REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRUTI Giuseppe Maria - Presidente
Dott. D'AMICO Paolo - Consigliere -
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - rel. Consigliere -
Dott. PELLECCHIA Antonella - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 7503-2013 proposto da:
G.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell'avvocato PLACIDI ALFREDO, rappresentata e difesa dall'avvocato DAL MOLIN GRAZIANO giusta procura speciale a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
M.A., F.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUCREZIO CARO N.62, presso lo studio dell'avvocato CARLETTI FIORAVANTE, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato COATTI PIER GIORGIO giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 1490/2012 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 22/10/2012, R.G.N. 1501/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/07/2015 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l'Avvocato GRAZIANO DAL MOLIN;
udito l'Avvocato CARLETTI FIORAVANTE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Nel 2002 G.F. convenne dinanzi al Tribunale di Ravenna M.A. e F.C., chiedendone la condanna al risarcimento del danno da essi causatole per non averle rilasciato una particella di terreno, sita in (OMISSIS), da essi occupata illegittimamente, ed al cui rilascio erano stati condannati con sentenza passata in giudicato.
2. I convenuti contestarono la domanda.
Con sentenza 20.3.2007 n. 359 il Tribunale di Ravenna accolse la domanda e condannò i convenuti a pagare all'attrice 40.000 Euro.
3. La sentenza venne appellata dai soccombenti.
Con sentenza 22.10.2012 n. 1490 la Corte d'appello Bologna accolse l'appello e rigettò la domanda di G.F., ritenendo non essere mai stato allegato e provato alcun danno.
4. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da G.F., con ricorso fondato su un motivo e illustrato da memoria.
Hanno resistito con un controricorso unitario M.A. e F.C..

Motivazione

1. Il motivo unico di ricorso.

1.1. Con l'unico motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3.
Si assumono violati gli artt. 1226, 2043 e 2056 c.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe errato nel rigettare la domanda di risarcimento, perchè nel caso di occupazione sine titulo di immobili il danno è in re ipsa; soggiunge che in ogni caso la danneggiata aveva fornito elementi indicativi per una stima equitativa, quali le tariffe richieste del comune di Cervia per l'occupazione temporanea di suolo pubblico; conclude deducendo che in ogni caso la Corte d'appello avrebbe dovuto fare ricorso al cd. "danno figurativo", liquidato in base al valore commerciale dell'immobile.

1.2. Il motivo è fondato.
Sulla questione dell'accertamento e della stima del danno da occupazione sine titulo di immobili si registra un risalente contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

1.3. Secondo un primo orientamento, in caso di occupazione senza titolo di un immobile altrui, il danno patito dal proprietario sarebbe in re ipsa. Questo orientamento si fonda sull'assunto che il diritto di proprietà ha insite in sè le facoltà di godimento di disponibilità del bene che ne forma oggetto: sicchè, una volta soppresse tali facoltà per effetto dell'occupazione, l'esistenza d'un danno risarcibile può ritenersi sussistente sulla base d'una praesumptio hominis, superabile solo con la dimostrazione concreta che il proprietario, anche se non fosse stato spogliato, si sarebbe comunque disinteressato del suo immobile e non l'avrebbe in alcun modo utilizzato. Per quanto attiene, poi, alla concreta stima del danno, l'orientamento in esame ritiene che questa possa avvenire anche facendo riferimento al cosiddetto danno "figurativo", vale a dire al valore locativo dell'immobile occupato.
In questo senso si sono pronunciate Sez. 3, Sentenza n. 9137 del 16/04/2013, Rv. 626051; Sez. 2, Sentenza n. 14222 del 07/08/2012, Rv.623541; Sez. 2, Sentenza n. 5568 del 08/03/2010, Rv. 611644; Sez. 3, Sentenza n. 3251 del 11/02/2008, Rv. 601677; Sez. 3, Sentenza n. 10498 del 08/05/2006, Rv. 591331; Sez. 3, Sentenza n. 827 del 18/01/2006, Rv. 587382; Sez. 2, Sentenza n. 649 del 21/01/2000, Rv.533031; Sez. 2, Sentenza n. 1373 del 18/02/1999, Rv. 523352).

1.4. Per un diverso orientamento, invece, il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente in re ipsa, nè coincide col mero fatto dell'occupazione.

Secondo questo orientamento, infatti, l'occupazione non è il danno, ma la condotta produttiva del danno. Pertanto il danneggiato che chieda il risarcimento del pregiudizio causato dall'occupazione sine titulo è tenuto a provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi anche della prova presuntiva.
In questo senso si sono pronunciate Sez. 3, Sentenza n. 15111 del 17/06/2013, Rv. 626875; Sez. 3, Sentenza n. 378 del 11/01/2005, Rv.579772.

1.5. Ritiene questa Corte che tra i due orientamenti debba essere preferito il secondo, ma che nondimeno la sentenza impugnata non l'abbia correttamente applicato.

1.5.1. L'affermazione secondo cui il danno causato dall'indisponibilità d'un immobile sia in re ipsa non può ritenersi corretta. Nel nostro ordinamento infatti non esistono danni in rebus ipsis, e nessun risarcimento è mai esigibile se dalla lesione del diritto o dell'interesse non sia derivato un concreto pregiudizio (ex multis, da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 24474 del 18/11/2014, Rv.633450; Sez. 6 - 3, Sentenza n. 18812 del 05/09/2014, Rv. 632941;Sez. 1, Sentenza n. 23194 del 11/10/2013, Rv. 628570; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 21865 del 24/09/2013, Rv. 627750).
Il danno risarcibile, infatti, non può dirsi esistente sol perchè sia stato vulnerato un diritto. La lesione del diritto è il presupposto del danno, non il danno. Quest'ultimo vi sarà soltanto se dalla lesione del diritto sia altresì derivata una perdita, patrimoniale o non patrimoniale che sia.

1.5.2. L'inconcepibilità di danni in re ipsa fa sì che non è possibile pretendere il risarcimento, sol perchè si sia provata la lesione del diritto.
Tuttavia ciò non toglie che l'esistenza del danno possa essere dimostrata con ogni mezzo di prova, ivi comprese le presunzioni semplici di cui all'art. 2727 c.c..
Non vi è, dunque, alcuna implicazione necessaria tra il negare l'ammissibilità di danni in re ipsa, e il negare il ricorso alla prova presuntiva. Una volta, infatti, stabilito che "danno" in senso giuridico è non la lesione d'un diritto in sè, ma le conseguenze che ne sono derivate, nulla vieta al giudice di risalire al fatto ignorato dell'esistenza d'un danno muovendo dal fatto noto del tipo, quantità e qualità della lesione patita dalla vittima.

1.6. Or bene, la Corte d'appello di Bologna, dopo avere - correttamente, per quanto detto - premesso che l'occupazione dell'immobile altrui non costituisce necessariamente un danno in re ipsa, ha rigettato la domanda attorea sul presupposto che l'attrice non avrebbe nè allegato, nè provato:
(a) che l'immobile usurpato fosse idoneo agli usi "sui quali il primo giudice ha argomentato al fine di pervenire" all'accoglimento della domanda;
(b) che esistesse un danno;
(c) che il bene fosse "appetibile" nel mercato delle locazioni immobiliari;
(d) di avere rinunciato a vantaggiose proposte di locazione.

Questa motivazione è irrispettosa dell'art. 1226 c.c.
Essa, infatti, presuppone che un immobile non possa avere altro uso che la vendita o la locazione.
Trascura, invece, di considerare che qualsiasi bene è suscettibile anche di uso diretto da parte del proprietario, e l'uso diretto ha una utilità avente un contenuto economico (il cd. opportunity cost nell'analisi economica del diritto). Chi, infatti, disponesse - poniamo - d'una piccola corte a mò di deposito, a livello teorico risparmia il costo del fitto di un'area analoga.
Si tratta di pregiudizi che palesemente non possono essere provati nel loro esatto ammontare, e che impongono dunque una liquidazione equitativa.

La sentenza impugnata deve quindi essere cassata con rinvio alla Corte d'appello di Bologna, la quale nel riesaminare il caso si atterrà al seguente principio di diritto:
La perduta disponibilità d'un immobile non costituisce un danno in re ipsa, nel senso che, provata l'occupazione abusiva, non può dirsi per ciò solo provato il danno. Quest'ultimo, tuttavia, può essere dimostrato col ricorso a presunzioni semplici, e può consistere anche nell'utilità teorica che il danneggiato poteva ritrarre dall'uso diretto del bene, durante il tempo per il quale è stato occupato da altri.

2. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 3.

PQM

la Corte di cassazione, visto l'art. 380 c.p.c.:
-) accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Bologna in diversa composizione;
-) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, il 7 luglio 2015.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2015


 

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