LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente -
Dott. PICONE Pasquale - Consigliere -
Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere -
Dott. NOBILE Vittorio - rel. Consigliere -
Dott. ZAPPIA Pietro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 6259-2007 proposto da:
E**** A**** - ricorrente -
contro
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE - resistente con mandato -
avverso la sentenza n. 254/2006 della CORTE D'APPELLO di SALERNO,
depositata il 23/02/2006 r.g.n. 1271/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/04/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 9-8-2000 E*** A***** adiva il Giudice del Lavoro di Nocera Inferiore chiedendo, con riferimento alla risoluzione del rapporto comunicatagli dalla società datrice di lavoro il 13-11-1998 ed al successivo collocamento in mobilità, che l'INPS (inadempiente nonostante la domanda avanzata il 17-11-1998 venisse condannato alla erogazione del trattamento di mobilità di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 7 oltre accessori come per legge.
L'Istituto convenuto si costituiva tardivamente in giudizio e, dopo aver eccepito l'improcedibilità della domanda e l'estinzione del diritto azionato per intervenuta decadenza nonchè per prescrizione, contestava la fondatezza della pretesa assumendo che doveva ritenersi congruo l'importo già versato di L. 11.761.517 a fronte di un indebito del ricorrente per L. 25.217.774, avente origine dalla percezione di una indennità di mobilità nonostante che il ricorrente avesse proposto, con esito favorevole, un ricorso avverso il licenziamento intimatogli dalla società datrice di lavoro.
Il Giudice adito, con sentenza del 5-5-2005 accoglieva la domanda e, dichiarando il diritto del ricorrente, condannava l'INPS al pagamento dei ratei di indennità di mobilità oltre accessori, rilevando in particolare che, mentre il credito azionato dall' E*****era documentalmente provato e non contestato, la deduzione di un indebito da parte dell'INPS integrava gli elementi di una compensazione in senso proprio, in quanto non riconducibile eziologicamente al rapporto dedotto in lite, che, per effetto della tardiva costituzione del resistente, non poteva essere fatta valere.
L'INPS proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma, ricorrendo un'ipotesi di compensazione impropria, con conseguente rigetto della domanda.
In via gradata l'Istituto chiedeva che venisse dichiarata la compensazione nei limiti di un quinto dell'importo dovuto, in applicazione dei principi consolidati in materia di ripetizione di indebito.
L' E***** si costituiva eccependo la inammissibilità del gravame, per violazione del divieto posto dall'art. 345 c.p.c., nella parte in cui l'originaria domanda di ripetizione dell'indebito si era trasformata in una eccezione impropria che, senza bisogno dell'accertamento richiesto dalla prima, poteva paralizzare l'avversa pretesa. Nel merito l'appellato rilevava, tra l'altro, che comunque la tardiva costituzione in giudizio dell'INPS aveva determinato la decadenza di quest'ultimo da ogni possibilità di adempiere all'onere di allegazione e di prova.
La Corte d'Appello di Salerno, con sentenza depositata il 23-2-2006, in accoglimento dell'appello, ritenuta la ammissibilità della operata compensazione impropria, dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla domanda proposta dall' E***** e compensava le spese del doppio grado.
In sintesi la Corte territoriale, premesso che "l'appellato ha ammesso la ricorrenza del presupposto sul quale l'Istituto ha fondato la propria eccezione e, cioè, l'esistenza di una sentenza che aveva dichiarato l'illegittimità di un precedente licenziamento con riferimento al quale era stata erogata altra indennità di mobilità" e considerato che non è consentito equiparare al "lavoro effettivamente prestato" L. n. 223 del 1991, ex art. 16 "il periodo di continuità del lavoro effetto della declaratoria di illegittimità del licenziamento" i cui effetti non sono suscettibili di sommarsi con l'indennità di mobilità, che, una volta dichiarato inefficace il licenziamento, "potrà e dovrà essere richiesta in restituzione dall'Istituto previdenziale, essendone venuti meno i presupposti", affermava che nella fattispecie non poteva trovare applicazione l'istituto della compensazione in senso proprio, in quanto al credito azionato rappresentato da ratei di indennità di mobilità si contrapponeva "un credito dell'INPS costituito da altri ratei di indennità di mobilità indebitamente corrisposti in occasione di un precedente licenziamento", per cui non sussisteva "la autonomia di rapporti per avere origine i rispettivi crediti nell'ambito di un'unica relazione negoziale, ancorchè complessa".
Pertanto, la Corte di merito concludeva che il credito residuo del lavoratore (relativo ai ratei dal settembre 2000 al novembre 2002) doveva ritenersi del tutto soddisfatto con l'erogazione dei ratei relativi al precedente licenziamento.
Per la cassazione di tale sentenza l' E***** ha proposto ricorso con tre motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..
L'INPS ha depositato procura.

Motivazione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 112, 291 e 416 c.p.c. e art. 2697 c.c. e vizio di motivazione, deduce che "la questione che per prima si poneva non era legata alla rilevabilità o meno di ufficio della compensazione eccepita, per essere la stessa da qualificarsi come propria o impropria, bensì quella di stabilire se controparte, stante la sua iniziale contumacia, poteva ancora inserire a suo piacimento nel processo fatti nuovi e diversi rispetto a quelli ritualmente acquisiti e provati".
In particolare il ricorrente evidenzia che, nella specie, "non vi era agli atti di causa alcuna traccia nè di precedenti licenziamenti e/o di pregresse indennità di mobilità, nè soprattutto di fatti e circostanze da cui potesse, neanche lontanamente, risalirsi all'indebito azionato dall'Ente di Previdenza con la sua tardiva costituzione" e che, pertanto, la Corte d'Appello ha altresì violato il principio generale secondo cui anche a fronte di eccezioni rilevabili d'ufficio, il giudice deve operare pur sempre sulla base di allegazioni e di prove ritualmente acquisite al processo", dovendo il potere di allegazione (che precede quello di rilevazione) essere esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito del lavoro, con le relative preclusioni e decadenze.
In sostanza, secondo il ricorrente il preteso controcredito dell'INPS risultava innanzitutto (ed a prescindere da ogni altra considerazione sulla natura dell'eccezione e sulla prova) allegato dal convenuto tardivamente e in violazione del principio del contraddittorio.

Il motivo è fondato.
Come è stato precisato da questa Corte "in relazione all'opzione difensiva del convenuto consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione, posto che il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto sempre soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l'iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze previste, atteso che il generale potere - dovere di rilievo d'ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce solo nell'attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti, sempre che la richiesta della parte in tal senso non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo però in entrambi i casi necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile" (v. Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099, Cass. 27-7-1999 n. 8158, Cass. 22-11-1999 n. 12918, Cass. 8-2-2000 n. 1393, Cass. 9-3-2001 n. 3475. Cass. 8-4-2004 n. 6943).
Pertanto, come avviene in ogni caso di esercizio di poteri ufficiosi, anche il potere di rilevare di ufficio una eccezione in senso lato deve essere comunque esercitato sulla base di allegazioni e di prove (incluse quelle documentali) ritualmente acquisite al processo, nonchè di fatti anch'essi ritualmente acquisiti al contraddittorio e nel rispetto del principio della tempestività della allegazione (cfr. Cass. 30-1-2006 n. 2035, Cass. 12-4-2006 n. 8551, Cass. 6-2- 2006 n. 2468, Cass. 12-8-2009 n. 18250).
Nella specie, quindi, in applicazione di tali principi, deve ritenersi che, anche a prescindere dalla natura dell'eccezione proposta di compensazione propria o impropria, la tardività (e irritualità) della allegazione dei diversi fatti pregressi posti a base dell'eccezione stessa impediva comunque la rilevabilità dell'eccezione medesima.
Tanto basta per accogliere il primo motivo, restando assorbiti il secondo (relativo alla omessa valutazione della formulazione iniziale da parte dell'INPS di una "controdomanda" nei confronti dell' E***** poi modificata in appello) e il terzo (riguardante la natura di compensazione propria dell'eccezione e, comunque, la mancata verifica del quantum del contestato controcredito).
Tale accoglimento è sufficiente per cassare la impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con la conferma, per i motivi sopra esposti, delle statuizioni della sentenza di primo grado, anche sulle spese.
Infine, ritiene il Collegio che ricorrano giusti motivi, in considerazione dell'esito nettamente alterno dei giudizi di merito, per compensare le spese di appello e di cassazione fra le parti.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa la impugnata sentenza e, decidendo nel merito, conferma le statuizioni della sentenza di primo grado, anche sulle spese; compensa le spese di appello e di cassazione.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2010


 

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