione", e quindi questa domanda deve essere valutata totalmente infondata. Questo petitum non ha titolo a comparire in alcun modo nel passivo di SIGENCO"
.

Il motivo di reclamo appare fondato in considerazione della circostanza che quanto esposto da Sigenco Spa in ordine alla causa petendi della pretesa di Gelar e Tecnis non è stato contestato dalle controparti.
Se, quindi, trattasi di una domanda il cui accoglimento appare remoto alla luce di quanto affermato dalla reclamante, non può ritenersi detta omissione priva "di qualsivoglia plausibile giustificazione" né attribuirsi alla stessa carattere doloso, ma può la si può ritenere solo colorata da un atteggiamento soggettivo meramente colposo.
Va poi richiamato quanto ritenuto ne! paragrafo precedente, con riguardo alla induzione del ceto creditorio, affermata dal Tribunale, a confidare su percentuali di soddisfacimento apprezzabili.
Spetterà, quindi, ai creditori, oramai informati della vicenda, prendere le loro determinazioni.

ULTERIORI MOTIVI DI REVOCA
A pag. 31 della sua comparsa di costituzione, il fallimento afferma che "La proposta è affetta da ulteriori innumerevoli vizi che comportano la inammissibilità della stessa per i rilevati atti di frode e comunque per la oggettiva decettività della stessa, oltre che per l'inidoneità ed insufficienza della relazione dell'asseveratore.
La sentenza, ritenendo sufficienti ai fini della revoca i fatti da essa esaminati, ha considerato "...assorbito l'esame degli ulteriori rilievi spiccati dal commissario nella relazione in atti...".
Tali profili, ove ritenuti utili e necessari, potranno essere agevolmente esaminati in questa sede, integrando ulteriori ragioni di revoca del concordato".

Questa Corte ritiene di non poter esaminare ulteriori motivi di revoca non oggetto di esame nella sentenza impugnata, e, ciò, in considerazione della natura, oramai pacifica in giurisprudenza, non pienamente devolutiva del reclamo che resta, invero, vincolato ai motivi di doglianza (Cass., 2013/17205).

In considerazione dell'accoglimento della richiesta di annullamento della decisione di revoca dell'ammissione al concordato preventivo, che travolge anche la dichiarazione di fallimento, viene meno la necessità di esaminare il motivo di doglianza di cui al punto 2 dell'atto di reclamo, relativo alla legittimità ed alla persistenza delle istanze di fallimento presentate dal P.M. e dalla Sicilferro Torrenovese S.r.l.

In considerazione della complessità della vicenda, si ritiene ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese processuali.

PQM

La Corte, definitivamente pronunciando, così dispone:
accoglie il reclamo e, per l'effetto, annulla la sentenza impugnata e rimette le parti innanzi al Tribunale dì Catania per la prosecuzione della procedura di concordato preventivo;
compensa tra le parti le spese processuali.
Così deciso in Catania, 23.4.2014
IL GIUDICE RELATORE
dott. Monica Zema
IL PRESIDENTE
dott. Monica Zema


 

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