REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMOROSO Giovanni - Presidente -
Dott. VENUTI Pietro - rel. Consigliere -
Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere -
Dott. BERRINO Umberto - Consigliere -
Dott. GHINOY Paola - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 19965/2014 proposto da:
C.M. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOLZANO 15, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE DE TOMMASO, rappresentato e difeso dall'avvocato AUTIERI Francesco, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente 4 domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell'avvocato MARAZZA Marco, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

- controricorrente -
avverso la sentenza n. 5062/2014 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 28/05/2014 r.g.n. 509/14;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2015 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;
udito l'Avvocato AUTIERI FRANCESCO;
udito l'Avvocato MARAZZA MAURIZIO per delega verbale MARAZZA MARCO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Latina, in accoglimento della opposizione proposta da C.M. avverso l'ordinanza L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 49, con cui, all'esito della fase sommaria, era stata respinta la domanda da lui proposta, ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimatogli da Poste Italiane s.p.a.

il 28 agosto 2012, ha disposto la sua reintegrazione nel posto di lavoro ed ha condannato la società al pagamento dell'indennità risarcitoria prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, determinandone l'importo in dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

Con sentenza depositata il 28 maggio 2014, la Corte d'appello di Roma, in accoglimento del reclamo proposto da Poste Italiane s.p.a., ha respinto la domanda del lavoratore.
La Corte di merito, dopo avere evidenziato che, per effetto della riforma introdotta dalla L. n. 92 del 2012, la tutela reintegratoria era circoscritta alla ipotesi della "insussistenza del fatto contestato" e a quella della condotta punibile "con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili", ha osservato che il C., quale addetto al recapito, il 27 giugno 2012 avrebbe dovuto consegnare al destinatario, Cl.Fr., una lettera raccomandata contenente un vaglia postale. La consegna del plico non avvenne ed il C. non solo non provvide, come previsto per le ipotesi di assenza del destinatario, ad attestare tale circostanza, lasciando al medesimo il relativo avviso, per poi ripetere la consegna nei giorni successivi, ma falsificò la firma del Cl. ed attestò - falsamente - che il recapito era avvenuto in mani del predetto destinatario in data 27 giugno 2012. Ripose quindi il plico in un cassetto di sua pertinenza nell'ufficio postale da cui dipendeva. Accertati tali fatti e chieste spiegazioni al C., questi ammise di avere apposto la firma del Cl. e tirò fuori dal cassetto - dove era rimasta per nove giorni - la lettera raccomandata sigillata. Il plico venne successivamente consegnato al destinatario.

La condotta del lavoratore, ad avviso della Corte territoriale, era di estrema gravità e connotata da un elemento intenzionale particolarmente intenso, onde la tardiva ammissione di colpevolezza non era idonea a sminuirne la portata. Inoltre, tale condotta aveva provocato un disservizio, concretatosi nella tardiva consegna al destinatario della raccomandata e un pregiudizio all'immagine della società. Era pertanto giustificato il licenziamento senza preavviso disposto dalla società, ricorrendo l'ipotesi di cui all'art. 54 del contratto collettivo dei dipendenti postali, che punisce con tale sanzione ai fatti o gli atti dolosi, anche nei confronti dei terzi, compiuti in connessione con il rapporto di lavoro, di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto".

Contro questa sentenza ricorre per cassazione il lavoratore sulla base di tre motivi. Resiste la società con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivazione

1. Con il primo motivo è denunciata falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012.
Si deduce che la sentenza impugnata, nel ritenere che la tutela reintegratoria sia circoscritta all'ipotesi della insussistenza del fatto contestato ed a quella in cui la condotta sia punibile con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari, è errata. Le ipotesi previste dai contratti collettivi relative alle sanzioni disciplinari, "non hanno carattere tassativo; è, pertanto, errato richiedere, per potere disporre in favore del lavoratore la tutela reintegratoria che la mancanza addebitata debba essere specificamente prevista dal codice disciplinare come passibile di sanzione conservativa". La condotta del lavoratore deve essere valutata "ove, come nel caso di specie, non espressamente prevista nel codice disciplinare, alla stregua delle tipizzazioni contenute nel CCNL, con riferimento alle categorie generali di "inadempimento", quali, come nel nostro caso, "la violazione dei doveri di servizio": operazione quest'ultima che la Corte territoriale compie, in maniera contraddittoria rispetto a quanto fin qui sostenuto (pag. 5/6 della sentenza) allorquando parla di una condotta di particolare gravità legittimante il licenziamento in tronco".

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione e/o errata applicazione delle previsioni contrattuali in tema di sanzioni disciplinari.
Si deduce che la mancanza commessa dal ricorrente, costituita da "inosservanza di doveri o obblighi di servizio", comporta, secondo quanto previsto dall'art. 54 del contratto collettivo, anche l'applicazione di sanzioni meramente conservative, ancorchè compiuta attraverso atti coscienti e volontari e, perciò stesso, dolosi, e che, ai fini della legittimità del licenziamento senza preavviso, è necessario che la condotta sia di "gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto", evenienza questa non ricorrente nella specie, trattandosi piuttosto di un comportamento improntato a leggerezza, superficialità e dabbenaggine".
Si aggiunge che, dopo la sentenza impugnata, il ricorrente ha continuato a prestare servizio regolarmente alle dipendenze di Poste, svolgendo lavoro straordinario ed usufruendo delle ferie, circostanza questa che dimostra come la condotta da lui posta in essere non fosse stata talmente grave da "non consentire la prosecuzione del rapporto".

3. Il terzo motivo denuncia, sotto altro profilo rispetto al primo motivo, la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012. Il giudice d'appello avrebbe dovuto riconoscere al ricorrente la tutela indennitaria prevista dalla novella. Ed infatti la sanzione irrogata non è per nulla proporzionata alla condotta addebitatagli; il ricorrente ha agito indubbiamente con leggerezza, ma non al fine di procurarsi un ingiusto profitto; nell'immediatezza dei fatti ha ammesso la propria responsabilità; ha agito senza alcun intento fraudolento; ha sempre tenuto un comportamento irreprensibile, non potendo attribuirsi alcun rilievo alla sanzione disciplinare di un'ora di multa irrogatagli, in precedenza, per "ritardo nell'adempimento del servizio"; la società datrice non ha subito danni.

4. Il primo motivo attiene alla tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, ai sensi delle nuove disposizioni introdotte dalla L. n. 92 del 2012. Il suo esame deve pertanto essere preceduto dall'esame degli altri due motivi, che riguardano la legittimità della sanzione espulsiva in relazione alle ipotesi al riguardo previste dal contratto collettivo dei dipendenti di Poste Italiane nonchè la proporzionalità della sanzione medesima rispetto alla mancanza commessa.

I due motivi anzidetti sono improcedibili.

A norma dell'art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4, insieme col ricorso deve essere depositato, a pena di improcedibilità, il contratto collettivo sul quale il ricorso si fonda.
Il ricorrente ha omesso di ottemperare a tale disposizione, con la conseguenza che è precluso l'esame di ogni questione dal medesimo dedotta, compresa quella relativa alla proporzionalità della sanzione rispetto alla mancanza commessa.


Peraltro, e per completezza, i motivi sono infondati, pacifico essendo che il licenziamento è stato disposto in base alla previsione di cui all'art. 54, punto 6, lett. k), del contratto collettivo dei dipendenti postali, che, come risulta dal ricorso, sanziona con il licenziamento senza preavviso il dipendente che compia "fatti o atti dolosi, anche nei confronti di terzi.....in connessione con il rapporto di lavoro, di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro".

La Corte di merito ha correttamente ritenuto che la condotta posta in essere dal dipendente - consistente nella mancata consegna di una lettera raccomandata contenente un vaglia postale al destinatario e nell'avere falsificato la firma dello stesso, attestando falsamente che il recapito era avvenuto a mani del destinatario e riponendo quindi il plico in un cassetto di pertinenza del dipendente, senza preoccuparsi di assicurarne il recapito - costituiva, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, una mancanza di estrema gravità, tale da far venir meno irrimediabilmente la fiducia che il datore di lavoro deve riporre nei suoi dipendenti al fine di una corretta esecuzione delle prestazioni lavorative.

Correttamente la Corte territoriale ha poi ritenuto che la sanzione espulsiva fosse proporzionata alla entità dei fatti commessi e che non era idonea a ridimensionare la obiettiva gravità della condotta posta in essere dal ricorrente, l'ammissione di colpevolezza da parte del medesimo, essendo questa intervenuta dopo che, a seguito del disconoscimento della firma da parte del destinatario della lettera raccomandata, gli accertamenti disposti dal datore di lavoro confermarono la sussistenza dell'illecito e vennero contestati al ricorrente.

Al riguardo, è principio consolidato di questa Corte che in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza (cfr., fra le altre, Cass. 22 giugno 2009 n. 14586; Cass. 26 luglio 2010 n. 17514; Cass. 13 febbraio 2012 n. 2013).

L'assunto del ricorrente, secondo cui il medesimo, dopo la sentenza impugnata, ha continuato e continua a prestare servizio regolarmente alle dipendenze di Poste - circostanza questa che dimostrerebbe come la condotta da lui posta in essere non fosse stata talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto -, costituisce una mera affermazione non suffragata e riscontrata da alcun elemento, onde resta privo di ogni rilievo nel presente giudizio.

5. Il primo motivo resta assorbito dal rigetto degli altri due.

6. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, a favore Poste Italiane s.p.a., in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Ai sensi al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2015


 

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