REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STILE Paolo - Presidente -
Dott. VENUTI Pietro - rel. Consigliere -
Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere -
Dott. DORONZO Adriana - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 656/2013 proposto da:
BARSA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO BORSIERI 3, presso lo studio dell'avvocato TIZIANA DONNINI, rappresentata e difesa dall'avvocato PERRONE CAPANO Carmine, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
R.C.;
- intimata -
nonchè da:
R.C., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato CARPAGNANO Domenico, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
BARSA S.P.A.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 3406/2012 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 31/07/2012 R.G.N. 6092/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2015 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l'improcedibilità, inammissibilità, rigetto del ricorso principale, accoglimento del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

La Corte d'appello di Bari, con sentenza resa pubblica il 31 luglio 2012, ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da R.C. nei confronti della S.p.A. BAR.S.A. volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento disposto a seguito di procedura di mobilità L. n. 223 del 1991, ex art. 4 e la reintegrazione nel posto di lavoro.
La Corte anzidetta ha ritenuto che era stata violata da parte della società la disposizione di cui all'art. 5 di detta legge in tema di individuazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità.
In particolare nella comunicazione di apertura della procedura di mobilità la società aveva dichiarato che si sarebbe attenuta, ai fini del personale da licenziare, ai criteri della "volontarietà", dei carichi di famiglia, dell'anzianità e delle esigenze tecnico- produttive ed organizzative, in concorso tra loro, ed a tali criteri aveva fatto riferimento nella comunicazione inoltrata, a chiusura della procedura, alla Direzione Regionale del Lavoro, alla Commissione Regionale per l'impiego e alle organizzazioni sindacali, ribadendo che erano stati applicati i criteri di scelta di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1. Nel giudizio di primo grado e, successivamente, nel ricorso in appello aveva viceversa affermato che la selezione del personale da porre in mobilità era avvenuta esclusivamente in base al criterio dei carichi di famiglia.
L'ambiguità di tale condotta era stata rilevata dal giudice di primo grado, il quale, nell'affermare che erano state violate le disposizioni relative alle modalità con le quali erano stati applicati i criteri di scelta, aveva ritenuto inefficace la comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, della legge suddetta. Tale statuizione, idonea a sorreggere autonomamente la decisione, non era stata oggetto di censura da parte della società, circostanza questa che comportava l'inammissibilità del gravame, posto che l'eventuale accoglimento delle altre censure non sarebbe stato comunque idoneo a rimuovere le ragioni della decisione ed il passaggio in giudicato della statuizione non impugnata.

Comunque, ad abundatiam, erano infondati, ad avviso della Corte di merito, anche i motivi di gravame, atteso che non solo erano stati adottati criteri di scelta difformi da quelli indicati nella comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, citato, ma non era stato dato conto, per ciascuno dei lavoratori, dei criteri di comparazione adottati, in modo da consentire ai sindacati e agli organi amministrativi di assolvere alla loro funzione di controllo.
Infondato era, ad avviso della Corte territoriale, l'appello incidentale della lavoratrice, la quale aveva lamentato la parziale compensazione delle spese da parte del giudice di primo grado che, accogliendo la domanda riconvenzionale della società in ordine alla restituzione del trattamento di fine rapporto, aveva ravvisato una parziale soccombenza reciproca. Ed infatti, in forza della sentenza di reintegrazione pronunciata dal Tribunale era venuta meno la ragione giustificatrice della percezione, da parte della lavoratrice, del trattamento di fine rapporto, onde correttamente era stata disposta la compensazione parziale delle spese processuali.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso la società sulla base di due motivi, articolati in più censure ed illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso la lavoratrice, la quale propone a sua volta ricorso incidentale per un solo motivo.

Motivazione

1. I ricorsi, in quanto proposti avverso la stessa sentenza, devono essere riuniti ex art. 335 c.p.c..

2. Con il primo motivo del ricorso principale è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Si sostiene che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che non fosse stata impugnata la statuizione di primo grado relativa alla indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità. La Corte anzidetta non dà infatti tenuto "presente il contenuto del lungo ricorso in appello della S.p.a. Bar.S.A. che da pag. 8 a pag. 16 si è soffermato sulla interpretazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, nonchè sulla comparazione dei dipendenti da licenziare, dedicando successivamente un intero motivo di impugnazione per dimostrare la legittimità dei criteri di scelta nella procedura di licenziamento collettivo".

3. Con il secondo motivo è denunciata omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia nonchè violazione dell'art. 2697 c.c..
Si assume, con riguardo all'indicazione dei criteri di scelta, che la posizione di alcuni dei lavoratori da licenziare era perfettamente uguale, sicchè non potevano essere prese in considerazione le esigenze tecnico produttive e l'anzianità di servizio, essendo stati i dipendenti assunti tutti nella stessa data. Nella individuazione dei lavoratori da licenziare erano stati dunque presi in considerazione solo gli impiegati con minori carichi di famiglia: da ciò il licenziamento della sig.ra R.
Aggiunge la ricorrente che la comunicazione di apertura della procedura di mobilità conteneva tutte le indicazioni previste dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, ed in particolare i motivi che avevano determinato l'eccedenza e i criteri per la comparazione dei dipendenti da licenziare.
Più precisamente la procedura di mobilità aveva riguardato tutti gli impiegati di grado intermedio e la scelta del personale era avvenuta tenendo presente l'intero organico aziendale e un solo criterio del tutto obiettivo, e cioè quello dei carichi di famiglia.

4. Con l'unico motivo del ricorso incidentale si deduce che la Corte di merito ha respinto l'appello incidentale della lavoratrice relativo alle spese del giudizio di primo grado, sul rilievo che la medesima, in quanto tenuta a restituire il trattamento di fine rapporto per effetto dell'accoglimento della domanda e della reintegrazione nel posto di lavoro, era rimasta parzialmente soccombente.
Tale statuizione, ad avviso della ricorrente, è errata, non essendosi la medesima mai opposta alla restituzione del t.f.r. in caso di accoglimento della domanda.

5. Il ricorso principale, i cui motivi vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, non è fondato.

La Corte di merito ha ritenuto che erano stati violati da parte della società i criteri per la individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità, avendo la società, diversamente da quanto affermato nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, fatto esclusivo riferimento, ai fini del personale da licenziare, ai criteri dei carichi di famiglia.
Ad avviso della Corte territoriale, tale statuizione, idonea a sorreggere autonomamente la decisione, non era stata oggetto di censura da parte della società, onde il gravame era inammissibile, essendo sul punto la sentenza di primo grado passata in giudicato.
In ogni caso, secondo la stessa Corte, erano infondati nel merito anche i motivi di gravame, atteso che non solo erano stati adottati criteri di scelta difformi da quelli indicati nella comunicazione suddetta, ma in tale comunicazione non era stato dato conto, per ciascuno dei lavoratori, dei criteri di comparazione adottati, in modo da consentire ai sindacati e agli organi amministrativi di assolvere alla loro funzione di controllo.

A fronte di tali affermazioni, la società ricorrente oppone che la statuizione suddetta era stata censurata e richiama, a tal riguardo, il ricorso in appello, "da pag. 8 a pag. 16". Ma, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non prospetta in quali termini tutto ciò è avvenuto, incorrendo nella inammissibilità della censura, atteso che il ricorso per cassazione deve contenere, a norma dell'art. 366 c.p.c., i motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza, motivi che devono avere i caratteri della specificità e completezza, con la esposizione delle ragioni che illustrino in modo esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto ovvero le carenze della motivazione.
In ogni caso, la ricorrente ammette esplicitamente che l'unico criterio adottato ai fini della individuazione dei lavoratori da licenziare è quello dei carichi famiglia, con ciò confermando la difformità tra tale criterio e quelli indicati nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, in cui era stato fatto riferimento, ai sensi dell'art. 5, comma 1, della stessa legge, ai criteri dei carichi di famiglia, dell'anzianità e delle esigenze tecnico produttive ed organizzative, in concorso tra loro.

Al riguardo deve evidenziarsi che il criterio dell'applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità è decisivo ed essenziale, atteso che esso costituisce, a fronte dell'interesse imprenditoriale a soddisfare l'esigenza della ristrutturazione aziendale, il momento unico di tutela del lavoratore per la verifica del comportamento datoriale secondo i principi generali di correttezza e buona fede nelle vicende del contratto di lavoro. Da ciò l'esigenza di una procedura che non lasci, neanche in via marginale, la possibilità al datore di lavoro di una scelta diretta alla eliminazione di un lavoratore in luogo di un altro. La determinazione datoriale di ridurre il personale, insindacabile nel merito in quanto frutto di valutazione discrezionale, subisce una limitazione solo nel momento della individuazione dei soggetti coinvolti. Ne consegue che il datore di lavoro, una volta stabiliti i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, non può derogare a tali criteri, atteso che tale condotta non consente alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza e la trasparenza dell'operazione e non pone in grado il lavoratore di percepire perchè lui - e non altri dipendenti - sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l'illegittimità della misura espulsiva.

Il ricorso principale deve pertanto essere respinto.

6. E' invece fondato il ricorso incidentale.
La Corte di merito ha errato nel ritenere che, dovendo la lavoratrice restituire il trattamento di fine rapporto per effetto dell'accoglimento delle domande di illegittimità del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro, la medesima fosse rimasta parzialmente soccombente.
Da un lato, infatti, la restituzione del t.f.r. è una mera conseguenza dell'accoglimento delle domande anzidette; dall'altro non risulta che la R. si sia opposta a detta restituzione.

La sentenza impugnata deve pertanto, in relazione alla predetta censura, essere cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa sul punto va decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, con la condanna della società al pagamento delle spese - liquidate come in dispositivo - di entrambi i giudizi di merito, nei quali è rimasta totalmente soccombente, nonchè di quelle del presente giudizio, avuto riguardo all'esito dello stesso. Tali spese vanno distratte a favore dei difensori della R., dichiaratisi anticipatari.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e accoglie quello incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e, decidendo nel merito, condanna la s.p.a. BAR.S.A. al pagamento delle spese di entrambi i giudizi di merito, che liquida, per ciascuno di essi, in Euro 800,00 per diritti ed Euro 1.700,00 per onorari, nonchè al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, con distrazione a favore degli Avv.ti Domenico Carpagnano e Antonio Lacerenza.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2015


 

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