REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giacomo Travaglino - Presidente -
Dott. Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere -
Dott. Augusto Tatangelo - rel. Consigliere -
Dott. Antonella Pellecchia - Consigliere -
Dott. Fabrizio Di Marzio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 22966 del ruolo generale dell'anno 2013, proposto da:
ISTITUTO FIGLIE DI SAN CAMILLO - ENTE ECCLESIASTICO RICONOSCIUTO GESTORE DELL'OSPEDALE MADRE GIUSEPPINA VANNINI, in persona del legale rappresentante pro tempore Madre B.L. rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dall'avvocato Mauro Orlandi, e domiciliata presso lo studio dello stesso, in Roma, via L. Spallanzani n. 22;
- ricorrente -
nei confronti di:
P.F.;
B.R. ;
in proprio e quali esercenti la potestà sulla figlia P. V. (il padre anche quale amministratore di sostegno della stessa) rappresentati e difesi, giusta procura a margine del controricorso, dall'avvocato Gianmarco Cesari, e domiciliati presso lo studio dello stesso, in Roma, via Comano n. 95;
- controricorrenti -
T.A. rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall'avvocato Cesare Romano Carello, e domiciliato presso lo studio dello stesso, in Roma, via Silvio Pellico n. 24;
- controricorrente -
ZURICH INSURANCE PLC (Public Limited Company) - RAPPRESENTANZA GENERALE PER L'ITALIA (C.F.: (OMISSIS)), quale cessionaria del ramo di azienda e del portafoglio assicurativo della rappresentanza generale per l'Italia di Zurich Insurance Ltd, assicuratrice del dr. O.G.A., in persona del procuratore speciale Ga.Pi. (procura per notaio Angelo Busani di Milano in data 22 febbraio 2011, rep. 15986, racc. 8668) rappresentato e difeso, giusta procura a margine del controricorso, dall'avvocato Raoul Rudel, e domiciliato presso lo studio dello stesso, in Roma, via Giorgio Vasari n. 5;

- controricorrente -

ZURICH INSURANCE PLC (già ZURIGO ASSICURAZIONI S.A.), assicuratrice dell'Istituto Figlie di San Camillo - Ospedale Madre Giuseppina Vannini, in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla copia notificata del ricorso, dall'avvocato Andrea Parlatore, e domiciliato presso lo studio dello stesso, in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 13;
- controricorrente -
ALLIANZ S.p.A., già Riunione Adriatica di Sicurtà S.p.A., in persona dei procuratori C. C. e C.A. rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall'avvocato Giorgio Spadafora, e domiciliato presso lo studio dello stesso, in Roma, via Panama n. 88;
- controricorrente -
e G.P.;
O.G.A.;
- intimati -
per la cassazione della sentenza pronunziata dalla Corte di Appello di Roma n. 3634/2012, depositata in data 10 luglio 2012;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 15 febbraio 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo;
uditi:
l'avvocato Mauro Orlando, per l'istituto ricorrente;
l'avvocato Gianmarco Cesari, per i controricorrenti P. e Ba.;
l'avvocato Cesare Romano Carello, per il controricorrente T.;
gli avvocati Raoul Rudel e Andrea Parlatore, per la controricorrente Zurich Insurance PLC;
l'avvocato Antonio Manganiello, per delega dell'avvocato Giorgio Spadafora, per la controricorrente Allianz S.p.A.;
il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. Gianfranco Servello, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

P.F. e B.R., in proprio e quali legali rappresentanti della figlia P.V., agirono in giudizio nei confronti dell'Istituto Figlie di San Camillo, gestore dell'Ospedale Madre Giuseppina Vannini di Roma, deducendo la responsabilità del personale medico della struttura sanitaria per il mancato accertamento e l'omessa informazione delle gravi malformazioni della nascitura V. (poroencefalia), che aveva impedito l'esercizio del diritto della madre ad interrompere la gravidanza e causato sia alla nascitura che ai genitori gravi danni economici e sanitari.

L'istituto chiamò in causa, per essere manlevata dalle conseguenze di una eventuale condanna, le proprie assicuratrici Zurigo Assicurazioni S.A. e RAS S.p.A., nonchè i sanitari che avevano redatto i referti ecografici T.A., G.P. e O.G.A.
Quest'ultimo a sua volta chiamò in causa, per esserne garantito, la propria assicuratrice Zurigo Assicurazioni S.A.
La domanda fu parzialmente accolta dal Tribunale di Roma, il quale condannò l'istituto convenuto al pagamento dell'importo di Euro 40.000,00 in favore dei soli P.F. e B.R., a titolo di danno morale, dichiarando inammissibili le domande proposte dallo stesso istituto convenuto nei confronti dei chiamati in causa.

La Corte di Appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, e per quanto ancora rileva, ha condannato l'istituto al pagamento della somma di Euro 722.256,39 in favore della B. e della somma di Euro 708.176,63 in favore del P.

Ricorre l'Istituto Figlie di San Camillo, sulla base di sette motivi.
Resistono con distinti controricorsi i coniugi P. e B. (in proprio e nella qualità di legali rappresentanti della figlia V.), il T., la Zurich Insurance PLC (che ha depositato due distinti controricorsi, sottoscritti da due diversi legali, in relazione rispettivamente alla propria posizione di assicuratrice della struttura sanitaria e del dr. O.) e l'Allianz (già RAS) S.p.A..

Hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c. l'istituto ricorrente, i controricorrenti P. e Ba., T. e Zurich Insurance Plc. Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.

Motivazione

1.- Preliminarmente, si osserva che non è regolare il controricorso di Zurich Insurance PLC (già Zurigo Assicurazioni S.A.), quale assicuratrice dell'Istituto Figlie di San Camillo - Ospedale Madre Giuseppina Vannini, sottoscritto dall'avvocato Andrea Parlatore, in quanto la procura in favore di quest'ultimo risulta redatta in calce alla copia notificata del ricorso, in quanto "nel giudizio di legittimità, la procura rilasciata dal controricorrente in calce o a margine della copia notificata del ricorso, anzichè in calce al controricorso medesimo, non è idonea per la valida proposizione di quest'ultimo, nè per la formulazione di memorie, in quanto non dimostra l'avvenuto conferimento del mandato anteriormente o contemporaneamente alla notificazione dell'atto di resistenza, ma è idonea ai soli fini della costituzione in giudizio del controricorrente e della partecipazione del difensore alla discussione orale, non potendo a tali fini configurarsi incertezza circa l'anteriorità del conferimento del mandato stesso" (Sez. U, Sentenza n. 13431 del 13 giugno 2014). Dunque non può tenersi del suddetto controricorso e della memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

2.- Con il primo motivo del ricorso si denunzia "Omesso accertamento della concreta volontà di ricorrere all'aborto terapeutico.Violazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ. (art. 360 c.p.c., n. 5)".

Il motivo è infondato.
La corte di appello ha ritenuto sussistente la prova presuntiva che la gestante avrebbe fatto ricorso all'aborto terapeutico se avesse tempestivamente conosciuto le malformazioni della nascitura, considerando la gravità di tali malformazioni ed il suo ricorso a continui controlli ecografici, evidentemente volti anche alla conoscenza di eventuali anomalie nello sviluppo del feto.

Si tratta di motivazione adeguata e perfettamente in linea con il recentissimo arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui "in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l'onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà di interrompere la gravidanza - ricorrendone le condizioni di legge - ove fosse stata tempestivamente informata dell'anomalia fetale; quest'onere può essere assolto tramite "praesumptio hominis", in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all'opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all'aborto per qualsivoglia ragione personale" (Cass., Sez. U, Sentenza n. 25767 del 22 dicembre 2015).

3.- Con il secondo motivo del ricorso si denunzia "violazione dell'art. 345 cod. proc. civ. circa il divieto di ius novorum. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3)".

Il motivo è infondato.

Secondo l'istituto ricorrente gli attori, dopo aver sostenuto in primo grado che l'inadempimento del personale sanitario sarebbe consistito in un errore di lettura e interpretazione degli esami ecografici, nel giudizio di appello avrebbero sostenuto invece che l'errore avrebbe riguardato la stessa esecuzione di tali esami (e tale assunto sarebbe stato poi accolto in sede di gravame). Ciò costituirebbe non consentito mutamento della domanda.
Correttamente i controricorrenti fanno rilevare, in contrario, che l'esame ecografico, per la sua stessa natura, non consente di scindere nettamente la fase dell'esecuzione, e cioè dell'acquisizione delle immagini, da quella della loro interpretazione, dal momento che è lo stesso medico ecografista che muove ed angola la sonda che genera le immagini sul monitor, in modo da evidenziare le zone di interesse ai fini della valutazione del corretto sviluppo del feto. L'esecuzione e l'interpretazione dell'esame strumentale costituiscono in sostanza operazione unitaria e sincronica, che non consente la distinzione operata dall'istituto ricorrente.
D'altra parte, il tenore letterale e la complessiva prospettazione dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado (parzialmente trascritto nello stesso ricorso) non giustificano - ad attento esame - la riduttiva lettura da cui muove il motivo in esame, essendo in esso chiaramente contenuto il riferimento alla possibilità di evidenziare, già alla 23^ settimana, la presenza di malformazioni del feto, e denunziandosi in definitiva, quale fatto costitutivo della pretesa azionata, l'omessa diagnosi delle suddette malformazioni per l'inesatto adempimento della prestazione professionale avente ad oggetto il relativo esame ecografico.
Rispetto a tale prospettazione non è ravvisabile alcun sostanziale mutamento in sede di esposizione dei motivi di gravame (motivi peraltro non trascritti nel ricorso ed indicati in esso solo genericamente), come accolti dalla pronunzia impugnata.

4.- Con il terzo motivo del ricorso si denunzia "Omesso accertamento dei processi patologici che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Violazione e falsa applicazione della L. 22 maggio 1978, n. 194, art. 6, lett. b) e dell'art. 2697 c.c.".

Il motivo è infondato.
Nella pronunzia impugnata è espressamente affrontata e decisa, con adeguata motivazione, la questione della sussistenza del presupposto del grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, richiesto per l'interruzione della gravidanza dopo il novantesimo giorno dalla L. 22 maggio 1978, n. 194, art. 6, lett. b).
La corte, premesso che per giustificare l'interruzione della gravidanza non è sufficiente un generico danno biologico, essendo necessaria una grave patologia per la salute fisica o psichica della gestante, da accertarsi in termini di alta probabilità, ha ritenuto nel caso di specie presuntivamente integrato il presupposto in esame - in base ad un giudizio di prognosi postuma - considerando la natura delle malformazioni non diagnosticate e la circostanza che una grave patologia risulta effettivamente insorta a danno dell'attrice, a seguito della nascita del figlio con tali malformazioni.
Si tratta di motivazione esaustiva e immune da vizi logici, come tale certamente non censurabile in sede di legittimità, del tutto conforma ai principi di diritto desumibili dalle disposizioni cui parte ricorrente assume la violazione.

5.- Con il quarto motivo del ricorso si denunzia "Violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c.. Omessa pronuncia su un fatto decisivo, eccepito in sede di appello (art. 360 c.p.c., n. 3)".

Con il quinto motivo del ricorso si denunzia "Violazione e falsa applicazione della L. n. 194 del 1978, artt. 6 e 7 e art. 2697 cod. civ. e art. 54 cod. pen. (art. 360 c.p.c., comma 3)".

Con il sesto motivo del ricorso si denunzia "Violazione e falsa applicazione dell'art. 1223 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)".

Tali motivi possono essere esaminati congiuntamente, dal momento che essi costituiscono una censura sostanzialmente unitaria, avente ad oggetto la questione della sussistenza del presupposto negativo della possibile vita autonoma del feto, necessario per esercitare il diritto di interrompere la gravidanza dopo il novantesimo giorno in presenza di grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna ma in mancanza di grave pericolo di vita (nella specie pacificamente escluso), nonchè al relativo onere probatorio.

Essi sono infondati, anche se sul punto si impone una integrazione della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., u.c.
La corte di appello ha ritenuto abbandonata la questione della sussistenza della possibilità di vita extrauterina del feto al momento in cui sarebbe stato possibile diagnosticare le malformazioni del feto e conseguentemente esercitare il diritto di interrompere la gravidanza, in quanto non riproposta con l'appello incidentale, e comunque che fosse onere dell'istituto convenuto provare tale possibilità.
L'istituto ricorrente sostiene di avere riproposto la questione in sede di appello. Assume in ogni caso che, spettando al danneggiato dimostrare il danno, ai sensi dell'art. 1223 c.c., erano gli attori a dover provare che non sussisteva possibile vita autonoma del feto, presupposto necessario per avvalersi del diritto di interruzione della gravidanza pur in mancanza di pericolo di vita, come previsto della L. n. 194 del 1978, artt. 6 e 7.

Orbene, effettivamente non possono condividersi le considerazioni della corte di appello in ordine all'abbandono della questione da parte dell'istituto ricorrente, in quanto non riproposta a mezzo di appello incidentale. Essendo l'istituto risultato vittorioso sul punto, era al più da ritenersi necessaria la sua semplice riproposizione ai sensi dell'art. 346 c.p.c., come di fatto risulta avvenuto con la comparsa di costituzione in secondo grado.

Per quanto poi attiene alla distribuzione dell'onere della prova in relazione al presupposto in esame, non può che ribadirsi, in conformità a quanto affermato dalla già richiamata Cass., Sez. U, Sentenza n. 25767 del 22 dicembre 2015, in linea generale, che i presupposti per la legittima interruzione della gravidanza in presenza di gravi malformazioni del nascituro, rientrando tra quelli che integrano il diritto il cui esercizio si assume impedito dalla condotta colposa dei sanitari, vanno provati dalla gestante.

Ciò, peraltro, come precisato dalla stesse Sezioni Unite, può certamente avvenire a mezzo di presunzioni e, di conseguenza, anche sulla base di nozioni di comune esperienza, ai sensi dell'art. 115 c.p.c..

Orbene, nella specie la corte di merito ha insindacabilmente accertato, in fatto, che le malformazioni della nascitura avrebbero potuto essere diagnosticate attraverso l'ecografia effettuata alla 23^ settimana, e a tale stadio della gravidanza (al 10 marzo 1992 erano passati esattamente cinque mesi dal concepimento, che risulta individuato al 10 ottobre 1991) è fatto notorio che l'aborto terapeutico per l'ipotesi di gravi malformazioni del feto che potessero provocare grave pericolo per la salute psichica della gestante (pur in mancanza di pericolo di vita), e quindi ai sensi della L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b), veniva comunemente praticato all'epoca dei fatti, non ritenendosi sussistere alcuna concreta possibilità di vita extrauterina del feto.
In tal caso, poi, la sopravvivenza del feto dopo l'aborto non è comunque possibile, in quanto la L. n. 194 del 1978, art. 7, u.c. impone al medico che esegue l'intervento di adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto solo nella diversa ipotesi di aborto praticato ai sensi della lett. a) dell'art. 6.
La decisione della corte di appello sul punto merita perciò conferma, sia pure con le correzioni di cui sopra.

6.- Con il settimo motivo del ricorso si denunzia "Violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e art. 2236 cod. civ. (art. 360 c.p.c., n. 3)".

Anche questo motivo è infondato.
L'istituto ricorrente deduce che nè il giudice di primo grado nè la corte di appello si sarebbero pronunziati sull'eccezione proposta per cui la prestazione richiesta agli ecografisti implicasse problemi di speciale difficoltà.
Ma deve rilevarsi che la corte di appello, all'esito di puntuale disamina delle consulenze mediche di ufficio e di parte, ha ritenuto sussistere negligenza, e quindi colpa dei sanitari che effettuarono l'esame ecografico del marzo 1992, sulla base della circostanza che essi attestarono positivamente il normale sviluppo del feto pur in mancanza del necessario studio morfologico e sulla base di immagini ecografiche del tutto inidonee ad escludere anomalie del sistema nervoso centrale.

E' evidente che la natura stessa di siffatto inadempimento esclude implicitamente, ma chiaramente, la possibilità di ritenere sussistenti problemi di speciale difficoltà nella prestazione rimasta ineseguita. Con riguardo agli esami ecografici della 30^ e della 37^ settimana, d'altronde, l'assoluta evidenza della rilevabilità delle malformazioni, in base alle immagini acquisite, attestata da tutti i consulenti tecnici, sia di parte che di ufficio, ha del pari impedito di ritenere sussistenti i presupposti per l'esonero dei sanitari che li effettuarono dalla responsabilità per colpa lieve.

7.- Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo, nei rapporti tra l'istituto ricorrente e i controricorrenti P. e B.
In considerazione dei motivi della decisione e della circostanza che non risulta impugnata la pronunzia relativa ai rapporti tra l'istituto ricorrente, i sanitari operanti e le compagnie assicuratrici chiamate in causa, si ritengono sussistere ragioni sufficienti per la compensazione delle spese nei rapporti tra l'istituto ricorrente e gli altri controricorrenti.
Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dall'art. 1, comma 17, della citata L. n. 228 del 2012.

PQM

La Corte:
- rigetta il ricorso;
- condanna l'istituto ricorrente a pagare le spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti P. e B., in solido, liquidandole in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge;
- dichiara integralmente compensate le spese del presente giudizio nei rapporti tra l'istituto ricorrente e gli altri controricorrenti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'istituto ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2016


 

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