REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Francesco - Presidente -
Dott. CARCANO Domenico - Consigliere -
Dott. MOGINI Stefano - rel. Consigliere -
Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere -
Dott. PATERNO' RADDUSA Benedetto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto dalla parte civile:
D.R.I.;
avverso la sentenza pronunciata il 30.7.2014 dal GUP del Tribunale di Lamezia Terme;
nei confronti di:
M.P.;
e C.D.;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del Consigliere Dr. Stefano Mogini;
udite le conclusioni del sostituto procuratore generale Dr. Baldi Fulvio, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito l'avv. Centro Pio per C.D., che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe il GUP del Tribunale di Lamezia Terme ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di M. P. e C.D. in ordine al delitto di cui all'art. 110 c.p. e art. 323 c.p., comma 1, loro contestato in rubrica.
I due sono imputati di avere, nelle loro rispettive qualità di direttore generale dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro e di medico del SUEM ____ della stessa Azienda, in concorso tra loro e con R.M. e S.E., rispettivamente direttore sanitario dell'ASP di Catanzaro e direttore dell'Unità Operativa di Pronto Soccorso dell'Ospedale Civile di _____, questi ultimi rinviati a giudizio per il medesimo reato, nello svolgimento delle loro funzioni, con condotte reiterate e in violazione del contratto collettivo nazionale di lavoro dell'area della dirigenza medica e veterinaria, arrecato un ingiusto danno a D.R.I., direttore della struttura semplice di SUEM 118 di Lamezia Terme, impedendo alla stessa di esercitare le prerogative afferenti al ruolo apicale conferitole, con conseguente ingiusto danno. Secondo l'ipotesi accusatoria, in particolare, il M., se pur venuto a conoscenza dalla dott.ssa D.R. delle condotte poste in essere dai coimputati ( S. valutava ingiustificatamente le prestazioni lavorative della dott.ssa D.R. nel 2007 col punteggio di 6,38/10 invece che con quello di 10/10 riconosciuto negli anni precedenti, e R. disponeva con ordine di servizio del 7.7.2008 che la dott.ssa D.R., in vigenza dell'incarico dirigenziale conferitole, effettuasse anche i turni di servizio presso l'U.O. di Pronto Soccorso del medesimo nosocomio, adducendo difficoltà operative di quel reparto, in realtà inesistenti, e con ordine di servizio del 25.7.2008 decretava con decorrenza immediata ed in via temporanea che la direzione della struttura semplice di SUEM 118 dell'ospedale di ____venisse assunta dal dott. S. senza alcuna fondata giustificazione di natura organizzativa e legale), ometteva volontariamente di adottare alcun provvedimento, approvando così l'illecito operato dei suoi subordinati. Il C. è invece accusato di aver omesso di consegnare alla dott.ssa D.R. tutto il materiale in suo possesso concernente il servizio di emergenza sanitaria territoriale, nonostante specifico ordine di servizio emanato in data 9.6.2008 dal Commissario Straordinario pro tempore dell'ASP di Catanzaro.

2. La parte civile D.R.I. ricorre per mezzo del suo difensore di fiducia avverso la sentenza in epigrafe deducendo violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla volontà del M. di ratificare l'operato dei suoi subordinati R. e S., denegata dal GUP al pari della consapevolezza del M. dell'intenzionalità, in capo agli stessi R. e S., di arrecare alla ricorrente un danno ingiusto come conseguenza di deliberazioni abusive. In realtà, secondo la ricorrente, la variegata serie di atti e comportamenti posti in essere dai coimputati rivelava di per sè un univoco e irriducibile animo prevaricatore in danno della figura professionale della dott.ssa D.R., e tale intento non poteva essere sfuggito al M., esperto manager sanitario titolare di una posizione di garanzia che gli imponeva di impedire l'evento e di garantire l'imparzialità e il buon andamento dell'azione amministrativa.
Quanto al C., la consegna alla dott.ssa D.R. di tutto il materiale concernente il Servizio Emergenza Sanitaria Territoriale di cui era stata nominata dirigente rappresentava un atto dovuto, sicchè il relativo inadempimento doveva considerarsi posto in essere in violazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 13, comma 3, e del generale obbligo, discendente dall'art. 97 Cost., di assicurare assidua e solerte collaborazione alla dirigente della struttura. Tale inadempimento andrebbe inoltre letto alla luce della cocente delusione sofferta dal C. per essersi visto privare, dopo un lungo periodo, della guida del Servizio e del suo timore di uno scrutinio esterno circa il lamentevole stato della struttura prodotto dalla sua precedente gestione. Manchevole e non condivisibile sarebbe infine il passaggio argomentativo della sentenza impugnata col quale il GUP esclude che l'omissione de qua, riferendosi ad atto interno suscettibile solo ed eventualmente di implicazioni disciplinari, possa essere sussunta, in ipotesi, nella fattispecie di cui all'art. 328 c.p..

3. C.D. ha depositato in data 17.6.2015 memoria difensiva con la quale assume che il ricorso appaia pretestuosamente preordinato a sottoporre al vaglio di legittimità questioni di puro merito al fine di sollecitare una diversa valutazione dei fatti sottoposti a giudizio e sostiene l'insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivo della fattispecie di cui all'art. 323 c.p. e la non configurabilità nel suo operato di un proprio contributo causale alla realizzazione della condotta criminosa contestata in concorso con gli altri imputati.

Motivazione

4. Il ricorso è infondato.
Il Collegio osserva che nel pronunciare la sentenza impugnata il giudice dell'udienza preliminare ha correttamente valutato, sotto il solo profilo processuale, che gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio, non potendo le fonti di prova prestarsi a soluzioni alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate.
Del tutto plausibile si rivela a tal proposito il percorso argomentativo che evidenzia la mancanza di prova circa la volontà del M. di ratificare l'operato dei suoi subordinati, dottori R. e S., e di contribuire in tal modo alla realizzazione delle loro finalità ostruzionistiche e vessatorie in danno della parte civile (p. 19 e s.). Al riguardo, non appaiono dotate di idonea capacità dimostrativa le circostanze che il M. rivestisse la posizione apicale di direttore generale dell'A.S.P. di Catanzaro e fosse stato investito dalla ricorrente delle vicende che la riguardavano. Nè la censura della ricorrente che evoca la particolare esperienza del M. e la "variegata serie" di atti e comportamenti posti in essere dai coimputati R. e S. per giustificare un'aperta e incondizionata adesione dell'imputato ai disegni di questi ultimi sembra andare oltre la mera, indimostrabile congettura.

Ad analogo risultato si perviene per quanto attiene la condotta concorsuale contestata al C., rispetto alla quale la sentenza impugnata evidenzia correttamente l'assenza di prova circa il pregiudizio illegittimo arrecato alla ricorrente e la finalizzazione della condotta a provocare alla stessa un danno ingiusto, tanto più che non risultano agli atti elementi dai quali desumere che la contestata omissione si inserisse scientemente, anche solo quale contributo morale di istigazione o rafforzamento del proposito, nel quadro delle condotte ascritte a S. e R.
Il ricorso evoca invero una motivazione del C. del tutto personale ed ipotetica (la cocente delusione per la nomina della ricorrente a capo del servizio da lui coordinato negli anni precedenti e il timore di uno scrutinio esterno sul suo precedente operato), senza nemmeno allegare un elemento di collegamento con le condotte, del tutto autonome, contestate ai coimputati ed alle finalità vessatorie da questi perseguite, pure ascritte allo stesso C. nella forma del concorso di persone nel reato.

Infine, il Collegio ricorda che, in tema di rifiuto di atti d'ufficio, la richiesta scritta di cui all'art. 328 c.p., comma 2, assume la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell'atto o l'esposizione delle ragioni che lo impediscono. Ne consegue che il reato si consuma quando, in presenza di tale presupposto, sia decorso il termine di trenta giorni senza che l'atto richiesto sia stato compiuto, o senza che il mancato compimento sia stato giustificato. (Sez. 6, Sentenza n. 2331 del 15/01/2014, Rv. 258257; nell'affermare il principio, è stato escluso il reato in presenza di mere richieste al Consiglio dell'ordine degli avvocati di revoca della sospensione cautelare dall'esercizio della professione forense, prive di formali diffide ad adempiere rivolte al pubblico ufficiale).

La sentenza impugnata evidenzia che all'ordine di servizio in data 9.6.2008 hanno fatto seguito solo le informali richieste della ricorrente. L'assenza di idonea diffida scritta rende, anche sotto questo profilo, non configurabile a carico del C. il delitto di cui all'art. 328 c.p..

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2015.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2015


 

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