LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo - Presidente -
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere -
Dott. NUZZO Laurenza - Consigliere -
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere -
Dott. CARRATO Aldo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 22061/06) proposto da:
MG A. s.r.l.,
- ricorrente -
contro
COMUNE DI ROMA
- controricorrente -
Avverso la sentenza del Giudice di pace di Roma n. 26637/2005, depositata il 15 giugno 2005 e non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 19 dicembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Motivazione

1. Con sentenza n. 26637 del 2005 il Giudice di pace di Roma, decidendo sull'opposizione proposta dalla s.r.l. M.G. A. avverso le determinazioni dirigenziali ingiuntive nn. 10656, 10658 e 10660 del 23 aprile 2004 emesse dal Comune di Roma in relazione ad altrettanti verbali di accertamento per violazione dell'art. 28 del Regolamento in materia di Pubbliche Affissioni, la rigettava integralmente.
A sostegno dell'adottata decisione il suddetto giudice rilevava che, sulla scorta degli atti di causa, era emerso pacificamente l'installazione abusiva dei cartelli pubblicitari di cui ai verbali di accertamento e che, sul piano procedimentale, non trovavano applicazione in materia nè il termine previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 2, nè l'istituto del silenzio-assenso, siccome non specificamente previsto.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la s.r.l. M.G. A. basato su cinque motivi, avverso il quale l'intimato Comune di Roma si è costituito in questa sede con controricorso.
Il collegio ha deliberato l'adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata.
2. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto il difetto e la contraddittorietà di motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981 e della L. n. 241 del 1990, oltre che la violazione dell'art. 24 Cost.
2.1. Il motivo è infondato e deve, pertanto essere rigettato.
La giurisprudenza di questa Corte, a cominciare dalla pronuncia delle Sezioni unite n. 9591 del 2006, è costante nell'affermazione del principio secondo cui il termine di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2, comma 3, tanto nella sua originaria formulazione, quanto in quella risultante dalla modificazione apportata dal D.L. n. 35 del 2005, art. 3, comma 6 bis, conv. dalla L. n. 80 del 2005, è incompatibile con i procedimenti regolati dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, che costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi, i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell'interesse dell'incolpato, il rispetto di un termine così breve.
3. Con il secondo motivo la stessa ricorrente ha prospettato il vizio di motivazione e la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, nella parte in cui con la sentenza impugnata era stata ritenuta la legittimità della motivazione "per relationem" (al contenuto dei verbali di accertamento delle violazioni) delle ordinanze-ingiunzioni impugnate, nelle quali, peraltro, non si era tenuto conto delle difese svolte dalla stessa opponente in sede amministrativa.
3.1. Anche questa doglianza è priva di fondamento e deve essere, quindi, respinta.
Le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 1786 del 2010, hanno statuito che, in tema di opposizione ad ordinanza ingiunzione per l'irrogazione di sanzioni amministrative - emessa a conclusione del procedimento amministrativo della L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 18 - i vizi di motivazione in ordine alle difese presentate dall'interessato in sede amministrativa non comportano la nullità del provvedimento, e quindi l'insussistenza del diritto di credito derivante dalla violazione commessa, in quanto il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l'atto, ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa (eventualmente non esaminate o non motivatamente respinte), in quanto riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri, sia che le stesse investano questioni di diritto che di fatto. Da ciò scaturisce che l'obbligo di motivare l'atto applicativo della sanzione amministrativa deve considerarsi soddisfatto quando dall'ingiunzione risulti la violazione addebitata, in modo che l'ingiunto possa far valere le sue ragioni e il giudice esercitare il controllo giurisdizionale, con la conseguenza che è ammissibile la motivazione "per relationem" mediante il richiamo di altri atti del procedimento amministrativo, purchè tale richiamo consenta l'instaurazione del giudizio di merito sull'esistenza e sulla consistenza del rapporto obbligatorio (cfr., tra le tante, Cass. n. 17104 dei 2009).
4. Con il terzo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per vizio di motivazione non avendo il giudice di pace di Roma valutato adeguatamente la doglianza relativa alla illegittimità dei provvedimenti ingiuntivi poichè gli impianti di pubblicità erano stati regolarmente autorizzati.
4.1. Anche questo motivo (oltretutto generico) si prospetta infondato perchè il giudice del merito, in base ad un accertamento di fatto adeguatamente motivato e basato sulle risultanze del procedimento amministrativo sanzionatorio, ha attestato che, dagli atti di causa, era risultato, in modo incontrovertibile, che l'opponente aveva installato abusivamente i cartelli pubblicitari cui si riferivano i verbali di contestazione senza la preventiva necessaria autorizzazione del competente ente territoriale. Peraltro, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, era suo onere (e non della P.A. opposta) dimostrare che gli impianti pubblicitari ritenuti abusivi dal Comune di Roma, erano stati "regolarizzati", giacchè, in tal caso, sarebbe stato necessario che la stessa società opponente avesse comprovato il possesso della relativa documentazione; pertanto, deve ritenersi del tutto legittima la motivazione con cui il giudice di pace ha ritenuto che la prova degli illeciti era emersa dalle risultanze degli atti del procedimento sanzionatorio, sul presupposto che non erano state fornite dalla ricorrente le prove del suo assunto difensivo.
5. Con il quarto motivo la ricorrente ha denunciato il difetto e la contraddittorietà della motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, deducendo l'erroneità della sentenza nella parte in cui non aveva preso in considerazione il motivo di nullità per omessa convocazione del suo legale rappresentante ai fini dell'espletamento della richiesta audizione.
5.1. Anche questo motivo non è meritevole di accoglimento avendo le Sezioni unite di questa Corte chiarito in via definitiva, con la citata sentenza n. 1786 del 2010, che, in tema di ordinanza ingiunzione per l'irrogazione di sanzioni amministrative - emessa a conclusione del procedimento amministrativo della L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 18 - la mancata audizione dell'interessato che ne abbia fatto richiesta in sede amministrativa non comporta la nullità del provvedimento, in quanto, riguardando il giudizio di opposizione il rapporto e non l'atto, gli argomenti a proprio favore che l'interessato avrebbe potuto sostenere in sede di audizione dinanzi all'autorità amministrativa ben possono essere prospettati in sede giurisdizionale.
6. Con il quinto motivo la ricorrente ha denunciato il vizio di omissione e contraddittorietà di motivazione nonchè la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, non avendo il giudice di pace capitolino valutato la rilevanza dell'omesso deposito, da parte dell'ente resistente, dei documenti relativi alle violazioni contestate.
6.1. Anche quest'ultimo motivo è destituito di fondamento e va respinto avendo il giudice di pace di Roma verificato, come già evidenziato, che la prova della sussistenza delle violazioni accertate a carico della società opponente emergeva univocamente dagli atti di causa acquisiti, ragion per cui, indipendentemente dall'eventuale omesso deposito dei documenti da parte del Comune opposto, la documentazione comunque prodotta in giudizio era stata ritenuta sufficiente per la suddetta valutazione, prendendo in considerazione anche le doglianze della medesima società opponente, che aveva potuto far valere in giudizio pienamente tutte le sue ragioni, ivi comprese quelle eventualmente non esaminate o non motivatamente respinte nell'ambito del procedimento amministrativo (secondo l'indirizzo più recente della giurisprudenza di questa Corte).
7. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con la conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2012


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.