REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMO Maurizio - Presidente -
Dott. BRUNO Paolo Antonio - Consigliere -
Dott. SETTEMBRE Antonio - Consigliere -
Dott. MICHELI Paolo - rel. Consigliere -
Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto nell'interesse di:
R.R.:
avverso la sentenza emessa il 05/05/2014 dal Tribunale di Palermo;
visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GALASSO Aurelio, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
udito per la ricorrente l'Avv. AGATI Ottorino, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso, e l'annullamento della sentenza impugnata.

Svolgimento del processo

1. Il difensore di R.R. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa il 04/02/2014, nei confronti della sua assistita, dal Giudice di pace di Palermo.
La R. è stata ritenuta responsabile del delitto di ingiuria, in ipotesi commesso ai danni di una vicina, L.V. G.: secondo l'assunto accusatorio, l'imputata rivolse frasi offensive alla persona offesa dopo avere steso sul balcone un tappeto, che aveva sgocciolato sulla sottostante terrazza della L. V.

La difesa deduce:
contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, con riguardo alla esclusione dell'esimente di cui all'art. 599 c.p.. La R. ammise di avere utilizzato espressioni ingiuriose sulla madre e sulle sorelle della L.V., spiegando però che era stata per prima l'altra ad assumere una condotta verbalmente aggressiva, protestando per l'incidente domestico e facendo allusioni al padre dell'imputata, coinvolto di recente in presunti episodi di molestia in danno di minori: al contrario di quanto ritenuto dal Tribunale, tale ricostruzione non appare smentita dalle dichiarazioni di altri vicini (i quali avevano riferito del diverbio, escludendo però che la persona offesa avesse a sua volta pronunciato parolacce all'indirizzo della ricorrente), giacchè i testi de quibus avevano precisato di non avere assistito alla prima parte della discussione.
Inoltre, non avrebbe spessore l'argomento utilizzato dal giudice di appello, secondo cui doveva escludersi che la L.V. avesse assunto un atteggiamento provocatorio iniziale, solo perchè i suddetti testimoni ne aveva ricordato una condotta sostanzialmente passiva nel prosieguo del diverbio: il contesto descritto, quanto meno, avrebbe dovuto deporre per l'incertezza sulla reale dinamica dell'accaduto, non foss'altro per il dubbio oggettivamente registrato circa l'invocata provocazione; - carenza di motivazione in ordine all'entità del danno risarcibile.

Secondo la difesa, le espressioni in rubrica non avrebbero la "spiccata" capacità offensiva evidenziata dai giudici di merito, nè appare condivisibile la tesi che il contesto condominale in cui si svolsero i fatti fosse idoneo ad ampliare detta offensività, sino addirittura a fungere da "cassa di risonanza per un numero indeterminato di persone".

2. Con atto depositato il 07/04/2015, il difensore della R. ha fatto pervenire un motivo nuovo di ricorso, sollecitando in favore della sua assistita il riconoscimento della nuova causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis c.p., come introdotto dal D.Lgs. n. 28 del 2015.

Motivazione

Il ricorso è fondato.

Le osservazioni sviluppate dal Tribunale di Palermo per escludere la ravvisabilità di una provocazione appaiono in effetti contraddittorie rispetto alle risultanze processuali riportate nella stessa motivazione della sentenza impugnata, atteso che:
a fronte della versione della R. (secondo cui era stata la L. V. a prenderla a male parole, dinanzi al problema del tappeto che aveva provocato disturbo alla persona offesa), viene riconosciuta fede alla ricostruzione della controparte perchè questa avrebbe trovato "persuasivo conforto" nelle indicazioni fornite dai vicini B. e C., che tuttavia non ebbero modo di assistere all'intero svolgersi della scena;
- il B., le cui sole dichiarazioni vengono riportate dal giudice di appello, disse infatti di avere visto "due donne che litigavano, e quella di sotto con la faccia alzata verso sopra chiedeva spiegazioni", il che dimostra che egli notò un diverbio già in atto, senza nulla poter riferire sulle condotte iniziali delle due protagoniste; l'avere il testo descritto "quella di sotto" rivolta verso l'alto con richiesta di spiegazioni smentisce semmai la scansione degli eventi offerta dalla L.V., secondo cui ella non avrebbe proferito parola all'indirizzo della R., limitandosi a guardare in su e sentendosi per ciò solo ingiuriare con tono minaccioso; il fatto che i testimoni suddetti ebbero l'impressione di un contegno passivo della L.V. rispetto all'atteggiamento intemperante della ricorrente non vale ad escludere con ragionevole certezza che il contrasto verbale potè avere inizio sulla base di contumelie reciproche;
- il Tribunale rileva che "la L.V. ha lealmente ammesso di avere accennato alla scabrosa vicenda del padre della R., ma, alla stregua della sua versione, deve dubitarsi che lo abbia fatto con l'intento di offendere l'imputata, apparendo piuttosto che l'azione sia stata diretta ad invitare costei a pensare ai guai dei suoi familiari, anzichè alludere, con apprezzamenti ingiuriosi, alla scarsa moralità delle congiunte della dichiarante": osservazione non condivisibile, apparendo invece ictu oculi lesivo della sensibilità della R. un riferimento a traversie giudiziarie del padre di costei, per fatti gravi e certamente idonei a creare scalpore e disagio nel suo nucleo familiare; non può parimenti condividersi l'assunto del giudice di merito, secondo cui l'ipotizzata causa di esclusione della punibilità non potrebbe trovare applicazione in virtù della sussistenza di carica offensiva nelle sole parole pronunciate dalla R., non avendo invece rilevanza penale ex se le frasi della parte civile, dal momento che "in tema di ingiuria e diffamazione, la causa di non punibilità della provocazione di cui all'art. 599 c.p., comma 2, sussiste non solo quando il fatto ingiusto altrui integra gli estremi dell'illecito civile o penale, ma anche quando esso sia lesivo di regole comunemente accettate nella civile convivenza" (Cass., Sez. 5, n. 9907 del 16/12/2011, Conti, Rv 252948).

Si impongono pertanto le determinazioni di cui al dispositivo. Il giudice del rinvio dovrà esaminare anche le questioni poste dalla difesa della ricorrente (che l'annullamento in punto di responsabilità, allo stato, rende giocoforza assorbite) circa la quantificazione del danno liquidato alla parte civile e, come da motivo nuovo di ricorso, in ordine alla eventuale applicazione dell'istituto di cui all'art. 131-bis c.p.

PQM

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2015


 

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