REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto - Presidente -
Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere -
Dott. SESTINI Danilo - Consigliere -
Dott. STALLA Giacomo Maria - Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 3699/2012 proposto da:
M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE AVEZZANA 6, presso lo studio dell'avvocato PICCA DANTE, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
B.C. (OMISSIS);
- intimato -
Nonchè da:
B.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 146, presso lo studio dell'avvocato EZIO SPAZIANI TESTA, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato MARCO DE CRISTOFARO giusta procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- ricorrente incidentale -
e contro
M.M. (OMISSIS);
- intimato -
avverso la sentenza n. 2559/2010 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 30/12/2010, R.G.N. 1261/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2015 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l'Avvocato MARCO DE CRISTOFARO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo

1. Nel 2003 B.C. convenne dinanzi al Tribunale di Padova M.M., allegando di essere erede di L.G., e che quest'ultima aveva pagato sine titulo a M.M. la somma di L. 300.000.000, per mezzo d'un assegno bancario.
Chiedeva pertanto la condanna del convenuto alla restituzione di tale pagamento indebito, limitatamente alla propria quota ereditaria (pari al 50%).
2. M.M. si costituì e negò che il pagamento ricevuto da L.G. fosse sine titulo. Spiegò che quella somma era dovuta, a titolo di prezzo per la vendita di arredi, da L. G. alla propria madre, e venne pagata con un assegno che, per volontà della creditrice, venne tratto dalla debitrice L. G. all'ordine di M.M..
2. Il Tribunale di Padova con sentenza 6.4.2007 n. 881 rigettò la domanda.
La sentenza venne appellata da B.C..
La Corte d'appello di Venezia con sentenza 30.12.2010 n. 2559 accolse il gravame.
A fondamento della propria decisione la Corte d'appello articolò il seguente ragionamento:
- l'attore ha allegato che il pagamento a M.M. fu nella sostanza una donazione, nulla per mancanza di forma;
- essendo pacifico che mancasse un atto scritto, spettava al convenuto dimostrare una valida causa solvendi, diversa dalla donazione;
- il convenuto non aveva assolto quest'onere, sicchè la domanda di indebito andava accolta.
3. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da M.M. sulla base di due motivi.
Ha resistito B.C. con controricorso e proposto ricorso incidentale, illustrato da memoria.

Motivazione

1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c. , n. 5.
Lamenta che la Corte d'appello avrebbe posto a base della propria decisione un assunto erroneo: e cioè che l'attore, nel chiedere la restituzione delle somme pagate da L.G. a M. M., abbia allegato di ignorare la causa del pagamento.
Su questa erronea considerazione in fatto, prosegue il ricorrente, la Corte d'appello avrebbe fondato l'affermazione in ture secondo cui l'attore nel giudizio di indebito, quando ignora la causa del pagamento, ha il solo onere di allegare un ipotetico titolo giustificativo e dimostrarne l'inidoneità (ad esempio, allegare una donazione e provarne la mancanza di forma scritta).
1.2. Il motivo è infondato, perchè non coglie la reale ratio decidendi.
La Corte d'appello infatti ha fondato la propria decisione sull'assunto che gli attori avessero invocato in giudizio "la nullità di un eventuale atto di liberalità" compiuto dalla propria dante causa nei confronti di M.M. (pag. 7, 2 capoverso, della sentenza impugnata).
La proposizione "ignorandone verosimilmente la causa reale" (scilicet, del pagamento) è una mera incidentale, priva di qualsiasi peso nella logica della decisione.
Non sussiste, dunque, alcun vizio di motivazione perchè non vi è stata alcuna falsa percezione dei fatti e delle deduzioni in diritto prospettate dall'attore.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c. , n. 3, (si assumono violati gli artt. 2033 e 2697 c.c. ); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c. , n. 5.
Nella illustrazione del motivo il ricorrente sviluppa la seguente tesi.
Secondo il precedente di legittimità invocato dalla Corte d'appello (Cass. 1170/99), se colui che chiede la ripetizione dell'indebito ignora la causa della dazione, può limitarsi ad indicarne una: se prova che quella causa non ricorre, spetta al convenuto dimostrare quale fosse la vera causa del pagamento.
Nel caso di specie, tuttavia, mancava in primo luogo il presupposto per l'operatività di quella regola: e cioè che l'attore ignorasse la causa del pagamento. L'erede del solvens infatti aveva allegato che il pagamento avvenne a titolo di mutuo o di donazione (sostenendo che fossero invalidi tutti e due i suddetti contratti).
Inoltre - prosegue il ricorrente - il principio affermato da Cass. 1170/99 era isolato e non condivisibile, perchè secondo l'orientamento prevalente di questa Corte chi promuove una azione di indebito ha l'onere di provare l'assenza di una iuxta causa obligationis a sostegno dell'avvenuto pagamento.
Di conseguenza - conclude M.M. - chi chiede la ripetizione dell'indebito deve provare: (a) l'esistenza d'un titolo giuridico astrattamente idoneo a giustificare il pagamento; (b) la sua invalidità.
Nel caso di specie B.C. non aveva fornito tale dimostrazione, e dunque erroneamente la Corte d'appello aveva accolto la sua domanda.
2.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione il motivo è inammissibile, perchè l'intera censura prospetta un tipico error in iudicando.
2.3. Nella parte in cui prospetta una violazione degli artt. 2033 e 2697 c.c. , il motivo è infondato.
L'azione di indebito è accordata al solvens sia quando abbia effettuato un pagamento sulla base di un titolo invalido ab initio o divenuto invalido in seguito; sia quando abbia effettuato un pagamento senza alcun titolo, come nel caso di indebito oggettivo.
Chi chiede la ripetizione dell'indebito dunque, a fondamento della propria domanda può prospettare sia l'invalidità, sia l'inesistenza d'una iuxta causa obligationis.
Se nella prospettazione attorea si assuma che il pagamento dell'indebito sia avvenuto in assenza totale di qualsiasi titolo giustificativo, l'attore non avrà alcun onere di allegare e provare che un titolo di pagamento formalmente esista, ma sia invalido. In questo caso il solo onere dell'attore è allegare l'inesistenza d'un giusto titolo dell'obbligazione. Sarà poi il convenuto, in ossequio al principio c.d. di vicinanza della prova, a dover dimostrare che il pagamento era sorretto da una giusta causa.
L'unico limite che l'attore incontra nella prospettazione dei fatti posti a fondamento della domanda di indebito è il restare silente sull'esistenza o sull'inesistenza del titolo del pagamento.
Se, infatti, l'attore nel giudizio di indebito dichiarasse addirittura di ignorare se il pagamento di cui chiede la restituzione sia sorretto da un titolo, la citazione andrebbe dichiarata nulla ex art. 164 c.p.c. , a causa della mancata esposizione della causa petendi.
2.4. Nel caso di specie, secondo la stessa prospettazione dei ricorrente (cfr. il ricorso, p. 9), B.C. aveva dedotto con l'atto di citazione che il pagamento da L.G. a M.M. era avvenuto o a titolo di mutuo, o a titolo di donazione: nel primo caso andava dunque restituito per obbligo contrattuale, nel secondo caso per nullità della donazione stipulata in forma orale.
Tale prospettazione in fatto imponeva al convenuto:
-) o di provare l'avvenuto adempimento del contratto di mutuo, secondo la regola di riparto dell'onere probatorio dettata dall'art. 1218 c.c. ;
-) o di provare che la donazione era stata stipulata per atto pubblico;
-) ovvero di provare che la somma di 300 milioni di lire gli era stata pagata per altro e valido titolo giustificativo.
Non avendo M.M. fornito nessuna di tali prove, correttamente la Corte d'appello ha accolto la domanda attorea.
2.5. La conclusione appena esposta è stata più volte affermata da questa Corte.
Ha già stabilito Sez. 3, Sentenza n. 1734 del 25/01/2011, Rv.616329, che una volta proposta una domanda di ripetizione di indebito, l'attore ha l'onere di provare l'inesistenza di una giusta causa delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore del convenuto, ma solo con riferimento ai rapporti specifici tra essi intercorsi e dedotti in giudizio, costituendo una prova diabolica esigere dall'attore la dimostrazione dell'inesistenza di ogni e qualsivoglia causa di dazione tra solvens e accipiens (nello stesso senso Sez. 3, Sentenza n. 15667 del 15/07/2011, Rv. 619229).
E già in precedenza, nello stesso ordine di idee, Sez. L, Sentenza n. 6138 del 20/03/2006, Rv. 588046, aveva stabilito che, nei giudizio di indebito, è colui il quale ne nega l'esistenza a dovere provare la sussistenza dei presupposti che rendono giustificato il pagamento di cui si chiede la restituzione.
2.6. V'è solo da aggiungere che il precedente di questa Corte costituito da Sez. 3, Sentenza n. 1170 del 11/02/1999, Rv. 523147, invocato dalla Corte d'appello, non è affatto in contrasto con gli altri precedenti appena indicati.
Tale sentenza, infatti, ha solo precisato che l'onere della prova gravante sull'attore nel giudizio di indebito va assolto in relazione al thema decidendum, cioè al tipo di vizio che renderebbe il pagamento sine causa.
Ciò vuoi dire che se l'attore assume che il pagamento di cui chiede la restituzione venne eseguito in base ad un titolo nullo, egli deve provare tale nullità.
Quando, invece, l'attore assuma che il pagamento di cui chiede la restituzione venne eseguito sine titulo, egli non dovrà far altro che allegare tale inesistenza del titolo, e sarà onere del convenuto provare, al contrario, l'esistenza d'una iuxta causa obligationis.
Non è, dunque, corretta la lettura che il ricorrente da del precedente in esame (Cass. 1170/99, cit.), ovvero che secondo tale decisione l'attore nel giudizio di indebito possa dichiarare di "ignorare" il titolo giustificativo del pagamento.
Il verbo "ignorare" infatti, nella motivazione di quella sentenza, venne usato per indicare l'ipotesi in cui l'attore formuli due domande alternative o subordinate, ignorando quale sia quella fondata: infatti in quel giudizio, proprio come nel presente, l'attore aveva prospettato in via principale una donazione nulla per difetto di forma, ed in subordine un pagamento sine causa.
Dunque Cass. 1170/99 non ha affatto affermato quel che il ricorrente intende farle dire, e cioè che si possa introdurre un giudizio di ripetizione di indebito nella veste di attore, senza dichiarare ore rotundo se li pagamento sia avvenuto sine titulo, ovvero in esecuzione d'un titolo invalido o venuto meno.
2.7. Il ricorso va dunque rigettato in applicazione del seguente principio di diritto:
Nel giudizio di indebito oggettivo l'attore può invocare sia l'invalidità, sia l'inesistenza d'un titolo giustificativo del pagamento. Nel primo caso, ha l'onere di provare che il titolo del pagamento sia invalido; nel secondo caso ha il solo onere di allegare (ma non di provare, essendo impossibile) l'inesistenza di qualsiasi titolo giustificativo del pagamento, e sarà onere del convenuto dimostrare che il pagamento era sorretto da una giusta causa.
Nell'uno come nell'altro caso, tuttavia, deve escludersi che l'attore possa limitarsi a dichiarare di ignorare se il pagamento abbia o non abbia un titolo giustificativo, giacchè in tale ipotesi l'atto di citazione sarebbe nullo per mancanza della causa petendi.
3. Il ricorso incidentale.
3.1. Con l'unico motivo del ricorso incidentale B.C. lamenta il vizio della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha compensato integralmente le spese del doppio grado di giudizio.
3.2. Il motivo è inammissibile.
E' infatti pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che nel sistema di regolamento delle spese processuali previgente alla sostituzione dell'art. 92 c.p.c. , comma 2, ad opera della L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, (applicabile ai procedimenti iniziati dopo il 1^ marzo 2006, mentre il presente giudizio è iniziato nel 2003), che la scelta di compensare le spese è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell'ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall'art. 91 c.p.c. , le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa. La valutazione dell'opportunità della compensazione totale o parziale rientra, invece, nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella (ricorrente nella fattispecie) della sussistenza di giusti motivi, e il giudice può compensare le spese processuali per giusti motivi senza obbligo di specificarli, atteso che l'esistenza di ragioni che giustifichino la compensazione va posta in relazione e deve essere integrata con la motivazione della sentenza e con tutte le vicende processuali, stante l'inscindibile connessione tra lo svolgimento della causa e la pronuncia sulle spese medesime, non trovando perciò applicazione in tema di compensazione per giusti motivi il principio sancito dall'art. 111 Cost. , comma 6, (così, ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 24495 del 17/11/2006, Rv.595203).
4. Le spese.
La soccombenza reciproca costituisce giusto motivo per la compensazione per metà delle spese del presente grado di giudizio.

PQM

la Corte di cassazione, visto l'art. 380 c.p.c. :
- rigetta il ricorso;
- condanna M.M. alla rifusione in favore di B. C. delle metà delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano (al netto della suddetta riduzione) nella somma di Euro 4.500, di cui 800 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55 , ex art. 2, comma 2.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 4 giugno 2015.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2015


 

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