REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio - Presidente -
Dott. DI IASI Camilla - Consigliere -
Dott. CIGNA Mario - Consigliere -
Dott. FEDERICO Guido - Consigliere -
Dott. IOFRIDA Giulia - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;
- ricorrente -
contro
N.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Celimontana 38, presso lo studio dell'Avv.to Panariiti Benito Piero, che lo rappresenta e difende unitamente all'Avv.to Cavera Diego, in forza di procura speciale in calce al ricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 49/18/2008 della Commissione Tributaria regionale della Toscana, depositata il 30/06/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/2014 dal Consigliere Dott. Giulia Iofrida;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto o, in subordine, l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Svolgimento del processo

L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di N.A. (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana n. 49/18/2008, depositata in data 30/06/2008, con la quale, in una controversia concernente l'impugnazione di un avviso di accertamento, emesso, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, per maggiore IRPEF dovuta per l'anno d'imposta 1999, a fronte di incrementi patrimoniali e del possesso di autovettura e di due abitazioni, è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente. In particolare, i giudici d'appello hanno sostenuto che, dalla documentazione prodotta dal contribuente ("contabili bancarie e contabilità e prospetti analitici di parte"), emergeva "sia il possesso nell'anno in questione di rilevanti redditi diversi di natura finanziaria, sia l'entità di essi (superiore addirittura a quella accertata dall'Ufficio), sia la "durata" del loro possesso" e la legge non pretendeva ulteriore documentazione ed ulteriori prove.

Motivazione

L'Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6 e art. 2697 c.c., non avendo i giudici d'appello correttamente individuato il thema decidendum ed il riparto dell'onere probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente, dovendo questi fornire la prova anche dell'impiego delle somme smobilizzate per sostenere le spese di incremento patrimoniale.

La ricorrente invoca poi un vizio di insufficiente ed illogica motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, su fatto decisivo e controverso, non avendo i giudici tenuto conto del fatto che lo "scostamento" accertato dall'Ufficio, solo per una parte, risultava annullato dalle disponibilità finanziarie documentate dal N.

Infine, con l'ultimo motivo, l'Agenzia delle Entrate lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 e dell'art. 112 c.p.c. ed il mancato approfondito esame del merito della pretesa impositiva, con determinazione dell'imposta realmente dovuta dal contribuente.

La prima censura è infondata.
Recitano del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, i commi 5 e 6 nella versione ratione temporis vigente all'epoca del presente giudizio:
"Qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell'anno in cui è stata effettuata e nei cinque precedenti. Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell'accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta. L'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione".
Secondo un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'Ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto, in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, non "riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ma anche l'essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, e non già con qualsiasi altro reddito (dichiarato)" (Cass. n. 6813/2009; Cass. 23785/2010; Cass. n. 4183/2013).
Come, invece, da ultimo ritenuto da questa Corte (Cass. 6396/2014) "nessun'altra prova deve dare la parte contribuente circa l'effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell'esistenza di tali redditi" nè può evincersi "un onere di dimostrazione, aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l'effettiva disponibilità finanziaria delle somme occorrenti per gli acquisti operati dal contribuente", in quanto "una diversa interpretazione, in nessun modo correlata al tenore testuale del ricordato art. 38, comma 6, ult.cit., determinerebbe in definitiva, una sorta di trasfigurazione del presupposto impositivo, non più correlato all'esistenza di un reddito ma, piuttosto, all'esistenza di una spesa realizzata da redditi imponibili ordinar e congrui o da redditi esenti o da redditi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d'imposta".

Con recente pronuncia (Cass. 8995/2014), questa Corte ha ulteriormente chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38: "A norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l'accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che "l'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione".

La norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità ditali eventuali ulteriori redditi e della "durata" del relativo possesso, previsione che ha l'indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell'accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l'esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la "durata" del possesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice "transito" nella disponibilità del contribuente" (nella specie dalla sentenza impugnata risultava accertato che il contribuente aveva fornito la prova dell'esistenza e dell'ammontare della disponibilità, nel periodo in contestazione, di redditi risultanti da disinvestimenti azionari, ma non risultava accertato che avesse altresì fornito idonea prova, tantomeno documentale, della "durata" del possesso dei suddetti redditi esenti, prova necessaria a consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi; perciò la Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito favorevole al contribuente).

Ora i giudici d'appello hanno motivato, in conformità a detti principi, la decisione, rilevando che il N. aveva dato prova del "possesso" e della "durata" del possesso di redditi esenti, utili a giustificare le spese per incrementi patrimoniali o il tenore di vita accertato, nell'anno in contestazione (1999). Il secondo motivo è, in parte, inammissibile, in quanto attiene ad un vizio della motivazione in diritto della sentenza impugnata (non avendo i giudici della CTR considerato che la prova gravante sul contribuente non si esauriva nella prova dell'esistenza e dell'ammontare dei redditi esenti), vizio da denunciarsi ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 potendo il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 riguardare soltanto l'accertamento in fatto, non le ragioni in diritto della sentenza. Lo stesso motivo è, in parte, infondato, in quanto il vizio di omessa od insufficiente motivazione implica un obiettivo difetto nello sviluppo logico della argomentazione posta a fondamento della decisione, difetto che - rilevando come "errore sul fatto" - trova genesi nella omessa od inesatta rilevazione e valutazione delle prove acquisite al giudizio, con inevitabili riflessi sulla esatta comprensione e ricostruzione della fattispecie concreta da sussumere nello schema normativo astratto dal quale viene desunta la "regula iuris" che disciplina il rapporto controverso, cosicchè la critica per vizio motivazionale non può risolversi nella mera contrapposizione alla valutazione compiuta dal Giudice di merito di una diversa prospettazione soggettiva della rilevanza probatoria delle risultanze istruttorie, essendo insindacabile l'attività volta alla individuazione delle fonti di prova rilevanti, alla selezione tra gli elementi probatori di quelli ritenuti maggiormente attendibili ed al riconoscimento della idoneità dimostrativa degli stessi.

Il terzo motivo è del pari infondato, avendo i giudici della Commissione Tributaria Regionale ritenuto illegittimo, per difetto dei presupposti di legge, l'intero atto impositivo. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna l'Agenzia delle Entrate ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, a titolo di compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta sezione civile, il 15 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2014


 

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