REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico - Presidente -
Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere -
Dott. CAPOZZI Angelo - rel. Consigliere -
Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere -
Dott. SCALIA Laura - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.I.;
avverso la sentenza del 30/04/2015 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Canevelli Paolo, che ha concluso chiedendo il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito per l'imputata, l'avv. Bronzino Redentore, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino confermava la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Alessandria del 25 marzo 2010 che, all'esito di rito abbreviato, aveva dichiarato B.I. responsabile del delitto di cui all'art. 328 c.p. e la aveva condannata alla pena di quattro mesi di reclusione.
All'imputata era stato contestato di aver, quale medico in servizio presso l'ospedale infantile di ____, di turno di pronta reperibilità presso il reparto di traumatologia ed ortopedia, indebitamente rifiutato nella notte tra il ____ di visitare una paziente di nove anni, inviata dall'ospedale di ____ per una frattura scomposta al gomito e una frattura composta al polso, dovute ad una caduta da un fienile.

In particolare, i giudici di merito avevano accertato che nella serata del ____ prima delle 22 il medico di guardia del Pronto soccorso presso l'ospedale infantile di ______, avvisato dell'imminente arrivo della paziente con la suddetta diagnosi, sospettando una non corretta immobilizzazione dell'arto, aveva cercato di mettersi in contatto con il medico reperibile del reparto di ortopedia e traumatologia, apprendendo che si trattava della dott.ssa B. e che la stessa al momento non era presente in ospedale; che questi allora aveva cercato di raggiungerla telefonicamente, ma non riuscendovi, perchè la stessa non rispondeva all'utenza, aveva lasciato alle 22 l'incarico ad un'infermiera di avvisare il medico di turno; che l'infermiera, dopo svariati tentativi, era riuscita a comunicare con l'imputata alle 22.30, la quale, informata della vicenda, aveva disposto il ricovero della piccola paziente (in quel momento non ancora giunta in reparto); che appena giunta in reparto la paziente, alle 23.30, le infermiere dell'ospedale avevano nuovamente cercato di contattare l'imputata e, dopo svariati tentativi, erano riuscite a parlarle solo alle 00.30; che l'imputata a questo punto aveva dato telefonicamente disposizioni all'infermiera di rimuovere la stecca della frattura del polso e di applicare una "doccia" nell'arto della paziente, anticipando l'intenzione di procedere ad intervento chirurgico il giorno successivo; che, nella mattina del _____, l'imputata aveva informato il medico di turno della necessità di intervenire chirurgicamente sulla paziente e della difficoltà del caso, in quanto la frattura scomposta poteva determinare complicanze a livello neurologico; che, nell'occasione, l'imputata aveva raccontato di essere stata presente la sera precedente in ospedale e di aver direttamente posizionato la valva al gomito.

In sede di appello, la difesa dell'imputata aveva chiesto l'assoluzione della stessa, sul rilievo che il medico aveva tempestivamente impartito le opportune indicazioni terapeutiche, in vista dell'intervento chirurgico che per necessità avrebbe dovuto essere comunque eseguito l'indomani mattina; che nessun aggravamento alle condizioni della paziente era derivato dal fatto che il medico non aveva provveduto a visitarla subito, tant'è che l'intervento aveva avuto esito fausto con conseguente guarigione della paziente.
La Corte di appello riteneva che la responsabilità dell'imputata risiedesse nell'aver disatteso un atto dovuto (recarsi in ospedale) da compiersi senza ritardo, pur avendo ben percepito l'entità delle lesioni riportate dalla paziente (come dimostravano le istruzioni impartite) ed il carattere dovuto della visita (come era dato desumere dalla falsa rappresentazione alla collega di aver effettuato la visita), essendo ininfluente per la configurabilità del reato contestato - che è di pericolo - l'assenza di conseguenze negative alla sua condotta.

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione il difensore dell'imputata, lamentando l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 328 c.p. e la carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Il ricorrente evidenzia che nessuna urgenza vi era nel caso che richiedesse un immediato intervento dell'imputata, posto che la diagnosi di frattura era già stata effettuata dal primo ospedale e dal medico del pronto soccorso dell'ospedale di _____; che l'imputata aveva fornito le indicazioni opportune in vista dell'intervento operatorio di riduzione della frattura, che avrebbe dovuto essere effettuato il giorno successivo; che nessun altra attività medica vi era da fare.
Il ricorrente rileva che non è condivisibile l'affermazione della sentenza impugnata, che, per dimostrare l'elemento psicologico del reato, avrebbe fatto leva sulla frase pronunciata il giorno successivo ai fatti (di aver visitato la paziente e di averle messo la valva al gomito), in quanto la stessa doveva essere intesa nel senso che l'imputata aveva provveduto nell'immediatezza a fornire le uniche opportune indicazioni terapeutiche in vista dell'intervento operatorio del giorno successivo.
La sentenza impugnata, sostiene il ricorrente, affermerebbe che l'addebito di omissioni di atti di ufficio (con ciò errando trattandosi di rifiuto di atti d'ufficio) risulterebbe essersi perfezionato dalla mancata presentazione dell'imputata presso l'ospedale attesa la esigenza di un "intervento chirurgico immediato".
Secondo il ricorrente, tale esigenza di urgenza non risulterebbe riscontrata da alcun elemento e la stessa sentenza impugnata sembrerebbe escluderla, laddove evidenzia il felice esito dell'iter ospedaliere.
Denuncia infine il ricorrente l'erronea applicazione dell'art. 328 c.p., posto che la relativa fattispecie è da qualificarsi di pericolo "concreto", da valutarsi con giudizio "ex ante", e pertanto caratterizzato dall'urgenza dell'atto richiesto: pertanto, non qualsiasi rifiuto di prestazione medica potrebbe perfezionare il reato in esame, ma soltanto quelle legate ad una situazione di indifferibilità per il pericolo di conseguenze dannose alla salute.
La sentenza impugnata, prevedendo una sorte di automatismo dell'intervento del medico, finirebbe per escludere ogni spazio di discrezionalità in capo alla figura del medico di pronta reperibilità, prevista dal D.P.R. n. 348 del 1983, ogni qualvolta sia attinto da diverse richieste di recarsi in ospedale, quando si versi in situazioni come quella in esame in cui l'atto non sia indifferibile.

Motivazione

1. Il ricorso è infondato.

2. In relazione alla vicenda storico-fattuale oggetto del tema d'accusa, descritta nella parte che precede, esattamente i giudici del merito hanno ravvisato nella condotta tenuta dall'imputata gli estremi della fattispecie penale prevista dall'art. 328 c.p., comma 1.
L'oggetto dell'imputazione era infatti costituito dal rifiuto opposto dal medico di pronta disponibilità di recarsi in ospedale per visitare la paziente.
Come già affermato da questa Corte, il servizio di pronta disponibilità, previsto dal D.P.R. 25 giugno 1983, n. 348, è finalizzato infatti ad assicurare una più efficace assistenza sanitaria nelle strutture ospedaliere ed in tal senso è integrativo e non sostitutivo del turno cosiddetto di guardia, con la conseguenza che esso presuppone, da un lato, la concreta e permanente reperibilità del sanitario e, dall'altro, l'immediato intervento del medico presso il reparto entro i tempi tecnici concordati e prefissati, una volta che dalla Sede ospedaliera ne sia stata comunque sollecitata la presenza. Su questi presupposti, concretandosi l'atto dovuto nell'obbligo di assicurare l'intervento nel luogo di cura, il sanitario non può sottrarsi alla chiamata deducendo che, secondo il proprio giudizio tecnico, non sussisterebbero i presupposti dell'invocata emergenza (Sez. 6, n. 5465 del 18/03/1986 - dep. 12/06/1986, Badessa, Rv. 173105).

Il cit. D.P.R., art. 25 prevede invero che il servizio di pronta disponibilità è caratterizzato dalla immediata reperibilità del dipendente e "dall'obbligo per lo stesso di raggiungere il presidio nel più breve tempo possibile dalla chiamata, secondo intese da definirsi in sede locale".
La pronta disponibilità è quindi un istituto che consente di garantire una continuità assistenziale nel processo di erogazione delle prestazioni sanitarie.

In tale tipologia di servizio non viene in considerazione, come vuoi sostenere la difesa, la discrezionalità del medico di turno di stabilire se recarsi o meno in ospedale, in considerazione dell'urgenza della disamina del caso o di un intervento chirurgico della paziente, ma il dovere di presentarsi in ospedale proprio per formulare la diagnosi o, comunque, accertare le reali condizioni della paziente una volta che il servizio sia stato richiesto dalla struttura ospedaliera.

Non vi è dubbio, tra l'altro, nel caso in esame della necessità della presenza dell'imputata in ospedale, in quanto richiesta da un medico del Pronto soccorso per un controllo specialistico su un trauma che poteva presentare, come la stessa imputata ebbe modo di rappresentare alla sua collega la mattina seguente, delle complicazioni di tipo neurologico.

Come questa Corte ha già avuto modo di precisare, il medico in servizio di reperibilità, chiamato dal collega già presente in ospedale che ne sollecita la presenza in relazione ad una ravvisata urgenza, non può sindacare "a distanza" la valutazione del sanitario e sottrarsi alla chiamata deducendo che, secondo il proprio giudizio tecnico, non sussisterebbero i presupposti dell'invocata emergenza, ma deve recarsi subito in reparto e visitare il malato. L'urgenza ed il relativo obbligo di recarsi subito in ospedale per sottoporre a visita il soggetto infermo vengono a configurarsi in termini formali, senza possibilità di sindacato a distanza da parte del chiamato.

Ne consegue che il rifiuto penalmente rilevante ai sensi dell'art. 328 c.p., comma 1, si consuma con la violazione del suddetto obbligo e la responsabilità non è tecnicamente connessa all'effettiva ricorrenza della prospettata necessità ed urgenza dell'intervento del medico (Sez. 6, n. 12376 del 13/02/2013 - dep. 15/03/2013, Da Col, Rv. 255391).

3. Inammissibili sono infine anche le censure volte a prospettare a questa Corte letture alternative delle risultanze processuali, quanto alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato in esame.

A fronte di una corretta ed esaustiva ricostruzione del compendio storico-fattuale oggetto della regiudicanda, non può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti accertati nelle pronunzie dei Giudici di merito, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a ripercorrere i passaggi motivazionali ivi delineati, ed a verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della motivazione al contenuto delle correlative acquisizioni processuali.

4. Sulla base di quanto precede, il ricorso deve essere rigettato con le conseguenze di legge, in punto di spese.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2015


 

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