REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta - Presidente -
Dott. STALLA Giacomo Maria - Consigliere -
Dott. CARLUCCIO Giuseppa - Consigliere -
Dott. SCRIMA Antonietta - Consigliere -
Dott. VINCENTI Enzo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 12907/2012 proposto da:
LA POSADA DI PISU MARIA LUISA & C S.N.C., in persona del socio amministratore e legale rappresentante P.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SESTIO CALVINO 33, presso lo studio dell'avvocato ANTONINO BOSCO, rappresentata e difesa dall'avvocato SOLDANI ALDO, giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
ESSECI S.R.L., in persona del suo legale rappresentante C. S., considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato DUCCIO PANTI giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 26/2012 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 06/02/2012, R.G.N. 239/11;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/10/2015 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;
udito l'Avvocato ALDO SOLDANI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. - Con sentenza del maggio 2010, il Tribunale di Grosseto, sezione distaccata di Orbetello - pronunciando, nelle cause riunite tra la locatrice La Posada di Pisu Maria Luisa & C. s.n.c. e la conduttrice Esseci s.r.l., sulla domanda de La Posada s.n.c. di risoluzione del contratto di locazione ad uso diverso da abitazione intercorso tra le parti, per inadempimento del conduttore, ed il risarcimento del danno, nonchè sulla domanda proposta dalla Esseci per il pagamento dell'indennità di avviamento commerciale - dichiarò cessato il rapporto di locazione al 30 aprile 2007 con ordine di rilascio dell'immobile; condannò La Posada a pagare ad Esseci, a titolo di indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, la somma di Euro 57.744,00, oltre interessi legali; condannò Esseci a pagare a La Posada, a titolo di canoni di locazione, la somma di Euro 3.208,00 mensili, oltre interessi legali, dal mese di maggio 2007 sino all'effettivo rilascio dell'immobile; compensò integralmente le spese di lite.

2. - Avverso tale decisione proponevano gravame sia la Esseci s.r.l. (in via principale), sia La Posada s.n.c. (in via incidentale); l'adita Corte di appello di Firenze, con sentenza resa pubblica il 6 febbraio 2012, respingeva l'appello incidentale ed accoglieva quello principale, cosi rigettando la domanda della s.n.c. La Posada di pagamento dei canoni di locazione, dichiarando già eseguito il rilascio e condannando l'appellante incidentale al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

2.1. - Sull'appello principale della Esseci s.r.l., la Corte territoriale riteneva, anzitutto, che La Posada s.n.c. fosse decaduta dal potere di proporre la domanda riconvenzionale per il pagamento dei canoni di locazione scaduti nel giudizio promosso dalla Esseci s.r.l. per conseguire l'indennità di avviamento commerciale, in quanto "non aveva chiesto il differimento di udienza, a norma dell'art. 418 c.p.c.".
Il giudice di appello precisava, altresì, che, seppure tra le cause riunite vi fosse anche quella di intimazione di sfratto per morosità (distinta dal r.g.n. 5012/09) "nella quale La Posada aveva richiesto l'ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti", non risultava in atti, però, "neppure in copia, la memoria difensiva contenente le definitive conclusioni di La Posada nelle cause riunite, nè le memorie depositate in precedenza nella stessa causa di intimazione di sfratto per morosità... per poter verificare che La Posada, a seguito del mutamento del rito," avesse "insistito nel pagamento dei canoni di locazione".

2.1.1. - Il giudice di secondo grado, peraltro, osservava che la domanda di pagamento dei canoni era, comunque, infondata.
A tal fine, la Corte di merito rilevava che Esseci - a seguito di disdetta per il 30 aprile 2007 - aveva comunicato a La Posada, lo stesso 30 aprile, di "aver liberato i locali" e messili, quindi, "a disposizione della locatrice", la quale "avrebbe potuto rientrarne in possesso al momento della corresponsione dell'indennità, come ribadito nella successiva lettera del 13.5.2007, nella quale Esseci contestava il rifiuto di La Posada di ricevere le chiavi dell'immobile, in quanto ingiustificato, non sussistendo i danni indicati dalla locatrice"; che il 24 maggio 2007 la stessa Esseci notificava a La Posada, a mezzo ufficiale giudiziario, "l'intimazione di ricevere la consegna dell'immobile", ex artt. 1216 e 1209 c.c., quale offerta rifiutata dalla locatrice "a causa dei dedotti gravi danni riscontrati nell'immobile" (come da verbale dell'ufficiale giudiziario del 15 giugno 2007), i quali danni non erano risultati sussistenti, secondo quanto ritenuto dal primo giudice sulla scorta dell'espletata c.t.u..
Pertanto, la Corte di appello soggiungeva che "tali offerte di riconsegna dell'immobile, il cui rifiuto della locatrice risultava ingiustificato, e quindi illegittimo, erano idonee a escludere la mora del debitore, il quale non era dunque più tenuto al pagamento dei canoni di locazione, ai sensi dell'art. 1591 c.c.".
Infatti, contrariamente a quanto opinato dal Tribunale, non rilevava che l'offerta fosse condizionata al pagamento dell'indennità di avviamento commerciale, posto che, il rifiuto illegittimo dell'offerta, ex artt. 1216 e 1209 c.c., di restituzione dell'immobile escludeva la mora del conduttore ed il suo obbligo di corrispondere il canone, mentre costituiva in mora il locatore quanto al relativo obbligo di pagare l'indennità di avviamento.

2.2. - Quanto all'appello incidentale de La Posada s.n.c., la Corte territoriale riteneva corretta la decisione di primo grado, in base a quanto accertato dal c.t.u. (sia nella relazione del marzo 2005, sia nel supplemento del settembre 2006), circa l'insussistenza dei danni lamentati dalla predetta ricorrente nel giudizio (distinto dal r.g.n. 3024/04) volto ad ottenere la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento.
In particolare, il giudice di appello poneva in evidenza che: a.) in riferimento al giardino, la prima relazione del c.t.u. aveva accertato che lo stato di manutenzione era "buono" e che non necessitassero "interventi", per poi ritenerlo, con il supplemento di c.t.u., "ottimo"; b) quanto alla cella frigorifera, "appoggiata su lastra di mattoni cementati a terra", si trattava di indispensabile" allo svolgimento dell'attività di ristorazione, e di attività collaterali, oggetto del contratto di locazione, nè potendo reputarsi che la collocazione della cella, sita in zona di servizio, "necessitasse di preventiva autorizzazione scritta del locatore, non potendo certo essa costituire una aggiunta o una innovazione, a norma della clausola n. 8 del contratto; c) in riferimento alla "installazione esterna per la somministrazione della birra alla spina", nel supplemento di c.t.u. si era accertato trattarsi di "struttura precaria, facilmente asportabile", ciò che del resto era avvenuto in epoca (2 luglio 2007) di poco successiva al verbale del 15 giugno 2007; inoltre, proprio perchè struttura precaria, non era necessaria la preventiva autorizzazione scritta del locatore ai sensi della citata clausola n. 8; d) quanto alla caldaia esterna, la relativa doglianza era inammissibile poichè non oggetto del ricorso introduttivo e, comunque, la struttura non rientrava tra le aggiunte per le quali occorreva la preventiva autorizzazione ai sensi della clausola contrattuale n. 8; e) in riferimento ai rumori notturni provenienti dal locale, oltre al fatto che il contratto di locazione "prevedeva espressamente la destinazione dei locali anche all'attività di intrattenimento e di svago", La Posada non aveva provato la sussistenza di danni economici consequenziali, dovendosi comunque escludere che "eventuali fastidi potessero giustificare la domanda di risoluzione del contratto e, a maggior ragione, il rifiuto di ricevere la restituzione dei locali".

2.2.1. - In ordine, poi, alla doglianza sul mancato accertamento del momento di rilascio dell'immobile, là dove in atti risultava - per aver affermato la Essseci, "nelle note difensive del 29.1.09... che La Posada non avrebbe potuto rientrare nel possesso dell'immobile finchè non avesse corrisposto l'indennità di avviamento" - che il rilascio dell'immobile era effettivamente avvenuto nell'aprile 2009, con conseguente obbligo di pagamento dei canoni di locazione sino al febbraio 2009, la Corte di appello ribadiva che, a seguito dell'offerta, dapprima informale e poi formale, di restituzione dell'immobile da parte di Esseci s.r.l. e dell'illegittimo rifiuto de La Posada s.n.c., la conduttrice non era più tenuta al pagamento dei canoni di locazione dal 30 aprile 2007, non avendo rilievo quindi "quanto affermato dal difensore di Esseci nella citata memoria del 29.1.2009, trattandosi evidentemente della trattazione della questione giuridica in ordine" ai reciproci obblighi delle parti (rispettivamente, pagamento dei canoni e dell'indennità di avviamento). Donde, il rigetto della domanda di pagamento di detti canoni avanzata dalla La Posada s.n.c. e la presa d'"atto dell'avvenuto rilascio dell'immobile locato".

3. - Avverso tale sentenza ricorre La Posada di Pisu Maria Luisa & C. s.n.c. sulla base di quattro motivi, cui resiste con controricorso la Esseci s.r.l.

Motivazione

1. - Preliminarmente, è manifestamente infondata l'eccezione della controricorrente di inammissibilità dei motivi di ricorso per mancata formulazione dei quesiti ex art. 366 bis c.p.c., giacchè la citata norma processuale è stata abrogata dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, con effetto per i ricorsi per cassazione proposti avverso provvedimenti pubblicati successivamente al 4 luglio 2009, ossia alla data di entrata in vigore della stessa legge n. 69, a mente del suo art. 58 (tra le altre, Cass., 24 marzo 2010, n. 7119; Cass., 7 novembre 2013, n. 25058), con la conseguenza che, rispetto alla sentenza impugnata dalla s.n.c. La Posada, pubblicata il 6 febbraio 2012, la disposizione dell'art. 366 bis del codice di rito non può, ratione temporis, trovare applicazione.

2. - Con il primo mezzo è dedotto vizio di motivazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
In riferimento alla domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore e di risarcimento danni (oggetto della causa distinta dal r.g.n. 3029/04), la Corte territoriale avrebbe confermato la sentenza di rigetto di primo grado in base ad una c.t.u. (invero, da ritenersi tale solo la prima relazione, "in quanto la seconda costituiva replica ai chiarimenti richiesti") motivata in modo insufficiente ed incongruo, come già da essa La Posada, "sin dalla prima udienza utile, esposto e contestato", alla stregua dei rilievi (sviluppati in ricorso) sulla manutenzione interna ed esterna del locale, anche in forza della consulenza di parte (redatta dall'arch. R.P.) che quantificava l'ammontare dei danni e dei costi di ripristino dei locali, senza che di tale quantificazione si occupasse la c.t.u..
Peraltro, quanto al profilo dell'esercizio dell'attività di intrattenimento e di svago, essa ricorrente aveva al riguardo dedotto soltanto l'inadempimento del conduttore ai fini della risoluzione e non del risarcimento danni, sussistendo "numerose clausole contrattuali (quelle violate e la cui violazione è stata contestata) che imponevano limiti ben precisi, non rispettati" a dette attività.

1.1. - Il motivo non può trovare accoglimento.
Le critiche mosse alla sentenza impugnata non attengono tanto alla motivazione assunta dalla Corte territoriale (cfr. p.2.2. del "Ritenuto in fatto", cui si rinvia integralmente) in forza delle conclusioni della c.t.u., nella sua duplice veste di una prima relazione e di un successivo supplemento, il tenore dei quali è stato modulato in relazione alle critiche di parte, altresì congruamente correlando i fatti accertati alla portata degli obblighi negoziali, come declinati dalle clausole del contratto di locazione inter partes (in particolare la clausola n. 8).
Esse, infatti, si rivolgono, piuttosto, in modo diretto alla stessa c.t.u., senza mediare quanto dalla stessa sentenza mutuato, mancando quindi di aggredire ab intrinseco il ragionamento del giudice di merito.
Peraltro, già cosi confezionate, le doglianze omettono anche il richiamo puntuale dei contenuti rilevanti e propri della stessa c.t.u., altresì assumendo - in contrasto con l'apprezzamento globale della Corte territoriale - la essenzialità della sola "prima relazione", là dove, invece (come dalla stessa ricorrente addotto), il supplemento era la "replica" ai richiesti chiarimenti e di questo il giudice di merito ha fatto uso. Ed ancora, nonostante deduca che le contestazioni alla c.t.u. fossero state tempestivamente veicolate nel giudizio di merito, la ricorrente omette, tuttavia, di indicare, in violazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (non rispettato, invero, neppure in riferimento alle dovute puntualizzazioni relative alla c.t.u. nella sua duplice veste), il quando ed il quomodo di detta contestazione e di dare contezza di quale sia la specifica sede processuale ove reperire i pertinenti atti processuali.

La motivazione della Corte territoriale sfugge dunque alle censure di parte ricorrente, le quali si risolvono in una (non consentita) rivisitazione degli accertamenti peritali a prescindere da effettive aporie ed insufficienze degli stessi e, soprattutto (come detto), dall'apprezzamento calibrato che nella sentenza impugnata è stato fatto degli elaborati tecnici, in funzione dell'accertamento sull'inadempimento degli obblighi contrattuali (ritenuto insussistente).

2. - Con il secondo mezzo è dedotto vizio di motivazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell'art. 1460 cod. civ. e degli artt. 418 e 447 bis c.p.c.
In riferimento alla domanda di pagamento dell'indennità di avviamento proposta dalla Esseci s.r.l. (oggetto della causa distinta dal r.g.n. 5406/07), la Corte di appello avrebbe assunto, in modo illogico e incongruo, che "la sig.ra P. avrebbe infondatamente opposto alla Esseci s.r.l. l'eccezione Inadempienti non est adimplemdum", giacchè avrebbe inserito la "contestazione dei danni arrecati all'immobile da Esseci non nell'ambito del procedimento di risoluzione della locazione per inadempimento, ma nella valutazione del rifiuto dell'offerta reale cui la stessa eccezione è del tutto estranea".
Inoltre, l'eccezione di inadempimento non sarebbe stata sollevata dalla conduttrice alla prima udienza e comunque la stessa Esseci avrebbe "accettato il contraddittorio chiedendo il rigetto delle pretese avversarie, sanando cosi l'eventuale vizio".

2.1. - Il motivo non può essere accolto.
E' la stessa ricorrente (p. 39 del ricorso) a dedurre che, in seno alla causa promossa dalla Esseci s.r.l. per ottenere il pagamento dell'indennità di avviamento commerciale, in forza dell'offerta reale di restituzione dell'immobile locato e di illegittimo rifiuto del locatore, essa s.n.c. aveva contestato che l'indennità non fosse dovuta perchè l'attività era cessata e, segnatamente, perchè "erano stati riscontrati danni all'immobile", quantificati in complessivi Euro 67.368,00.
Dunque, era parte integrante del thema decidendum l'accertamento sulla legittimità o meno del rifiuto opposto dal locatore all'offerta reale di restituzione dell'immobile locato, là dove i fatti, pertinenti a tale thema ed introdotti dalla stessa parte locatrice, avevano riguardo proprio alla supposta esistenza di danni all'immobile, da assumersi come fattore giustificativo dell'anzidetto rifiuto.
In siffatti termini, il giudice di secondo grado (cfr. sintesi della motivazione al p.2.1.1. del "Ritenuto in fatto", cui si rinvia integralmente) ha fatto buon governo dei fatti allegati nell'ambito di ciascun giudizio (poi riunito agli altri), mentre le censure di parte ricorrente, là dove insistono sulla illegittima trasmigrazione dell'eccezione ex art. 1460 cod. civ. da un giudizio all'altro, non colgono l'effettiva ratio decidendi, della sentenza impugnata.

3. - Con il terzo mezzo è dedotto vizio di motivazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell'art. 1182 c.c., comma 2, art. 1120 c.c., e art. 1590 c.c., u.c.
La Corte di appello avrebbe errato a ritenere che l'offerta reale, non formale, formulata in modo condizionato dalla Esseci l'avesse preservata dalla responsabilità per il ritardo e dal conseguente obbligo di corrispondere il canone pattuito, là dove ciò avrebbe consentito la liberazione dall'obbligo di pagare il maggior danno e non già dalla corresponsione dei canoni, "cosa che avviene esclusivamente qualora si ricorra all'offerta formale (non condizionata) di cui all'art. 1216 c.c.".

3.1. - Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
3.1.1. - E' inammissibile là dove deduce esservi stata, da parte della Esseci s.r.l., soltanto "offerta non formale", in contrasto con quanto accertato dalla Corte di appello - in forza di apprezzamento che, come tale, non è stato affatto censurato -, ossia trattarsi, dapprima, di offerta non formale di restituzione dell'immobile locato avvenuta con duplice comunicazione (del 30 aprile 2007 e del 13 maggio 2007) e, poi, di ulteriore offerta formale ai sensi e per gli effetti di cui al combinato disposto degli artt. 1216 e 1209 c.c., tramite notifica (del 24 maggio 2007), a mezzo ufficiale giudiziario, dell'intimazione di ricevere l'immobile.

3.1.2. - E' infondato là dove si sostiene che la liberazione del conduttore dal pagamento dei canoni potrebbe conseguire soltanto ove l'offerta formale sia "non condizionata" dalla richiesta di pagamento dell'indennità di avviamento.

3.1.2.1. - A seguito della pronuncia delle Sezioni Unite civili n. 1177 del 15 novembre 2000, si è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui, nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali disciplinate dagli artt. 27 e 34 della L. n. 392 del 1978 (e, in regime transitorio, dagli artt. 68, 71 e 73 della medesima legge), in ragione della interdipendenza tra l'obbligazione del locatore di corrispondere l'indennità di avviamento e quella del conduttore di restituire l'immobile locato alla cessazione del rapporto, ove persista la duplice inadempienza di dette obbligazioni, il conduttore è esonerato soltanto dal pagamento del maggior danno ex art. 1591 c.c., mentre, in attesa del pagamento dell'indennità di avviamento, è comunque obbligato a corrispondere il canone convenuto per la locazione (tra le molte, Cass., 28 marzo 2003, n. 4690; Cass., 11 luglio 2006, n. 15721; Cass., 9 marzo 2010, n. 5661).

Ciò sulla premessa di fondo per cui tra le obbligazioni del locatore (di pagare l'indennità di avviamento) e del conduttore (di restituire l'immobile locato ad uso commerciale) sussiste una precisa interdipendenza sostanziale (prima ancora che processuale, ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 69), con la conseguenza - esplicitata nel principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite - che "il conduttore che rifiuta la restituzione dell'immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell'indennità per l'avviamento a lui dovuta, è obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto, ma solo di questo".
Si tratta, invero, di un "rifiuto" che, a fronte del reciproco "rifiuto" del locatore di corrispondere l'indennità, è opponibile in base all'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., elidendo la mora "in chi legittimamente l'oppone" (alla stregua di un comportamento improntato a buona fede e correttezza).
Tuttavia, ove non ci si limiti al "rifiuto", seppur legittimo, della propria prestazione, ma si intenda adempiere la propria e ottenere l'adempimento della controparte, il locatore, allora, "deve offrire al conduttore il pagamento dell'indennità che ritiene gli sia dovuta; correlativamente, il conduttore che intende ottenere il pagamento dell'indennità, nel domandarla deve offrire al locatore la riconsegna del bene ovvero può offrire la riconsegna a condizione che gli sia pagata l'indennità che domanda".

A tal riguardo soccorrono le "norme sulla mora del creditore", che "consentono a ciascuno dei due obbligati di liberarsi della propria obbligazione e di costituire in mora il creditore (artt. 1206, 1207 e 1208 c.c.), perchè se il debitore di una prestazione la deve a condizione che l'altra esegua in suo favore una prestazione cui ha diritto, il debitore della prima può condizionare la propria offerta all'esecuzione di quella del proprio debitore" (cosi la citata Cass., sez. un., n. 1177 del 2000, sulla scorta, in particolare, di Cass., 17 ottobre 1995, n. 10820).

3.1.2.2. - Nel solco di siffatto orientamento e, segnatamente, in base all'assunto per cui non sussiste un diritto di ritenzione in capo al conduttore, il quale, pur non essendo in mora, è comunque "tenuto a versare al locatore una somma pari al corrispettivo che avrebbe dovuto pagare in costanza del contratto", si è ribadito, da parte di Cass., 25 giugno 2013, n. 15876, che tanto si correla alla ragione che "dal momento della cessazione del rapporto di locazione sino a quello del pagamento dell'indennità si viene ad instaurare tra le parti un rapporto ex lege geneticamente collegato al precedente, fondato per una parte sulla protrazione della detenzione del bene e per l'altra sul pagamento di un corrispettivo coincidente con quello del rapporto contrattuale". Non può, quindi, il conduttore - prosegue la citata pronuncia - "rendere gratuita la detenzione in virtù del mancato utilizzo del bene, in base ad una sua unilaterale decisione", sicchè per evitare il pagamento del canone è tenuto all'"offerta di restituzione del bene a norma dell'art. 1216 c.c., in modo da costituire in mora il locatore in rapporto al suo obbligo di corrispondere l'indennità di avviamento"; prospettiva, questa, in cui non assume "alcun rilievo la previsione di cui all'art. 1460 c.c., ... in quanto l'eccezione in parola giustifica soltanto il proprio inadempimento ma non costituisce un rimedio contro l'inadempimento altrui".

Tuttavia, in linea più generale, sempre in tema di riconsegna dell'immobile locato, si è affermato (tra le altre, Cass., 3 settembre 2007, n. 18496; Cass., 20 gennaio 2011, n. 1337) che, mentre l'adozione della complessa procedura di cui all'art. 1216, e art. 1209 c.c., comma 2, costituita dall'intimazione al creditore di ricevere la cosa nelle forme stabilite per gli atti giudiziari, rappresenta l'unico mezzo per la costituzione in mora del creditore per provocarne i relativi effetti (art. 1207 c.c.), l'adozione da parte del conduttore di altre modalità aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 c.c.) - purchè serie, concrete e tempestive, tali da mettere l'immobile nella disponibilità del locatore, e semprechè non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore stesso - pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore nell'obbligo di adempiere la prestazione e, dunque, di evitare il pagamento del corrispettivo convenuto.

3.1.2.3. - Il disallineamento di posizioni, che parrebbe evincersi tra l'affermazione della sufficienza, rispetto al venire meno dell'obbligazione di corresponsione del canone, dell'offerta reale non formale rispetto a quella reale formale, è da ricondurre piuttosto (nella maggior parte dei casi considerati, salvo talune eccezioni: cfr. Cass., 26 aprile 2002, n. 6090 e Cass., 13 dicembre 2012, n. 22924) al venire in rilievo, o meno, della fattispecie di interdipendenza tra le prestazioni di pagamento dell'indennità commerciale e di restituzione dell'immobile. Nel senso che, ove non si ponga questione degli effetti della anzidetta interdipendenza tra prestazioni e si discuta eminentemente della restituzione del bene, allora si è ritenuto sufficiente che il conduttore-debitore si possa liberare della sua obbligazione restitutoria con offerta ai sensi dell'art. 1220 cod. civ., mettendo l'immobile medesimo nella piena disponibilità del locatore (tra le altre, Cass., 24 marzo 2004, n. 5841 e Cass., 17 gennaio 2012, n. 550) e con ciò (perdendone comunque la detenzione) liberarsi anche dell'obbligazione di pagamento dei canoni, correlata geneticamente alla mancata restituzione del bene (e non già al suo godimento), salvo, ovviamente, il legittimo rifiuto del locatore.

Invero, l'effetto liberatorio anzidetto presuppone, in ogni caso, la cooperazione del locatore nel ricevere il bene, ossia che quest'ultimo rientri effettivamente nel pieno possesso, materiale e giuridico dell'immobile (in tale ottica si colloca la consegna delle relative chiavi al locatore, che le riceva, cosi da restituirlo nella piena disponibilità del bene: tra le altre, Cass., n. 550 del 2012, citata), poichè, in assenza di siffatta cooperazione e di un tale esito, la liberazione del conduttore dalla prestazione cui è obbligato può aversi non solo con la costituzione in mora del creditore, ma anche, e di necessità, con la nomina del sequestratario ai sensi dell'art. 1216, secondo comma, cod. civ., al quale venga consegnata la "cosa dovuta" (cfr. Cass., 7 aprile 1970, n. 958; Cass., 30 marzo 1977, n. 1218; in analoga prospettiva, Cass., 27 aprile 2004, n. 7982), alla stregua di un complessivo procedimento i cui esiti sono soggetti, pur sempre, alla convalida giudiziale.

Del resto, mentre l'offerta reale non formale (art. 1220 c.c.) non libera il debitore dall'eseguire la propria prestazione, ma unicamente dagli effetti del ritardo nel suo adempimento (e, dunque, delle conseguenze risolutorie e risarcitorie connesse all'inadempimento), la stessa offerta reale formale (artt. 1208, 1209 e 1216 c.c.) è istituto giuridico volto, di per sè, a provocare soltanto la mora accipiendi ed i relativi effetti indicati dall'art. 1207 c.c. (tra cui, quello, di peculiare rilievo, dell'immediato trasferimento del rischio in capo al creditore della impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile), ma non già a liberare immediatamente il debitore dall'obbligo di adempiere all'obbligazione (cfr., più in generale, Cass., 16 gennaio 1969, n. 84), tanto che l'art. 1207 c.c., comma 3, impone ancora al debitore di custodire e conservare la "cosa" (salvo esonerarlo dalle relative spese), mentre il momento che segna la liberazione del debitore è proprio quello di consegna dell'immobile al sequestratario (per la fattispecie che interessa in questa sede), come espressamente stabilito dall'ultimo periodo del citato art. 1216, comma 2.

3.1.2.4. - Ove, invece, rilevi il nesso di interdipendenza tra l'obbligazione di corresponsione dell'indennità di avviamento e quella di restituzione dell'immobile locato, allora - come in precedenza evidenziato il conduttore, che intenda ottenere il pagamento dell'indennità, deve provocare la mora del locatore, attivando, quindi, il meccanismo dell'offerta reale formale, ai sensi della già citata disciplina dettata dall'art. 1206 c.c. e ss., e, segnatamente (trattandosi di bene immobile), di quella recata dagli artt. 1216 e 1209 cod. civ., potendo altresì (ove il locatore non accetti l'offerta e non entri, altrimenti, nella disponibilità del bene) addivenire alla liberazione dalla propria obbligazione restitutoria (e con essa al pagamento dei canoni) in forza di quanto disposto dal più volte citato art. 1216, comma 2.

3.1.2.5. - Ulteriore questione è se, nell'ipotesi (come quella in esame) di interdipendenza tra le anzidette prestazioni, l'offerta formale di restituzione dell'immobile possa essere, o meno, "condizionata" al pagamento dell'indennità di avviamento.
Sebbene si registri in senso contrario a detto "condizionamento" l'affermazione di Cass., 25 marzo 2010, n. 7179, sorretta esclusivamente dal richiamo alla sentenza n. 1177 del 2000 delle Sezioni Unite, proprio quest'ultima pronuncia - sia pure anch'essa senza specifico sviluppo argomentativo (non essendo la peculiare questione direttamente implicata dal thema decidendum allora oggetto di scrutinio) - ha evidenziato (come già messo in rilievo) che il conduttore, ai fine di ottenere il pagamento dell'indennità di avviamento, deve offrire la riconsegna dell'immobile "ovvero può offrire la riconsegna a condizione che gli sia pagata l'indennità" e ciò "perchè se il debitore di una prestazione la deve a condizione che l'altra esegua in suo favore una prestazione cui ha diritto, il debitore della prima può condizionare la propria offerta all'esecuzione di quella del proprio debitore".
A tale ultimo enunciato il Collegio intende dare continuità.

3.1.2.5. - Giova osservare, in un'ottica più ampia, che, sulla possibilità, o meno, di "condizionare" l'offerta formale all'adempimento di una controprestazione, la contraria opinione, che trova consensi soprattutto in dottrina, si sostanzia - in assenza di un divieto espresso posto dalla disciplina codicistica di riferimento (artt. 1206 e ss. cod. civ.) - nella tesi secondo cui, nel caso di contratti a prestazioni corrispettive, le esigenze di tutela del debitore/creditore troverebbero soddisfazione con l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c., là dove, invece, nel consentire il "condizionamento dell'offerta reale formale all'adempimento della controprestazione, si verrebbe ad attribuire al creditore di quest'ultima un quid pluris rispetto agli effetti della mora credendi, ossia quella stessa controprestazione che, comunque, potrebbe essere adempiuta, anche se in ritardo. In altri termini, il debitore conseguirebbe un risultato che va al di là del proprio adempimento.

Occorre, però, osservare che, nell'ambito dello stesso orientamento propendente per la soluzione che esclude la facoltà del debitore di "condizionare" l'offerta reale formale, una siffatta opzione si ritiene, comunque, configurabile e giustificata (in riferimento, per l'appunto, a situazioni di corrispettività delle prestazioni, là dove, altrimenti, la giustificazione al "condizionamento" discenderebbe solo dalla necessità del debitore di salvaguardare la propria persona o i propri beni) nei casi in cui si possa apprezzare un legame strumentale forte tra le due prestazioni, sicchè le finalità alle quali esse si volgono non siano realizzabili indipendentemente l'una dall'altra e, dunque, una di esse abbia lo scopo di rendere possibile l'altra prestazione.

In giurisprudenza, nel caso di reciproche obbligazioni inerenti a contratti sinallagmatici, si è invece affermato, in tempi risalenti, ma con enunciazione di principio non smentita successivamente, che "l'offerta reale collegata alla richiesta di adempimento della controparte non può essere considerata sottoposta a condizione, in quanto la pretesa di adempimento è ragione, non condizione dell'offerta" (Cass., 6 maggio 1966, n. 1159).

3.1.2.6. - Tale ultima affermazione - in prospettica consonanza con le aperture concettuali che l'orientamento dottrinale negativo è incline a concedere - esalta, quindi, il nesso di interdipendenza tra le due prestazioni che trovano la loro fonte nello stesso contratto, tale da rendere determinante per ciascuna parte la prestazione dell'altra e ciò ai fini della realizzazione della causa stessa del negozio.
Nella specie, poi, l'interdipendenza strutturale e funzionale tra la prestazione del locatore di pagare l'indennità di avviamento commerciale e quella del conduttore di restituire l'immobile nel quale si è svolta l'attività imprenditoriale si atteggiano secondo legame strumentale che, alla luce della ratio legis ispiratrice della disciplina recata dalla L. n. 392 del 1978 (da cui il contratto di locazione ad uso non abitativo trae la propria causa e cornice regolamentativa), valorizza in modo peculiare la posizione del conduttore, in una prospettiva (cfr. anche Corte cost., sent. n. 300 del 1983) che privilegia il fattore dinamico dell'esercizio dell'impresa (ex art. 41 Cost., nei limiti posti dal comma secondo della stessa disposizione), idoneo a funzionalizzare socialmente il diritto proprietario in capo al locatore (art. 42 Cost., comma 2).

Ottica, questa, che è coltivata dalla stessa sentenza n. 1177 del 2000 delle Sezioni Unite e non solo nel rammentare che la L. n. 392 del 1978, inserisce la disciplina dell'indennità di avviamento (artt. 34 e 69) tra gli istituti che, nel loro complesso, sono volti ad assicurare "la conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate, tutelate mediante il mantenimento della clientela, che costituisce una componente essenziale dell'avviamento commerciale" (Corte cost., sent. n. 128 del 1983). Ma anche là dove viene messo in risalto che la funzione di detta indennità non si esaurisce nel ristoro del pregiudizio subito dal conduttore per la perdita dell'avviamento, ma è rivolta anche ad agevolare lo stesso conduttore "nella fase di impianto dell'azienda in nuovi locali, in una situazione in cui un avviamento va di nuovo suscitato".

Posto, dunque, che la posizione creditoria del conduttore non può trovare pieno soddisfacimento nell'esercizio dell'eccezione di cui all'art. 1460 c.c. (che - come già evidenziato - è volta a legittimare il solo rifiuto di adempiere alla propria prestazione), la rilevanza del nesso di interdipendenza tra le due prestazioni in campo e la loro necessaria strumentalità, siccome orientata (dalla volontà del legislatore) a privilegiare il credito d'impresa, rende compatibile, alla luce del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., informatore della buona fede e correttezza nell'attuazione del rapporto obbligatorio (artt. 1175 e 1375 c.c.), una cooperazione debitore/creditore tale da consentire allo stesso conduttore (come affermato dalla sentenza più vote richiamata delle Sezione Unite) di "offrire la riconsegna a condizione che gli sia pagata l'indennità".
In tal senso, il complesso meccanismo dell'offerta formale reale, ai sensi dell'art. 1216 c.c., commi 1 e 2, opererebbe in guisa tale da impedire la locatore di entrare nella disponibilità dell'immobile sino a che non adempia al pagamento dell'indennità, là dove, al contempo, il conduttore, ove intenda liberarsi della propria obbligazione, dovrà consegnare l'immobile al sequestratario nominato dal giudice. Con l'ulteriore precisazione che alla verifica della legittimità dei comportamenti negoziali delle parti, nell'ottica delle menzionate buona fede e correttezza, si provvedere tramite il procedimento della convalida giudiziale.

3.1.2.7. - Sicchè, risulta infondata la doglianza che si incentra, e si esaurisce nella sua prospettazione, sulla asserita inconfigurabilità in iure di una "offerta formale condizionata", da parte del conduttore, di restituzione dell'immobile locato ad uso commerciale al pagamento dell'indennità di avviamento, che la Corte territoriale ha, invece, correttamente ritenuto facoltà praticabile.

4. - Con il quarto mezzo è dedotto vizio di motivazione ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. "in relazione al fatto che non vi sarebbe stata valida precisazione delle conclusioni di parte La Posada nel giudizio n. 5014/09 Tribunale di Orbetello".
La Corte territoriale, nonostante che essa La Posada nella causa di sfratto per morosità avesse chiesto "l'emissione del provvedimento di ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti", avrebbe escluso che una tale domanda fosse stata riproposta a seguito del mutamento del rito, facendo discendere dalla mancanza in atti delle memorie di parte, dovuta ad un "mero disguido materiale", conseguenze pregiudizievoli e non tenendo conto che, una volta mutato il rito e proseguendo la causa di intimazione di sfratto per morosità come giudizio di cognizione ordinaria, la mancata precisazione delle conclusioni comporta come effetto "la presunzione che la parte abbia inteso riferirsi alle conclusioni già in precedenza formulate negli atti di causa".

4.1. - Il motivo è inammissibile.
Non solo - con doglianza che erroneamente evoca un vizio di cui al n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ., senza sostanziare la censura con pertinenti argomentazioni in punto di error in procedendo e dei relativi effetti conseguenziali (come, invece, avrebbe dovuto essere confezionata) - non vengono, in violazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, indicati in modo puntuale gli atti processuali rilevanti per verificare il persistere della domanda riconvenzionale di pagamento dei canoni nell'ambito del giudizio promosso dalla Esseci s.r.l. (là dove, invero, la stessa ricorrente ammette il mancato deposito di quelli ritenuti dirimenti dalla Corte territoriale). Ma, in ogni caso, la censura è in radice inammissibile anche perchè il rigetto del motivo (terzo) sugli effetti dell'offerta formale della Esseci ha cristallizzato, in giudicato, anche la statuizione di rigetto della domanda di pagamento dei canoni locatizi proposta dalla s.n.c. La Posada in seno al giudizio di intimazione di sfratto per morosità e ribadita con il secondo motivo di appello incidentale (cfr. pp. 5, 6, 12 e 13 della sentenza impugnata).

5. - Il ricorso va, pertanto, rigettato e la società ricorrente condannata, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 1, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore della società controricorrente, in complessivi Euro 5.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2016


 

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