Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato Me.Cl. conveniva in giudizio, dinanzi a questo Tribunale, Pe.Do. e la Mi. S.p.A., quest'ultima in persona del legale rappresentante, per sentirli condannare, in solido fra loro, al risarcimento dei danni subiti a seguito di un incidente stradale verificatosi in Roma, in data 9/2/2004, alle ore 8,30 circa, quando, giusta prospettazione attorea, il motociclo (omissis) targato (omissis) condotto dall'istante e di proprietà del medesimo, mentre percorreva la Via (omissis) in direzione di Roma centro, giunto all'altezza dell'incrocio con la Via (omissis), veniva urtato dall'autovettura (omissis) tg. (omissis), condotta dal proprietario Pe.Do., "il quale, proveniente da Via (omissis) si immetteva sulla Via (omissis) senza concedere la dovuta precedenza al mezzo dell'attore", provocandone la caduta a terra, con conseguenti lesioni personali e postumi permanenti al conducente Me.Cl., odierno attore. Soggiungeva che la Mi. S.p.A. (assicuratrice per la r.c.a. della circolazione della predetta autovettura (omissis)) - cui l'attore aveva avanzato richiesta risarcitoria in via stragiudiziale con lettera raccomandata con a.r. del 2/3/2004, ricevuta l'8/3/2004 - offriva, con missiva del 14/8/2004, a mezzo di assegno bancario, a tacitazione del danno materiale riportato dal motoveicolo coinvolto nel sinistro, la somma di Euro 1.100,00, che l'attore, con successiva lettera raccomandata con a.r. del 22/9/2004, dichiarava di trattenere a titolo di acconto sul "maggiore avere".
Delle parti convenute si costituiva in giudizio la sola Mi. S.p.A., eccependo, in via preliminare, "l'improponibilità e/o l'improcedibilità dell'azione di risarcimento", non avendo l'attore indicato nella lettera raccomandata prescritta dall'art. 22 della legge 24/12/1969, n,990, i requisiti prescritti dall'art. 5 della legge n. 57/2001.
Nel merito richiamava l'onere, incombente sull'attore, "di fornire rigorosa prova su tutto quanto asserito nell'atto di citazione", escludendo che "la manovra di immissione nella carreggiata di Via (omissis), eseguita dal Sig. Do.Pe., sia avvenuta in modo improvviso ed imprevedibile".
Deduceva, quindi, la sussistenza, quantomeno, di un'ipotesi di responsabilità concorsuale dell'attore nella produzione del sinistro. Contestava anche il quantum debeatur nella misura richiesta dall'attore a ristoro dei danni lamentati. Concludeva nei seguenti termini: "Piaccia all'Ill.mo Tribunale - contrariis rejectis; dare atto che la S.p.A. Mi. ha corrisposto all'attore l'importo di Euro 1.100,00 a titolo di risarcimento dei danni materiali ed ha rimborsato all'INAIL la somma di Euro 2.200,00 erogata in favore dell'attore in conseguenza dell'infortunio de qua; a) in linea preliminare: accertare e dichiarare, per i motivi suesposti, l'improponibilità e/o l'improcedibilità della domanda. Con vittoria di spese, competenze ed onorari oltre I. V.A. e C.P.A. b) In linea principale e nel
merito: 1) respingere la domanda così come proposta, in quanto irrituale, infondata in fatto e in diritto e non provata. Con vittoria di spese, competenze ed onorari, oltre IVA e CPA".
L'istruttoria si svolgeva mediante produzione di documenti (tra cui copia del rapporto redatto dal Corpo della Polizia Municipale del Comune di Roma in occasione dell'incidente de qua), interrogatorio forma del convenuto Pe.Do. (che non compariva a renderlo, nonostante rituale notifica di copia del verbale d'udienza contenente il provvedimento ammissivo di detto mezzo istruttoria), assunzione di prova per testi ed espletamento di consulenza d'ufficio medico - legale sulla persona dell'attore Me.Cl. La causa, quindi, sulle conclusioni precisate all'udienza del 23/6/2008, veniva trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini di legge per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Motivazione

Osserva, anzitutto, il giudicante che l'eccezione pregiudiziale, sollevata dalla convenuta Mi. S.p.A. nella comparsa di costituzione e risposta, di "improponibilità e/o improcedibilità dell'azione di risarcimento" per mancata indicazione dei dati richiesti dall'art. 5 della legge n. 57/2001 si rivela infondata e va, quindi, rigettata, posto che l'attore, nel rispetto dell'onere di cui all'art. 22 della legge 24/12/1969, n. 990, ha fornito la prova (cfr. documentazione versata in atti) di avere formulato all'assicuratrice predetta, odierna convenuta, richiesta di risarcimento danni inviando la prescritta lettera raccomandata con avviso di ricevimento, con spedizione in data 3/3/2004 e ricezione in data 8/3/2004, concedendo fa spatium deliberandi di legge prima di proporre l'azione, con l'atto introdottivo del presente giudizio, per il risarcimento dei danni subiti dall'odierno attore Me.Cl. in conseguenza dell'incidente stradale dedotto in giudizio. La circostanza che attore abbia chiesto genericamente, a mezzo del proprio legale (avv. An.De.), il "risarcimento dei danni fisici e materiali patiti in occasione del sinistro in oggetto" (sinistro del 9/2/2004) senza fornire le indicazioni richieste dall'art. 5 della legge 5/3/2001, n. 57 (quanto ai danni alle cose: denuncia del sinistro, indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento e del luogo, dei giorni e delle ore in cui le cose danneggiate sono disponibili per l'ispezione diretta ad accertare l'entità del danno; quanto ai danni alla persona: indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento e descrizione delle circostanze nelle quali si è verificato il sinistro; dati relativi all'età, all'attività del danneggiato, al suo reddito, all'entità delle lesioni subite, attestazione medica comprovante l'avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti), non è sufficiente a far fondatamente ritenere che una siffatta omissione produca l'effetto giuridico ipotizzato dalla eccipiente, ma non previsto dalla legge, della improponibilità della domanda. Al riguardo va rimarcato che le ipotesi di improponibilità (temporanea) di una domanda giudiziale sono tassativamente previste dal legislatore e non possono ricavarsi in via interpretativa, in quanto ciò limiterebbe il diritto d'agire in giudizio, componente essenziale del diritto inviolabile della difesa,
garantito dall'art. 24 della Costituzione. Tanto è vero che il fatto che l'art. 145 del codice delle assicurazioni private (approvato con D.lgs 7/9/2005, n. 209 ed entrato in vigore in data 1 gennaio 2006), letto in combinazione con l'art. 148 dello stesso codice, abbia esplicitamente stabilito che "l'azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all'impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, anche se inviata per conoscenza, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti all'art. 148", costituisce la riprova, ad avviso del giudicante, che il legislatore (con legge ordinaria o delegata), ove ritenga che l'adempimento di alcuni presupposti stragiudiziali sia condizione di proponibilità dell'azione giudiziaria, esplicitamente prevede tale condizione, così come ha fatto con l'art. 22 della legge 24/12/1969, n. 990 e con il predetto art. 145 del codice delle assicurazioni private (non applicabile al caso di specie, ratione temporis). Nel merito osserva il giudicante che le risultanze processuali, concernenti il sinistro stradale di cui trattasi sono rappresentate dall'espletata prova per testi (con la deposizione resa in fase istruttoria dal teste Ba.Ti.) e dal rapporto (prodotto in copia dall'attore) redatto dalla Polizia municipale del Comune di Roma, comprendente anche le dichiarazioni rese, in tempi successivi (l'odierno convenuto Pe.Do., nell'immediatezza del fatto, agli agenti della Polizia municipale, intervenuti sul luogo dei sinistro alle ore 10,50, "presumibilmente a 3 ore e 10 minuti dall'incidente"; l'odierno attore Me.Cl., in data 17/2/2004, presso gli uffici di detta Polizia municipale) dai conducenti dei veicoli venuti a collisione.
Ciò premesso, deve rilevarsi che il rapporto della Polizia municipale consente solo di apprendere, sulla base delle stesse dichiarazioni rese ai verbalizzanti, nell'immediatezza del fatto, da Pe.Do. (odierno convenuto), conducente e proprietario dell'autovettura (omissis) tg. (omissis) che quest'ultimo, in colposa violazione dell'art. 145, 4 comma, del codice della strada, aveva impegnato l'incrocio di Via (omissis), gravata dal segnale di obbligo di "dare precedenza" nel suo senso di marcia, con Via (omissis), omettendo di osservare tale obbligo nei confronti del motociclo (omissis), condotto dall'odierno attore Me.Cl., che in quel momento, percorrendo Via (omissis) in direzione di Roma centro, sopraggiungeva nell'area dell'incrocio con diritto di precedenza e che veniva a collisione con detta autovettura (omissis). Sulla base dei danni riportati dai predetti veicoli, così come descritti nel rapporto, si evince che l'urto avveniva tra il parafango anteriore destro della (omissis) conducente ed il lato sinistro del motociclo (omissis). Il teste Ba.Ti., peraltro, nulla ha saputo riferire sulla dinamica del sinistro, dichiarando di essere giunta sul luogo del sinistro stesso circa mezz'ora dopo, "dopo essere stata chiamata con il cellulare dal mio ex marito" (ossia dall'odierno attore). Pertanto, può ritenersi accertata una colpa in concreto di Pe.Do. (conducente e proprietario della (omissis)) nella produzione dell'incidente stradale dedotto in giudizio, consistita, come sopra rilevato, nella colposa violazione di cui all'art. 145, 4 comma, del C.d.S.
Orbene, accertata, quindi, la colpa in concreto di Pe.Do., occorre ora stabilire se anche Me.Cl. (conducente e proprietario del motociclo (omissis)) abbia superato la presunzione di colpa posta a suo carico dall'art. 2054, 2 comma, c.c.
Al riguardo va rilevato che il giudice che abbia accertato la colpa di uno dei conducenti non può esimersi dal verificare il comportamento dell'altro, al fine di stabilire se quest'ultimo abbia o meno osservato le norme sulla circolazione stradale, i normali precetti della prudenza, e se abbia fatto tutto il possibile per evitare l'incidente (Cass. 28/11/1994, n. 10156; Cass. 22/2/1995, n. 1953; Cass. 15/12/2000, n. 15847). Per superare, quindi, la presunzione di colpa che l'art. 2054, comma 2, c.c., pone a carico di ambedue i conducenti coinvolti, occorre dimostrare che: 1) il sinistro è dovuto al comportamento colposo esclusivo di uno solo dei conducenti; 2) l'altro conducente si sia, di converso, uniformato alle norme della circolazione ed a quelle di comune prudenza, ed abbia fatto tutto il possibile per evitare l'incidente. Ne consegue che l'accertamento in concreto della colpa di uno dei conducenti non comporta, di per sé, il superamento della presunzione di colpa concorrente dell'altro, il quale è chiamato a fornire la prova liberatoria dimostrando di essersi uniformato alle norme della circolazione ed a quelle della comune prudenza (Cass. 18/12/1998, n. 12692). Pertanto l'infrazione, anche grave, commessa da uno dei conducenti non dispensa il giudice dal verificare anche il comportamento dell'altro conducente, al fine di stabilire se, in rapporto alla situazione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa nella determinazione dell'evento dannoso (cfr., Cass. 5/5/2000, n. 5671, che ha affermato il seguente principio: "In tema di circolazione stradale, i conducenti dei veicoli antagonisti sono tenuti ad effettuare una manovra di emergenza per evitare il sinistro. Infatti, in applicazione del principio di solidarietà desumibile dagli artt. 2 Cost., e 1175 cod. civ., il conducente del veicolo antagonista deve cooperare ad evitare che il sinistro si verifichi, non potendo trincerarsi dietro la circostanza che egli non versa in una violazione delle norme comportamentali. L'unico caso in cui detto soggetto non è tenuto alla manovra di emergenza si verifica allorché, attese le circostanze del caso concreto, una qualche manovra astrattamente idonea di emergenza risulta impossibile").
Ciò premesso, si osserva come nel caso di specie l'attore non abbia in alcun modo provato di essersi uniformato alle prescrizioni del codice della strada, e prima fra tutte a quella di cui all'art. 140 c.d.s. che, ponendo a carico di ogni conducente l'obbligo di attivarsi per salvaguardare la propria e l'altrui incolumità, sancisce il generale principio per cui anche il conducente favorito dal diritto di precedenza deve attivarsi per prevenire le altrui scorrettezze che siano in qualche modo prevedibili.
L'attore, in particolare, non ha in alcun modo provato che l'immissione sulla Via (omissis), posta in essere da Pe.Do., in violazione dell'art. 145, 4 comma, C.d.S., sia stata talmente repentina, imprevedibile, ravvicinata, da non consentirgli alcuna manovra di emergenza, ad esempio arrestare tempestivamente il proprio mezzo o rallentare la marcia.
Non è possibile, pertanto, stabilire se la scorretta immissione posta in essere da Pe.Do. fosse in qualche modo prevedibile da Me.Cl. (ad esempio, per la posizione avanzata assunta dall'autoveicolo del Pe., ovvero in base ad altri elementi).
Trova, quindi, applicazione nel caso di specie il suddetto principio (affermato dalla Cassazione con la citata pronunzia n. 5671 del 2000), secondo cui il dovere di solidarietà desumibile dagli art. 2 cost. e 1175 c.c. impone a tutti i conducenti di cooperare per evitare che - il sinistro si verifichi, non potendo trincerarsi dietro la circostanza che egli non versa in una violazione delie norme comportamentali. L'unico caso in cui detto soggetto non è tenuto alla manovra di emergenza si verifica allorché, attese le circostanze del caso concreto, una qualche manovra astrattamente idonea di emergenza risulta impossibile. E poiché la colpa in concreto accertata a carico di Pe.Do., in ragione della natura della norma violata (l'obbligo di dare la precedenza, a fronte della violazione del generico obbligo di prudenza da parte di Me.Cl.), e della utilità che avrebbe avuto la condotta alternativa corretta, appare preponderante rispetto alla colpa presunta di Me.Cl., deve ritenersi adeguato al caso di specie attribuire un concorso di colpa, nella produzione dell'evento dannoso dedotto in giudizio, del 60% a carico del convenuto Pe.Do. e del restante 40% a carico dell'attore Me.Cl.
Pertanto, i convenuti Pe.Do. e Mi. S.p.A., quest'ultima in persona del legale rappresentante, vanno solidalmente condannati al risarcimento dei danni subiti dall'attore Me.Cl. nella misura del sessanta per cento del loro ammontare.
In ordine al quantum debeatur (che, inizialmente, per evitare inutili ripetizioni in sede di disamina delle singole voci di danno, verrà qui di seguito liquidato per intero, per poi, in sede di quantificazione complessiva e definitiva, essere determinato con la riduzione del 40%) va osservato che dalla espletata consulenza d'ufficio medico - legale, cui nel corso dell'istruttoria il predetto attore Me.Cl. (che all'epoca del sinistro occorsogli aveva l'età di anni 41 e mesi 10, essendo nato in data 2/4/1962 ed essendosi l'incidente de quo verificato il 9/2/2004), risulta che il Me., in conseguenza del sinistro occorsogli, ha riportato "lesione fratturativa dell'epifisi distale della falange pressimale il dito del piede dx e trauma discorsivo del rachide cervicale", da cui sono derivate un'inabilità temporanea assoluta di giorni 15 e parziale, al 50%, di ulteriori giorni 15, residuandogli un'invalidità permanente valutata dal C.T.U. nella misura del 3% (tre per cento), come danno biologico, con postumi permanenti indicati nella relazione di ala, cui si fa espresso ed integrale riferimento.
L'evidenziata patologia, eziologicamente ricollegabile all'evento, giustifica i risultati cui è pervenuto il C.T.U., che il giudicante condivide e fa propri per l'accuratezza e l'esaustività con le quali sono stati raccolti i dati di base e per l'inesistenza di lacune di ordine logico - tecnico nel processo di valutazione degli elementi acquisiti e nelle argomentazioni addotte a sostegno del convincimento raggiunto, fondato su un compiuto esame anamnestico ed obiettivo e su uno studio ed una valutazione adeguati e coerenti degli elementi desunti da tale esame e dalla
documentazione prodotta, e tenuto anche conto che le conclusioni cui è pervenuto il C.T.U. risultano conformi ai parametri di cui alla tabella approvata con D.M. 3/7/2003 (adottato ai sensi dell'art. 5, comma 5, della legge 5/3/2001, n. 57 e rimasto in vigore, in quanto richiamato dal 5 comma, lettera b), dell'art. 354 del codice delle assicurazioni private, approvato con il D.Lgs 7/9/2005, n. 209). Tenuto conto di quanto precede, nonché degli importi (di cui al D.M. 24/6/2003, pubblicato sulla G.U. n. 151 del 30/6/2008, con applicazione dal mese di aprile 2008: Euro 720,95 per quanto riguarda l'importo relativo al valore del primo punto di invalidità; Euro 42,06 per quanto riguarda l'importo relativo ad ogni giorno di inabilità temporanea assoluta) relativi al danno biologico di lieve entità, di cui all'art. 139 del codice delle assicurazioni, rileva il giudicante che il danno biologico alla persona dell'attore Me.Cl. può essere liquidato nella somma, al valore attuale della moneta, di Euro 630,9 (pari ad Euro 42,06 per ogni giorno di inabilità temporaneo, assoluta) a titolo di risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea assoluta di giorni 15, e di Euro 315,45 a titolo di risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea parziale, al 507o, di ulteriori giorni 15. Per il danno biologico da invalidità permanente spetta al Me. la somma, sempre al valore attuale della moneta, di Euro 2.193,13 (tenuto conto dell'età dell'attore all'epoca del sinistro, corrispondente ad anni 41 e mesi 10, e del danno biologico da invalidità permanente del 3%, riportato dall'attore medesimo). Rivestendo il fatto gli estremi del reato, ontologicamente considerato, di lesioni colpose, compete a Me.Cl., ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p., anche il ristoro del danno morale, che, in via equitativa, può essere liquidato nella somma, al valore attuale della moneta, di Euro 800,00, avuto riguardo alle modalità dell'azione, alla natura ed entità delle lesioni, al periodo della malattia, alla natura ed entità dei postumi permanenti. E, comunque, nel caso di specie, a prescindere dall'esistenza di reato, trattasi di illecito che ha leso interessi della persona di rango costituzionale, e quindi obbliga l'offensore al ristoro del danno morale anche a prescindere dall'esistenza di un reato, secondo il più recente orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. 31/5/2003, n. 8827 e Cass. 31/5/2003, n. 8828, nonché Corte Cost. 11/7/2003, n. 233). Detto aspetto del danno non patrimoniale - nella sua ampia accezione - va liquidato anche alla luce di quanto statuito dalia Corte di Cassazione, nella sentenza SS. UU. n. 26972/08 e nella sentenza Cass. Sez. 3 n. 29191/08 (in particolare, in detta ultima sentenza si affermo "la autonomia ontologica del danno morale", il quale deve essere considerato del giudice in relazione alla diversità del bene protetto rispetto al danno biologico, in quanto attinente alla sfera della dignità morale della persona, ex art. 2 Cost."). Al riguardo va, inoltre, rilevato che con D.P.R. n. 37 del 3 marzo 2009 ("Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da
cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all'estero ..."), all'art. 5 comma 1 lett. b) e lett. c) si distingue espressamente tra la liquidazione del danno biologico (lett. b) e la liquidazione del danno morale (lett. c): "la determinazione della percentuale del danno morale (DM) viene effettuata caso per caso tenendo conto dell'entità della sofferenza e del turbamento dello stato d'animo, oltre che della lesione della dignità della persona, connessi ed in rapporto all'evento dannoso, in una misura fino ad un massimo di due terzi del valore percentuale del danno biologico".
Risultano documentate spese mediche per un importo, ritenuto pertinente e congrua dal C.T.U., pari alla somma di Euro 53,97, che, pertanto, può essere ammessa a rimborso in quella rivalutata, sulla base degli indici Istat sull'aumento del costo della vita, di Euro 60.00.
Il danno c.d. esistenziale, di cui l'attore non ha fornito, peraltro, alcuna prova, è compreso nel danno biologico come sopra liquidato, attesa la definizione del danno biologico contenuta nell'art. 138, 2 comma, lettera a) del codice delle assicurazioni (approvato con Decreto Legislativo 7 settembre 2005, n. 209), nella parte in cui si fa riferimento alla incidenza negativa che la lesione temporanea o permanente all'integrità psico - fisica della persona esplica sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico - relazionali della vita del danneggiato.
In definitiva, i danni subiti dall'attore Me.Cl. ammontano alla somma complessiva, al valore attuale della moneta, di Euro 3.999,48, che, peraltro, - in conseguenza del concorso di colpa presunta, nella misura del 407", sopra accertato a carico dell'attore - va ridotta a quella di Euro 2.399,69.
Pertanto, sulla base delle considerazioni sopra svolte, i convenuti i convenuti Pe.Do. e Mi. S.p.A., quest'ultima in persona del legale rappresentante, vanno solidalmente condannati al pagamento, in favore dell'attore Me.Cl. ed a titolo di risarcimento danni, della somma, al valore attuale della moneta, di Euro 2.399,69, oltre agli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza a quella dell'effettivo soddisfo.
Dato l'esito del giudizio sussistono giusti motivi per dichiarare compensate fra le parti le spese di giudizio nella misura del 40% del loro ammontare, ponendo a carico solidale delle parti convenute ed a favore dell'attore, il residuo 60%, liquidato come in dispositivo (d'ufficio, in difetto di presentazione della relativa nota).

PQM

Il Tribunale di Roma, in persona de! giudice unico dott. Antonio Macrì, definitivamente pronunciando nella causa di cui in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
1) condanna solidalmente i convenuti Pe.Do. e Mi. S.p.A., quest'ultima in persona del legale rappresentante, al pagamento, in favore dell'attore Me.Cl. ed a titolo di risarcimento danni,
della somma, al valore attuale delta moneta, di Euro 2.399,69, oltre agli interessi legali dalia detta di pubblicazione della presente sentenza a quella dell'effettivo soddisfo;
2) dichiara compensate fra le parti le spese di giudizio nella misura del 40% del loro ammontare, ponendo a carico solidale dei convenuti ed a favore dell'attore il restante 60%, che si liquida nella somma di Euro 2.034,88, di cui Euro 114,88 per esborsi, Euro 720,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre al 60% delle spese di c.t.u., IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma il 16 ottobre 2009.
Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2009.


 

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