REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo - Presidente -
Dott. GRILLO Renato - rel. Consigliere -
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere -
Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
O.G.;
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;
avverso l'ordinanza n. 63/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del 18/10/2010;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
sentite le conclusioni del PG Dott. BALDI F. rigetto;
udito il difensore avv. GAROFALO Massimo di Comiso.

Svolgimento del processo

1.1 Con ordinanza del 18 ottobre 2010, depositata il 2 febbraio 2013, la Corte di Appello di Catania, decidendo in sede di rinvio disposto da questa Corte Suprema con sentenza del 13 giugno 2010, con la quale era stata annullata l'ordinanza del 23 aprile 2009 che aveva rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell'interesse di O.G., ne accoglieva la domanda proposta per la ingiusta detenzione patita dal 26 luglio 2002 al 10 agosto 2002 in regime carcerario e dall'11 agosto 2002 al 14 novembre 2002 in regime di arresti domiciliari in ordine ai reati di tentata estorsione aggravata, lesioni personali aggravate; violenza privata e violenza o minaccia per commettere un reato, liquidando la complessiva somma di Euro 14.862,00.

1.2 Avverso la detta ordinanza ha proposto ricorso O. G. a mezzo del proprio difensore, deducendo, con un primo motivo, vizio di carenza di motivazione per essersi la Corte territoriale ancorata esclusivamente al criterio aritmetico per la liquidazione dell'indennizzo, omettendo di motivare sulla richiesta di liquidazione collegata ai danni patrimoniali patiti dall' O. a causa della lunga carcerazione e del clamore della vicenda giudiziaria che avevano determinato il tracollo della sua azienda di disbrigo pratiche funerarie fino alla cessazione dell'attività dopo la revoca della licenza. Nell'ambito del detto motivo il ricorrente si duole anche del fatto che la somma riconosciutagli dalla Corte di Appello non era stata calcolata al netto degli interessi e della rivalutazione ed, infine, che le spese processuali liquidate in complessivi Euro 1.300,00 oltre accessori di legge, non comprendevano le spese generali del 12,50% dovute per legge.

1.3 Ha presentato memoria il Ministero dell'Interno, insistendo per la conferma del provvedimento impugnato assolutamente coerente con le rigide prescrizioni normative in tema di liquidazione dell'indennizzo in parola.

Motivazione

1. Il ricorso è fondato.
Al fine di meglio comprendere la soluzione cui è pervenuta questa Corte Suprema, si ritiene utile riepilogare per sintesi il percorso motivazionale della Corte distrettuale.
A seguito della istanza depositata presso la Corte d'appello di Catania in data 28 novembre 2008, l'odierno ricorrente aveva chiesto un indennizzo che - in relazione al lungo periodo di carcerazione sofferto (circa cinque mesi di cui due in regime carcerario) ed allo strepitus fori - riteneva equo nella misura di Euro 516.456,90.
La Corte distrettuale aveva, sulle prime, rigettato la richiesta (ordinanza del 23 aprile 2009) rilevando una colpa da parte dell' O. nell'aver dato causa alla sua detenzione seppure rivelatasi ingiusta. Questa Corte Suprema con sentenza del 15 giugno 2010 annullava con rinvio la detta ordinanza, evidenziando l'incongruità della motivazione sul punto relativo al collegamento della colpa dell' O. con la sua detenzione. A seguito del detto annullamento, la Corte distrettuale con l'ordinanza oggi impugnata accoglieva parzialmente la richiesta del ricorrente di riconoscimento e quantificazione dell'indennizzo, liquidandolo in complessivi Euro 14.862,00 per l'ingiusta detenzione, e liquidando anche le spese processuali nella misura di Euro 1.300,00 comprensivi di IVA e CPA secondo la legislazione allora vigente. Nessuna specifica motivazione, se non un mero calcolo aritmetico in connessione con periodo di detenzione (inframuraria e non) veniva resa dalla Corte a giustificazione della somma liquidata.

2. Tanto premesso, ritiene il Collegio che il motivo di censura meriti accoglimento.
Infatti deve, nel caso in esame, ravvisarsi una vera e propria carenza di motivazione rispetto alle specifiche richieste avanzate con la istanza di liquidazione dell'indennizzo che indicava quale somma da corrispondere per tale causale quella massima ancorando tale richiesta a specifiche circostanze.

3. Ne deriva, quindi, che il mero riferimento da parte della Corte etnea al criterio aritmetico per la determinazione del quantum dell'indennizzo, non tiene adeguatamente conto delle conseguenze che il clamore mediatico conseguente alla notizia dell'arresto del ricorrente ebbe a determinare in termini di discredito. Nè è stato tenuto conto delle ricadute negative sull'attività imprenditoriale, attività che, a causa della detenzione, ma anche del tipo di reati oggetto del provvedimento restrittivo, subì una subitanea contrazione con revoca della licenza e conseguente chiusura della attività.

4. Ora in tema di riparazione per ingiusta detenzione il riferimento al criterio aritmetico -che certamente vale come regola di tipo oggettivo in vista di garantire un trattamento tendenzialmente uniforme, nei diversi contesti territoriali - non esonera il giudice dall'obbligo di valutare le specificità, positive o negative, di ciascun caso e, quindi, dall'integrare opportunamente tale criterio, innalzando, ovvero riducendo, il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione più equa possibile e rispondente alle diverse situazioni sottoposte al suo esame (v., da ultimo: Sez. 4, 17.6.2011 n. 34857, Giordano, Rv. 251429; Sez. 3 5.12.2013 n. 3912, D'Adamo, Rv. 258833).

5. Questa Corte ha in via generale ribadito il principio - certamente non osservato dalla Corte distrettuale - secondo il quale la riparazione per ingiusta detenzione costituisce uno strumento indennitario da atto lecito non avente natura risarcitoria, diretto, però, a compensare le ricadute sfavorevoli sia di ordine patrimoniale, sia di ordine non patrimoniale derivanti dalla restrizione della libertà individuale attraverso un sistema di chiusura con il quale l'ordinamento riconosce una forma di ristoro per la libertà ingiustificatamente compressa, correlando la quantificazione ad un criterio matematico, salvi gli aggiustamenti necessari in conseguenza dell'emergere di profili di pregiudizio più vasti ed esuberanti rispetto al fisiologico danno conseguente alla privazione della libertà (Sez. 4, 1.4.2014 n. 21077, Silletti).

6. Alla stregua di tali considerazioni l'impugnata ordinanza va annullata con rinvio alla Corte d'appello di Catania che si atterrà, nella determinazione del quantum risarcibile, all'evocato principio di diritto, procedendo adeguatamente all'integrazione della somma risultante dal criterio aritmetico, tenuto conto del danno patrimoniale conseguente alla forzosa cessazione dell'attività imprenditoriale e, ancora del pregiudizio morale derivante dalla diffusione della notizia dell'arresto del ricorrente sugli organi di stampa, stante l'immediata percepibilità della medesima.

7. Quanto alle spese viene demandata alla Corte di Appello anche la liquidazione di quelle relative al presente grado.

PQM

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Catania alla quale demanda anche la liquidazione delle spese di parte del presente grado.
Così deciso in Roma, il 8 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2014


 

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