REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CICALA Mario - rel. Presidente -
Dott. IACOBELLIS Marcello - Consigliere -
Dott. CARACCIOLO Giuseppe - Consigliere -
Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere -
Dott. CONTI Roberto Giovanni - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 25023/2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
- ricorrente -
contro
M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE ZANARDELLI 36, presso lo studio dell'avvocato PUCCIONI PAOLO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 119/39/2012 della Commissione Tributaria Regionale di ROMA - Sezione Staccata di LATINA del 15.2.2012, depositata il 14/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2014 dal Presidente Relatore Dott. MARIO CICALA.

Motivazione

La Agenzia ricorre per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio - Latina 115/35/12 del 14 marzo 2012, che accoglieva l'appello del Dott. M.G. indicato come coobbligato in solido, prima quale amministratore giudiziale e poi come curatore fallimentare della Marenostro srl società unipersonale.
2. il Dott. M.G. si è costituito in giudizio.

3. Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso.
Si deve preliminarmente sottolineare la non pertinenza alla presente controversia della sentenza invocata dalla Agenzia Cass. 11 agosto 1993, n. 8549, secondo cui il curatore fallimentare è soggetto delle sanzioni previste dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 46 e 56, in caso di omessa, infedele o incompleta dichiarazione la cui presentazione incomba a lui personalmente, a norma dell'art. 10 dello stesso D.P.R. Ciò in quanto dalla esposizione contenuta nella sentenza qui impugnata risulta che cartella di pagamento ha affermato la responsabilità solidale del Dott. M. per l'omesso versamento di imposte e non già per aver presentato dichiarazioni erronee o per averle omesse.

Ci si deve dunque domandare in quali casi ed entro quali limiti il curatore (o l'amministratore giudiziale) possano essere considerati responsabili dell'omesso versamento di imposte e quindi tenuti, in proprio, al versamento ove queste pretese non vengano soddisfatte dall'attivo fallimentare.
Ed in particolare se siile onere gravi sul Dott. M.
La risposta della CTR è negativa. In primo luogo (punto a), per una considerazione specifica attinente alla presente controversia, cioè a cagione del difetto di motivazione della cartella.
Questa constatazione non è però di per se sola risolutiva: se il curatore fosse in ogni caso e sempre solidalmente tenuto per i debiti tributari della società fallita, maturati nel periodo di gestione dell'impresa ad opera del curatore, basterebbe il richiamo a questa sua qualità per motivare l'atto impositivo.
In via subordinata, la CTR sostiene (punto b) il difetto del presupposto di legge; "atteso che ogni contestazione rivolta all'amministratore giudiziario ovvero al curatore fallimentare avrebbe dovuto comunque essere diretta agli organi previsti dalle speciali norme (Tribunale Penale o fallimentare); ed ancora (punto e) il travisamento dei fatti; dal momento che tutta la attività svolta dal ricorrente quale curatore è stata (o dovrebbe essere stata) soggetta ad un costante controllo da parte delle autorità giudiziarie competenti (Giudici delegati di entrambe le procedure, penale e fallimentare, ma anche la Procura della Repubblica di Latina e il Comitato dei Creditori), tant'è che egli ha potuto affermare di aver sempre regolarmente adempiuto a tutti gli obblighi e alle scadenze previste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74 bis, e D.P.R. n. 332 del 1998, art. 8, comma 4".

Queste asserzioni debbono essere corrette ed integrate ai sensi dell'art. 384 c.p.c., fermo restando il dispositivo.
Ritiene il relatore che possa essere qui invocato, così come afferma il controricorrente, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36, secondo cui i liquidatori dei soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all'obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari. Tale responsabilità è commisurata all'importo dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. La disposizione contenuta nel precedente comma si applica agli amministratori in carica all'atto dello scioglimento della società o dell'ente se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori.
Si tratta di una disposizione specifica che però enuncia ed esprime un principio generale: ciascuno risponde di un evento nella misura in cui ha concorso a cagionarlo. E presupposto essenziale perchè si possa parlare di un concorso a determinare il mancato pagamento di un'imposta è che tale mancato pagamento sia effetto di un comportamento contra legem del curatore e non della mera incapienza dell'attivo. Quest'esigenza assume un particolare rilievo nel caso in esame, in quanto il curatore e l'amministratore giudiziale gestiscono si un patrimonio altrui, ma in adempimento di una funzione pubblica inderogabile.
Solo ove un depauperamento dell'erario vi sia e sia dovuto ad un utilizzo contra legem del patrimonio fallimentare si potrà poi porre il problema se la ipotizzata responsabilità del curatore, venga meno a causa dei controllo che le autorità giudiziarie competenti venga esercitano sulla condotta del curatore.
Occorre quindi, in primo luogo che nell'atto impositivo siano enunciate le circostanze che determinano il cattivo utilizzo dell'attivo fallimentare (quali il "soddisfacimento di crediti di ordine inferiore a quelli tributari"); e tali circostanze siano provate nel giudizio. Si vedano in proposito l'ordinanza n. 179 dell'8 gennaio 2014 e la sentenza n. 10508 del 23 aprile 2008.
Nel caso di specie, è certo che la cartella non conteneva alcuna enunciazione o motivazione in proposito, e dunque il ricorso deve essere, secondo il relatore, rigettato affermando il principio secondo cui ove la Amministrazione ritenga di affermare una responsabilità solidale del curatore fallimentare per i debiti tributari del fallimento (maturati o meno nel corso della procedura fallimentare) deve indicare nell'atto di addebito le ragioni che determinano tale responsabilità che deve nascere da un cattivo utilizzo dell'attivo fallimentare (ad esempio a seguito del pagamento di crediti di ordine inferiore a quelli tributari); ponendo il curatore in condizione di esercitare le sue difese anche adducendo - se del caso - l'intervento determinante degli organi di controllo della procedura.

Ciò in quanto, come è stato di recente affermato da questa Corte (sentenza n. 21564 del 20 settembre 2013): la visione secondo cui l'atto impositivo, avendo carattere di provocatio ad opponendum, e sufficiente offra elementi perchè il contribuente possa svolgere efficacemente le proprie difese, è riduttiva del vero ruolo della motivazione, che potrebbe legittimare un possibile, ma inammissibile, giudizio ex post della sufficienza della motivazione argomentata dalla difesa comunque svolta in concreto dal contribuente piuttosto che un giudizio ex ante argomentata sulla rispondenza degli elementi enunciati nella motivazione a consentire ex se l'esercizio effettivo del diritto di difesa. In realtà, l'obbligo di motivazione dell'atto impositivo persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l'opportunità di esperire l'impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l'an e il quantum debeatur. Detti elementi conoscitivi devono essere forniti all'interessato, non solo tempestivamente (e cioè inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa.
Il Collegio ha condiviso la proposta del relatore sottolineando che l'atto di addebito rivolto al curatore deve assumere la veste di un avviso di accertamento e non di una mera cartella, in quanto la responsabilità del curatore nasce da addebiti che debbono essere specificamente enunciati.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 5.000,00 complessivi oltre ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile, il 10 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2014


 

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