REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi - Presidente -
Dott. BURSESE Gaetano Antonio - Consigliere -
Dott. NUZZO Laurenza - Consigliere -
Dott. MATERA Lina - Consigliere -
Dott. ORICCHIO Antonio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 7607/2010 proposto da:
T.B., T.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 14, presso lo studio dell'avvocato MENDICINI MARIO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati GABRIO BAGNOLI, ROBERTO NANNELLI;
- ricorrenti -
contro
F.S., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO ARENULA 34 P.4/5, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE NERIO CARUGNO, rappresentato e difeso dall'avvocato CAMPATELLI GIOVANNI;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1128/2009 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/09/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/06/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto 1-2-3-4 motivo, accoglimento 5 motivo del ricorso.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del novembre 1993 F.S., quale promittente acquirente, conveniva innanzi al Tribunale di Pisa T.G., promittente venditore di un terreno.
L'attore chiedeva la condanna del convenuto al pagamento della somma di L. 73 milioni comprensiva di migliorie e del doppio della caparra già versata alla stipula del contratto preliminare di vendita del terreno.
In particolare l'attore deduceva che si era verificato il venir meno dell'elemento essenziale espressamente previsto dalla clausola n. 10 del medesimo preliminare, con la quale veniva garantito "l'allontanamento ad almeno 100 metri dal fabbricato della pista di motocross", che insisteva sul suolo del promittente venditore.

Parte convenuta si opponeva all'avversa domanda attorea deducendo, fra l'altro, ingiustificato rifiuto del F. a presentarsi innanzi al notaio per la stipula del rogito e, in via riconvenzionale, chiedeva la declaratoria di risoluzione del contratto de quo per inadempimento della controparte e, quindi, del diritto al definitivo incameramento della caparra.

Con sentenza del 6 febbraio 2006 il Tribunale di prima istanza rigettava la domanda attorea ed accoglieva la riconvenzionale condannando l'attore al pagamento delle spese processuali.

Avverso la suddetta sentenza interponeva appello il F.
Resistevano all'impugnazione gli eredi dell'originario convenuto, nelle more deceduto, ovvero T.D. e B..
L'adita Corte di Appello di Firenze, con sentenza n. 1128/2009, in totale riforma dell'impugnata decisione dichiarava risolto il contratto per cui è causa per mancato avveramento della condizione e, in applicazione del disposto della clausola n. 10 dello stesso, condannava gli eredi T.D. e B., in solido, a pagare al F. la somma di L. 60 milioni, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, nonchè al pagamento delle spese di lite del doppio grado del giudizio.

Per la cassazione della succitata decisione della Corte distrettuale ricorrono T.D. e B. con atto affidato a cinque ordini di motivi.
Resiste con controricorso il F

Motivazione

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di "violazione e falsa applicazione degli artt. 1353 e 2607, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, circa un punto decisivo della controversia prospettato nella difesa" dei T. ed inerente l'onere probatorio relativo all'avveramento della condizione di cui alla clausola contrattuale (spostamento della pista).
Il motivo è assistito dalla formulazione, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., di quesito.

La censura all'impugnata sentenza mossa, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, con il motivo qui in esame si sostanzia in pratica nella denuncia di una eventuale carenza motivazionale.
Senonchè più di una ragione osta all'accoglimento della prospettata censura.
Oltre all'incongruenza della norma invocata rispetto alla sostanza della censura denunciata deve rilevarsi che la pretesa violazione di legge, prospettata unitamente alla falsa applicazione pure oggetto di denuncia, non è rinvenibile nella gravata decisione. Con quest'ultima la Corte distrettuale, facendo buon governo delle norme di legge e dei principi ermeneutici applicabili nella fattispecie, ha correttamente valutato ed applicato nella concreta ipotesi la legge.
In particolare non risultano affatto violati i principi regolatori dell'onere probatorio inerente la dimostrazione del mancato avveramento della condizione di cui alla clausola risolutiva contrattuale ovvero del già accennato spostamento della pista.
Più specificamente deve evidenziarsi che agli atti risulta comprovata, con adeguata valutazione in merito, la permanenza della suddetta pista a distanza inferiore (mt 56,79) rispetto a quella (mt.100 dal fabbricato) di cui al contratto.
In breve, poi, va rammentato che la stessa parte oggi deducente il preteso vizio in esame ha addirittura, nel corso del giudizio, essa stessa riconosciuto la succitata minore distanza facendone oggetto di una prova testimoniale tesa all'affermazione di un intervenuto accordo derogatorio sulla distanza a suo tempo posta come condizione risolutiva.
Non si riesce, dunque, ad intravedere vizio alcuno e,pertanto, il motivo - in quanto infondato - va rigettato.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di "omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, circa un punto decisivo della controversia" ovvero i "motivi per cui è provato il mancato avveramento della condizione (spostamento pista)".

Il motivo è corredato dalla formulazione di quesito.
Con il motivo stesso si ripropone, nella sostanza, la medesima censura relativa all'avveramento della condizione, sia pure sotto il differente profilo della carenza motivazionale.
Questa carenza, denunciata col motivo, non è assolutamente rinvenibile in quanto, per gli anzidetti e sottolineati aspetti di fatto già citati innanzi sub 1., la pista de qua era incontrovertibilmente posizionata a distanza inferiore a quella prevista nella condizione risolutiva.
Il motivo deve, pertanto, essere rigettato.

3.- Con il terzo motivo parti ricorrenti deducono il vizio di "violazione e falsa applicazione degli artt. 1350, 1351 e 1353 (c.c.) ss. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, circa un punto decisivo" concernente il fatto che "la modifica della condizione di cui all'art. 10 del contratto preliminare stipulato inter partes non poteva essere pattuita verbalmente ma doveva avere la forma scritta ad substantiam".
La questione sollevata col motivo qui in esame appare, per certi versi, nuova rispetto a quanto risultante in atti ed quanto allegato dalla parte ricorrente con specifico riferimento all'onere ad essa incombente della puntuale e specifica indicazione della fase processuale in cui la questione proposta innanzi a questa Corte fu già prospettata con apposita domanda relativa alla validità dell'intervenuta pretesa modifica della clausola a mezzo di accordo verbale.
In ogni caso la questione stessa deve risolversi nel senso che una eventuale intesta verbale inter partes per la modifica del contratto preliminare con rinuncia agli effetti della prevista clausola risolutiva comportava una modifica contrattuale con rilevante alterazione rispetto al precedente negozio che andava validamente adottata (come non è stato nella fattispecie) a mezzo di forma scritta.
Il motivo in esame, in quanto infondato, va rigettato.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, circa un punto decisivo" ovvero il fatto che la modifica della condizione di cui al suddetto art. 10 "non avrebbe potuto essere pattuita verbalmente, ma avrebbe dovuto avere la forma scritta ad substantiam".

Il motivo ripropone, sotto il profilo della carenza motivazionale, la medesima questione dell'intervenuto accordo modificato della clausola attinente lo spostamento della pista.
Col motivo si tende, nella sostanza, ad una rivalutazione - sul punto - del merito della controversia. Senonchè, giova qui rammentare, "il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile un mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all'uopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione" (Cass. SS.UU. 11 giugno 1998, n. 5802).
E ciò, come in ipotesi, al fine di voler "far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte" (Cass. civ., 26 marzo 2010, n. 7394).
Il motivo deve, dunque, essere rigettato.

5.- Con il quinto ed ultimo motivo del ricorso si censura il vizio di "violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, circa un punto decisivo" e relativo alla condanna oltre che alla caparra doppia anche agli interessi legali.

Più specificamente le odierne parti ricorrenti lamentano il fatto che, in mancanza di apposta domanda del F., sia stata disposta la condanna al pagamento in favore di quest'ultimo non solo della restituzione dell'importo della caparra a suo tempo pattuita, ma anche dei mai richiesti interessi.

Il motivo è fondato e comporta, in punto, l'accoglimento del ricorso.
In effetti l'odierna parte contro-ricorrente non risulta aver mai formulato apposita domanda volta all'ottenimento degli interessi sull'importo dovutole a titolo di restituzione della detta caparra.
Tanto a maggior ragione alla luce del principio, qui ribadito, per cui al promittente acquirente che abbia versato caparra confirmatoria gli interessi sulla stessa possono essere attribuiti non automaticamente, ma solo su espressa domanda della parte (Cass. civ., Sent. n.ri 1913/2000 e 1087/2007).

6.- L'anzidetto accoglimento del solo quinto motivo del ricorso comporta, potendosi provvedere ai sensi dell'art. 384 c.p.c., la pronuncia, con la cassazione in punto dell'impugnata sentenza, nel merito e l'eliminazione della condanna al pagamento degli interessi sulla caparra già disposta.

7.- Le spese, atteso l'esito del presente giudizio, vanno compensate in regione di un quinto.
Per la parte rimanente (quattro quinti) vanno addebitate ai ricorrenti.
Tanto con riguardo sia al secondo grado del giudizio di merito che al presente giudizio.
Viene confermata la liquidazione delle spese determinata dal Giudice di secondo grado.
Per il presente giudizio le spese vengono liquidate così come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta i primi quattro motivi del ricorso, accoglie il quinto, cassa l'impugnata sentenza in relazione al solo motivo accolto e, pronunciando nel merito, elimina la condanna agli interessi, compensa per un quinto le spese dell'intero processo e condanna i ricorrenti al pagamento in favore del controricorrente dei rimanenti quattro quinti delle spese, confermando per l'intero la liquidazione contenuta nella sentenza di secondo grado, e liquidando, quanto al presente giudizio la somma di Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 giugno 2015.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2015


 

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